Si è chiuso lunedì 13 maggio il Salone del libro di Torino: edizione, questa, che farà discutere parecchio e soprattutto edizione che pone inevitabilmente numerosi dubbi cui i cittadini dovrebbero auspicare il rapido pronunciarsi delle Istituzioni, attraverso i vari meccanismi, che vanno dalla politica alla Magistratura , alla Corte di Cassazione a quella Costituzionale.
Ricordiamo che tutto ha avuto inizio dal fatto che nel corso della manifestazione doveva essere presentato un libro intervista sul leader della Lega, ed attuale Ministro degli Interni, scritto dalla giornalista Chiara Giannini e pubblicato dalla Casa editrice Altaforte. Il fatto che il proprietario della casa editrice, o uno dei proprietari, abbia avuto un trascorso con CasaPound, partito considerato fascista, anche se regolarmente presente alle varie tornate elettorali, ha inevitabilmente innescato un meccanismo di contrapposizione con quelle forze politiche contrarie e in particolar modo contrarie anche al leader della Lega.
Querelle politica che in ogni democrazia risulta essere normale tra due fazioni opposte, ma che sarebbe dovuta forse terminare nel rispetto della dialettica democratica. Il chiudere le porte alla casa editrice, revocando a poche ore dall’apertura la partecipazione alla manifestazione culturale e la relativa presentazione del libro a causa di una decisione presa dopo l’iniziativa del Sindaco di Torino e del Presidente della Regione Piemonte, costituisce un precedente che deve far riflettere.
Un atto di chiara matrice politica che fa tornare alla memoria momenti storici in cui i libri “scomodi” venivano
messi al rogo. Paradossalmente, chi contesta quel metodo, oggi lo ha adottato.
Le motivazioni addotte non possono che aumentare i dubbi di legittimità circa la decisione presa sia nella specifica situazione, ma anche in altre situazioni analoghe dove sindaci più o meno legittimamente si sono rifiutati di concedere spazi culturali ad opere ad essi non gradite. Si è indotti a pensare che possa essere un fatto politico ideologico, quindi una grave censura, il fatto che nel corso di una intervista all’autrice, che comunque girava all’interno del Salone con una copia del libro, alcuni abbiano disturbato volontariamente l’intervista intonando un noto brano partigiano, come documentato con numerosi video.
Certo è strano come in anni passati la stessa amministrazione sembra abbia fatto partecipare Brigatisti dell’ordine di Faranda e Curcio, che, pur suscitando ovvio scalpore, sarebbero stati accolti senza censura alcuna.
Se in questo caso il motivo addotto era la casa editrice, o meglio il suo titolare, in un altro caso , e precisamente a Roma un’altra giornalista, Francesca Musacchio, si è vista negare una sala istituzionale dal Comune di Roma per la
presentazione di un suo libro inchiesta dal Titolo “La trattativa Stato Islam” edito da una importante casa
editrice, Armando Curcio Editore.
Libro inspiegabilmente censurato dal Comune di Roma, e non dal Senato dove poi ha trovato spazio per la
presentazione. Ed ancora deve far riflettere quanto predisposto da diversi comuni Italiani, dal nord al sud, che richiedono per la concessione di una sala comunale a fini culturali, una dichiarazione di antifascismo.
Forse è giunto il momento che sia la Corte di Cassazione, in riferimento alle sentenze emesse, sia la Corte
Costituzionale in merito a tutti gli articoli che potrebbero essere stati violati nel limitare la libertà di
espressione previsti dalla Costituzione e la Magistratura, per gli eventuali reati commessi da chi potrebbe
essersi arrogato il diritto di censura, dessero delle chiare indicazioni evitando quella pericolosa deriva.
Ettore Lembo
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