martedì, Marzo 19, 2024
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Ricostruzione. “Le buone notizie, purtroppo, non confortano sul piano sostanziale, siamo in ritardo di tre anni”

Ricostruzione. “Le buone notizie, purtroppo, non confortano sul piano sostanziale, siamo in ritardo di tre anni” sostiene Di Bonaventura “ci vuole un cambio di approccio dal locale al nazionale altrimenti persone e imprese ci abbandonano”.

Teramo –  Mercoledi prossimo torna a riunirsi a Teramo il Comitato istituzionale per la ricostruzione. Le ultime buone notizie, secondo il presidente della Provincia, Diego Di Bonaventura: “non confortano, purtroppo, sul piano sostanziale: siamo in ritardo di tre anni e i Paesi continuano a spopolarsi”. Di Bonaventura chiede un migliore lavoro di squadra fra pubblico e privato, un maggiore coinvolgimento dei tecnici nel processo della ricostruzione, un’attenzione nuova e diversa da parte del Governo rispetto ad una questione che investe ben quattro Regioni, praticamente l’intero Centro Italia.

Ha ragione Farabollini quando dice che se ricostruiamo scuole bellissime per poche decine di studenti abbiamo fallito e va dato merito al presidente Marsilio di aver portato a casa un risultato importante, non scontato, sull’attribuzione di nuovo personale – dichiara –  come lui credo che fino ad oggi ci siano stati troppi no e che invece bisogna aprire  una stagione del si e del fare: dalla semplificazione normativa a una legge organica che permetta di lavorare  senza le incertezze interpretative create dalle decine di ordinanze.

 Ad essere sotto schiaffo è proprio la ricostruzione privata, case e imprese, perno della comunità locale ed è su questa che bisogna velocemente recuperare il tempo perduto. Non si può non apprezzare il rinforzo di personale all’Ufficio speciale della ricostruzione ma, siamo in ritardo di tre anni. Ci è stato concesso oggi quello che avremmo dovuto avere tre anni fa. Come si recupera questo ritardo? Al momento non c’è una risposta chiara né univoca. Le procedure hanno dei colli di bottiglie e anche con 100 pratiche l’anno, ultime previsioni ascoltate, con le 13 mila richieste attese sulla base delle ordinanze, ci vorranno comunque 13 anni. La comunità non se lo può permettere. Farabollini invoca una Legge Speciale e forse ha ragione ma nel frattempo abbiamo l’obbligo di agire anche a livello locale avviando un dialogo operoso fra l’USR e i tecnici privati che in questi mesi sono stati chiamati in causa molte volte perché sbaglierebbero le procedure.

 Piccole azioni concrete come incontri periodici sugli aspetti più controversi, una maggiore e migliore informazione, un rapporto più stretto e diretto con gli interessati – imprese, cittadini e anche con i 48 tecnici assegnati ai Comuni – dovrebbero essere adottate subito e certamente fluidificherebbero i processi riducendo errori e quindi tempi. Va creato uno spirito di squadra muovendoci tutti nella stessa direzione.

 Nel rapporto del Commissario straordinario aggiornato a maggio 2019, si legge che in Abruzzo sono state presentate 1364 richieste, 85 accolte e 34 respinte. Fatte le dovute proporzioni, tutte e quattro le Regioni sono in questa situazione.

 Si evidenziano due problemi: il primo sul numero delle richieste presentate (poca informazione?) e il secondo sul numero delle richieste respinte: un terzo sul totale. I tecnici privati non sono bravi o ci sono controversie interpretative? La ricostruzione si fa insieme, è un processo complesso e collettivo che investe sia il pubblico sia il privato: se non si dialoga non si ricostruisce, se non si condivide la ricostruzione si paralizza.

 Mi auguro che il nuovo Governo affronti in maniera diversa il problema perchè è del tutto evidente che a monte, con il decreto legislativo 189/2016  si è sbagliato approccio a partire dalla frammentazione della governance. Credo  che alla ricostruzione vada dedicato uno spazio importante anche nell’attribuzione dei Ministeri: stiamo parlando del Centro Italia, non di una singola città o di una sola Regione. Non avere una visione complessiva del problema – dal tema centrale di come ricostruire in sicurezza visto che con i terremoti dobbiamo convivere – potrebbe condannare l’Italia ad aggiungere alla già mai risolta questione Meridionale anche quella di un Centro Italia perennemente “terremotato”.

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