venerdì, Marzo 29, 2024
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Prigionieri del regime fascista: l’internamento civile nel Piceno e nel Fermano

Ascoli Piceno – Nell’ottantesimo anniversario dell’emanazione della Legislazione Razziale ripercorriamo, in breve la situazione nelle Marche e nel Piceno concernente la prigionia e i rastrellamenti operati dalle autorità fasciste. Oltre al campo di Servigliano nella provincia di Ascoli Piceno (che a quel tempo comprendeva quella di Fermo) e agli altri campi di prigionia sparsi in tutta la regione, pochi sanno che nello stesso periodo fu attivo “l’internamento civile”. Con “internamento civile” o “libero”, le autorità fasciste intendevano l’isolamento e il soggiorno coatto in un comune stabilito in precedenza di coloro che, sottoposti a controllo e a limitazione della libertà personale, erano però ritenuti meno pericolosi rispetto ad altri oppositori del regime.
I podestà e i prefetti delle città marchigiane segnalarono al Ministero dell’Interno la possibilità di ospitare gli internati liberi, cedendo camere ed edifici dietro pagamento di un affitto. La presenza dei confinati veniva così ad incrementare le finanze dei comuni ospitanti. In quali comuni furono internati i vari prigionieri? E chi erano i proscritti? I comuni erano 12 nel Piceno e 7 nel Fermano. Precisamente i comuni scelti furono i seguenti: Offida, Montalto Marche, Castignano, Montedinove, Rotella, Force, Maltignano, Ascoli Piceno (Marino del Tronto) Venarotta, Arquata del Tronto, Acquasanta Terme e San Benedetto del Tronto. Nella provincia di Fermo: Montesampietrangeli, Monterrubbiano, Monte Urano, Falerone, Porto San Giorgio, Santa Vittoria in Matenano e Montottone

Secondo la ricerche dello storico Costantino Di Sante basate sui pochi documenti a disposizione, nei primi mesi del 1941 risultavano presenti nei vari comuni 59 internati, dei quali 11 italiani e 48 stranieri. Nei mesi successivi , dopo l’aggressione alla Jugoslavia nel luglio 1943, gli internati presenti in provincia di raggiungeranno un numero massimo di 350 unità e saranno composti in prevalenza da anglo-maltesi, inglesi e greci, ebrei in maggioranza tedeschi, austriaci e apolidi e italiani considerati pericolosi. Le condizioni di vita degli internati differivano in base al comune che li ospitava, alla popolazione e circostanze locali, all’appartenenza del prigioniero, nonché allo zelo con il quale i podestà applicarono le prescrizioni. In ogni caso, anche se gli internati non furono incarcerati, mandati al confino o peggio ancora trasferiti nei lager nazisti, subirono tutti condizioni di restrizioni e privazioni molto dure da un punto di vista fisico, economico e sociale, sino a quando non sopraggiunse la Liberazione dal Regime.

Roberto Guidotti

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