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Da “La vita di Carlo Magno” di Eginardo, a cura di Valerio Marucci

carlo magno

CARLO MAGNO. Da “La vita di Carlo Magno” di Eginardo, a cura di Valerio Marucci, Faville 39, Salerno Editrice Roma, 2006.

Praticò santamente e con molto amore la religione cristiana, nella quale era stato educato da bambino, e per questo costruì la basilica di Aquisgrana, di molta bellezza, e la adornò d’oro e d’argento e lampadari e cancelli e porte interamente di bronzo. Non potendo avere da qualche altro luogo colonne e marmi per la sua costruzione, curò che questi materiali fossero trasportati da Roma e Ravenna.

Frequentava assiduamente la chiesa al mattino e alla sera, anche agli uffici notturni e per la messa, finché la salute glie lo permise, e curava soprattutto che tutto quel che vi si faceva fosse fatto con grande decoro; rimproverando con forza i custodi, che non permettessero che fosse portato o rimanesse dentro la chiesa qualcosa di sporco o indecente. Arricchì la chiesa con tanta abbondanza di vasi sacri d’oro e d’argento e di vesti sacerdotali, che non era necessario celebrare in abito privato neanche per gli ostiari, che sono gli ecclesiastici dell’ultimo ordine. Curò il perfezionamento della scuola di lettura e di canto. Era infatti abbastanza esperto in ambedue le discipline, sebbene egli non leggesse pubblicamente né cantasse se non con altri e sommessamente.

Devotissimo al sostentamento dei poveri e alla gratuita liberalità che i greci chiamano elemosina, come colui che non si preoccupò di farla solo in patria e nel suo regno, ma oltremare, in Siria, in Egitto, in Africa a Gerusalemme, Alessandria e Cartagine, dove aveva saputo che i cristiani vivevano in povertà, pietoso del loro bisogno, era solito mandare denaro; e cercando proprio per questo l’amicizia dei re che vivevano al di là del mare, per procurare qualche sollievo e miglioramento ai Cristini che vivevano sotto la loro dominazione.

Onorava, fra gli altri sacri e venerabili luoghi, la chiesa del beato Pietro apostolo a Roma; nel cui tesoro è accumulata grande quantità di moneta in oro e in argento, ed anche gemme da lui donate. Molti, innumerevoli doni furono da lui mandati ai pontefici. Per tutto il tempo del suo regno, non fece nulla di così continuo e prolungato se non sforzarsi perché la città di Roma, per opera sua, riprendesse l’antica autorità, e la chiesa di S.Pietro fosse non soltanto sicura e difesa per mezzo suo, ma anche, sopra tutte le altre chiese, fosse ornata e abbellita dalle sue ricchezze. Benché ci avesse speso sopra così tanto, tuttavia in 47 anni in cui regnò vi si recò per sciogliere voti e pregare soltanto quattro volte.

La causa della sua ultima discesa a Roma non fu solo questa, ma anche perché i romani costrinsero il papa Leone, ingiuriato e ferito, con gli occhi strappati e la lingua amputata, a implorare la fede del re. Venendo a Roma a mettere ordine alle condizioni della chiesa, che erano troppo turbate, si fermò in città per tutto l’inverno. In questo tempo ricevette il titolo di imperatore e augusto. Al che in un primo momento fu così contrariato che affermò che quel giorno non sarebbe neanche entrato in chiesa, malgrado fosse una festa importante, se avesse potuto indovinare il progetto del papa. Tuttavia sopportò con grande pazienza l’invidia di aver preso quel titolo, di cui gli imperatori dei romani erano sdegnati. Vinse il loro rifiuto con la grandezza d’animo, della quale era senza dubbio assai più dotato che non quelli, e inviando loro numerose ambascerie e, nelle lettere ufficiali, chiamandoli fratelli.

Continua: Dopo aver preso il titolo imperiale…..

NOTA: ( da Appunti Universitari di letteratura medioevale della dott.ssa Milena Santini)

Carlo come imperatore capì che la politica non poteva ignorare la religiosità. Carlo voleva imporre ai barbari il battesimo per portarli ad una cultura civilizzata ma Alcuino sconsigliò di adottare questo metodo perché non sarebbe riuscito a fare veri cristiani senza una vera educazione cristiana. Allora Carlo propose di educare le popolazioni al cristianesimo proponendo un catechismo per l’educazione cristiana.

Tra i barbari infatti la conversione al cristianesimo ebbe ottimi risultati grazie alla loro organizzazione in tribù: una volta che si convertiva il capo tribù si convertivano poi tutti gli altri.

Con la Epistula de litteris colendis, Carlo Magno continua l’opera del padre Pipino il Breve, una “MAGNA CARTA” dove afferma la necessità di conoscere la grammatica, i tropi e le figure di parola per comprendere i misteri della Sacra Scrittura, e impone l’istruzione del clero. quia ignorantes legem Dei eam aliis annuntiare et praedicare non possunt.

Luciano Magnalbò

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