“Vittime della Shoah e della vendetta Jugoslava”. Intervista sulle “Foibe” allo storico Costantino Di Sante
Ascoli Piceno – Sebbene con i limiti imposti dalle restrizioni sanitarie, non sono mancati gli eventi in tutta Italia, compreso il nostro territorio, che hanno rievocato la Shoah, la distruzione del popolo ebraico e di altri milioni di esseri umani e solo pochi giorni dopo gli eccidi delle Foibe.
In particolare di quest’ultimo tragico avvenimento abbiamo parlato con lo storico Costantino Di Sante direttore dell’Istituto provinciale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche di Ascoli Piceno, che ha dedicato diversi studi sulle questioni del Confine Orientale e sui crimini di quegli anni.
Dottor Di Sante, diverse amministrazioni comunali in Italia hanno celebrato il Giorno della Memoria del 27 gennaio e il Giorno del Ricordo il 10 febbraio. Sono molti quelli che ritengono non corretto storicamente l’accostamento tra le due situazione storiche. Qual è il suo parere?
“Prima di rispondere a questa domanda, voglio ricordare che quando fu emanata la legge per il 10 febbraio nel 2004 alcuni dei proponenti dichiararono che questo serviva anche a “riequilibrare” il giorno dedicato alle vittime della Shoah e a tutte le altre categorie perseguitati dal nazifascismo. Questo chiaro intento politico si è sempre più accentuato nel corso del tempo con l’utilizzo improprio di termini come “genocidio”, “Shoah italiana” o, con ancora il più ricorrente “pulizia etnica”. L’uso di questi termini per indicare ciò che è successo al Confine Orientale non ha nessun fondamento dal punto di vista storico perché sono fenomeni radicalmente diversi.
Ricordiamo che, nonostante l’italianizzazione forzata applicata in quei territori durante il ventennio alla minoranza slava, molti sono figli e discendenti di matrimoni misti. Dire che le vittime sono state uccise perché appartenenti ad un unico popolo, vuol dire non ricordare molte di esse ed escludere quasi la metà degli esuli. Inoltre il confronto non regge anche per la scala dei numeri, per la Shoah parliamo di milioni di vittime, per le foibe di alcune migliaia. Mentre è coretto paragonare le foibe alle altre stragi avvenute durante e alla fine della Seconda guerra mondiale.
Per quali motivi gli eccidi delle Foibe sono stati rimossi per così tanto tempo dalla memoria storica italiana?
In verità almeno fino alla rottura di Tito con Stalin e alle prime elezioni politiche del 1948, la questione è molto presente sui giornali dell’epoca, in particolare in quelli democristiani e di destra. Successivamente il tema è rimasto sullo sfondo, come anche altre questioni dolorose della Seconda guerra mondiale, basti pensare alla persecuzione degli ebrei italiani o agli internati militari, per citarne alcune.
Sul lungo silenzio hanno pesato la “questione di Trieste” e la guerra fredda. Non dimentichiamo che quello Orientale diventa non un confine qualsiasi ma quello tra due blocchi contrapposti. Alla classe politica dell’epoca non faceva comodo chiedere giustizia per le foibe, altrimenti bisognava riaprire i dossier sui crimini commessi dagli italiani durante la seconda guerra mondiale in Jugoslavia e la dolorosa vicenda degli esuli che furono vittime due volte. Prima dei lutti e delle sofferenze provocate dalla guerra fascista, poi delle vendette e della politica jugoslava che li costrinse ad abbandonare la loro terra. Molti dei beni che non riuscirono a portar via furono utilizzati dallo Stato italiano per pagare i danni di guerra.
Quando e come si verificarono i principali eccidi di italiani? E quali sono le cifre delle vittime, secondo le più recenti ricerche storiche?
Quando parliamo delle “stragi delle foibe” dobbiamo distinguere ciò che avvenne in due momenti diversi. La prima ondata di violenze si ebbe subito dopo la proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943, tra la metà di settembre e i primi di ottobre del 1943, che è chiamato delle “foibe istriane”. Durante questi giorni, approfittando dello sbandamento dell’esercito italiano e delle forze di polizia, in Istria i partigiani locali e parte della popolazione si sollevò contro coloro che durante il periodo fascista avevano occupato ruoli istituzionali (podestà, segretari comunali, gerarchi) e contro la classe dirigente italiana. Il numero degli uccisi in questo periodo è di circa cinquecento persone.
La seconda ondata di violenze si ebbe dopo la liberazione, dal primo maggio al 9 giugno 1945, quella che viene chiamata delle “foibe giuliane”. Questi eccidi avvennero durante l’occupazione delle città di Trieste e Gorizia da parte dell’esercito jugoslavo. Rispetto alle violenze dell’autunno ’43, queste si contraddistinguono per gli obbiettivi politici che Tito voleva raggiungere: consolidare un regime comunista e annettere il territorio occupato alla Jugoslavia. Per questo non sono solo fatti prigionieri, come accade in ogni contesto post bellico, militari in divisa, funzionari politici e collaborazionisti dei nazifascisti, ma anche antifascisti che si oppongono a questo disegno e civili inermi coinvolti accidentalmente nelle retate o a causa di denunce anonime.
Dobbiamo immaginarci le lunghe file degli arrestati, circa diecimila persone, che da queste città vengono avviati verso le prigioni e i campi di concentramento all’interno della Jugoslavia. Sembra quasi banale ricordarlo, ma la maggior parte dei circa quattromila scomparsi muore o viene uccisa in questi luoghi. Nelle foibe giuliane, nel dopoguerra, sono recuperate solo alcune centinaia di cadaveri. Ma oggi nessuno conosce il campo di Borovnica, vicino Lubiana, nonostante molti degli arrestati non tornarono più soprattutto da questo lager.
E’ stato mai possibile risalire a chi ordinò il massacro degli italiani?
Si. Alcuni di essi, in particolare il comandante, i carcerieri di Borovnica e alcuni agenti della polizia politica jugoslava, la famigerata OZNA, erano ben conosciuti all’epoca. Ma come abbiamo detto a nessuno faceva comodo che si celebrassero i processi. Inoltre, con l’amnistia Togliatti del giugno del 1946, poi con quella del 1953 espressamente rivolta a tutti i crimini commessi prima del 1948 la questione giudiziaria venne accantonata.
La “giornata commemorativa” del 10 febbraio, influisce concretamente sui pensieri e atteggiamenti dei più giovani e sulla coscienza storica di un paese?
Il 10 febbraio rischia di essere sempre più ostaggio di una evidente strumentalizzazione da parte delle forze politiche nazionaliste e di estrema destra. Troppe commemorazioni hanno completamente disatteso lo spirito della legge come occasione per far conoscere, soprattutto alle giovani generazioni, le “diverse tragedie del Confine Orientale”.
Quest’anno, significativo è incoraggiante, è stato l’esempio che ci è stato dato a Basovizza dal Presidente Mattarella e dal Presidente sloveno Borut Pahor. Entrambi, tenendosi per mano, hanno commemorato le vittime della violenza fascista (quattro giovani irredentisti sloveni fucilati nel 1930 in quel luogo) e delle Foibe. Ecco, comprendere anche le memorie degli altri, inquadrare quelle tremende vicende nell’ambito del più complesso dopoguerra europeo, studiare e leggere dei buoni libri di storia, è il modo migliore per conoscere ciò che è accaduto per non ripetere più gli errori del passato”.
Roberto Guidotti
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