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Da “La vita di Carlo Magno” di Eginardo, a cura di Valerio Marucci

carlo magno

CARLO MAGNO. Da “La vita di Carlo Magno” di Eginardo, a cura di Valerio Marucci, Faville 39, Salerno Editrice Roma, 2006

Il suo corpo, lavato e composto con solennità, nel gran lutto di tutto il popolo fu portato in chiesa e sepolto. Si dubitò, sul primo momento, su dove si dovesse porre il corpo, perché da vivo non aveva stabilito nulla in proposito. Però subito si sparse in tutti la convinzione che in nessun luogo si poteva seppellirlo meglio che in quella basilica che egli stesso aveva costruito a sue spese in quella città, per amore di Dio e del nostro signore Gesù Cristo ed in onore della santa ed eterna vergine sua madre. In questa fu sepolto lo stesso giorno in cui morì, e fu costruito sopra la sua tomba un arco dorato con la sua immagine e il titolo imperiale. La scritta completa dice: sotto questo sepolcro giace il corpo di Carlo, Magno e legittimo Imperatore, che nobilmente accrebbe il regno dei Franchi e regnò felicemente per 47 anni. Morì settuagenario nell’anno del Signore 814, indizione settima, cinque giorni prima delle calende di febbraio. 

Molti furono i segnali prodigiosi della fine che si avvicinava, tanto che non solo gli altri, ma lui stesso si accorse di quel che lo minacciava. Negli ultimi tre anni della sua vita vi furono numerosissimi eclissi di sole e di luna, e fu vista nel sole una macchia di colore scuro per sette giorni. Il robusto portico che aveva fatto costruire fra la basilica e la reggia crollò all’improvviso, fino alle fondamenta, nel giorno della Ascensione del Signore. Parimenti il ponte sul Reno a Magonza, che lui stesso aveva fatto costruire, in legno, in dieci anni di gran lavoro, su un meraviglioso progetto, così che sembrava poter durare in eterno, in tre ore di furioso incendio bruciò, tanto che non ne rimase un’asticella, salvo quella parte che era coperta dall’acqua.

Lui stesso, mentre conduceva la sua ultima spedizione in Sassonia contro Gotofrido re dei Danesi, un giorno, mentre, prima del sorgere del sole, uscito dall’accampamento si metteva in cammino, vide un corpo celeste cadere e passare in aria da destra a sinistra, facendo gran luce nel cielo sereno. Mentre tutti erano meravigliati su ciò che quel segno potesse significare, il cavallo sul quale era seduto, abbassata la testa, cadde e lo gettò in terra così pesantemente che, rottasi la fibbia del suo mantello e spezzato il fodero della sua spada, l’Imperatore fui raccolto dai suoi ministri, che si affrettavano attorno a lui, disarmato e senza mantello. Anche il giavellotto che in quel momento teneva in mano fu scagliato così lontano, che giaceva almeno a venti piedi di distanza o più. Si aggiunse a tutto questo un forte terremoto nel palazzo di Aquisgrana e un continuo crepitìo nelle case che frequentava. Anche la basilica in cui fu sepolto fu toccata dal cielo, e la mela d’oro che ornava la cima del tetto fu staccata da un fulmine e gettata sopra la casa del vescovo, che era vicina alla basilica. In quella stessa basilica, sul margine della cornice che percorreva la parte interna fra gli archi inferiori e gli archi superiori, c’era un epigramma scritto in sinopia che dichiarava chi era stato il fondatore di quel tempio, nel cui ultimo verso si leggeva “Carlo Principe”. Fu notato da alcuni che, nello stesso anno in cui morì, pochi mesi prima della sua fine, le lettere di “Principe” si erano così cancellate che quasi non si vedevano più. Ma tutti i segnali di cui sopra lui li dissimulò o li disprezzò, come se nulla di questo riguardasse la sua situazione personale.

Aveva stabilito di fare dei testamenti, con i quali rendesse suoi eredi in qualche parte le figlie e i figli delle concubine, ma cominciati troppo tardi, non si poterono portare a termine. Aveva fatto la divisione dei suoi tesori, del denaro, delle vesti e delle suppellettili, tre anni prima di morire, davanti ai ministri e agli amici, impegnando i presenti a che quella distribuzione, su loro, suffragio, venisse mantenuta dopo la sua morte.

Continua: Raccolse per iscritto quel che voleva si facesse…..

NOTA: 1- Eginardo associa, con antica usanza celebrativa, alla morte del suo Imperatore segnali che al tempo dei pagani venivano attribuiti agli dei, e ancora vivi nella coscienza protocristiana, le cui scintille pervaderanno tutto il medioevo. Annota il Marucci: gli eventi miracolosi si giustificano come strumenti di un accostamento della vita di Carlo a un modello santorale, anzi “al” modello santorale per eccellenza, la vita di Cristo. L’oscuramento del sole richiama quello descritto nei vangeli, gli incendi e i crolli alla rottura del velo del tempio, i terremoti a quelli narrati da Svetonio dopo la morte di Cesare, mentre il passaggio del meteorite da destra a sinistra simboleggia il passaggio dalla buona alla cattiva fortuna, e la caduta che disarma e priva dell’onore del manto anticipa la fine del potere terreno di Carlo. 2- Carlo disponendo oralmente del denaro e dei beni mobili, con la raccomandazione ai testi di vigilare sulla esatta esecuzione della sua volontà, applica le norme sulla forma degli atti del diritto romano, che dispone obbligatoria la forma scritta solo per i beni immobili e universalità di cose, norme attualmente ancora in vigore.

Luciano Magnalbò

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