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Ex sindaco di Peschici scrive a Mattarella: “Prima il calvario giudiziario e poi la prescrizione”

ex sindaco di Peschici

Ex sindaco di Peschici scrive a Mattarella: “Un’odissea lunga 10 anni e poi la prescrizione”

Si è conclusa nel novembre 2019 la vicenda giudiziaria relativa allo scandalo che vide protagonista la città di Peschici con l’arresto dell’allora sindaco, Domenico Vecera e di altre 22 persone. L’ex primo cittadino, poco tempo dopo, ha deciso di inviare una missiva al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, attraverso la quale ha ricostruito i fatti. La vicenda si è chiusa con la prescrizione, dopo un’odissea giudiziaria durata anni. La pubblichiamo a distanza di tempo avendo ricevuto la richiesta di rinverdire e ricordare l’accaduto. “La prescrizione è una sconfitta per tutti”, ha dichiarato allora Vecera. Di seguito il testo della lettera:

“Mi chiamo Domenico Vecera, sono nato a Peschicisplendido paese in cui vivo e lavoro, e ho cinquant’anni. Desidero farLe conoscere la storia di un particolare momento che ha contrassegnato la mia vita di uomo e poi di cittadino accaduto nel lontano 2010, e chi, se non Lei, che rappresenta il Popolo italiano, può dare ascolto alla mia voce”.

E ancora: “Le scrivo da ex sindaco della mia bella comunità peschiciana che ho avuto l’onore ed il privilegio di servire per cinque anni, da aprile 2008 a maggio 2013. Sono stati anni difficili a causa della crisi devastante che ha colpito il mondo intero, le cui ripercussioni hanno investito anche la nostra cittadina, da troppo tempo governata da un sistema affannoso che ha ridotto la sua gestione ad un giocattolo manovrato dall’abilità di soliti noti e che abbiamo cercato di interrompere ad ogni costo, a volte con scelte difficili ed impopolari.

Credevo fermamente, ahimè sbagliandomi, che la nostra azione amministrativa avrebbe avuto il sostegno delle istituzioni invece, sin da  subito, mi sono reso conto che le cose stavano diversamente; cercherò in breve di raccontare la mia odissea giudiziaria. 

In cinque anni di amministrazione ho dovuto affrontare una dozzina di processi che hanno riguardato quasi tutti i reati tipici della P.A.; ripeto rinvii a giudizio e non avvisi di garanzia che di seguito riporto: peculato, abuso d’ufficio e concorso di reato, diffamazione e calunnia, omissione in atti d’ufficio, corruzione, oltraggio e offesa a corpo amministrativo e giudiziario, mobbing, abuso d’ufficio, danneggiamento di opere militari (al pari di un terrorista), associazione a delinquere, turbativa d’asta, truffa, corruzione e corruzione aggravata (c. d. Operazione Clessidra). 

Ci sarebbe da scrivere un libro su ogni procedimento sopra elencato. Chiunque leggesse di tutti questi reati direbbe che siamo in presenza di un delinquente incallito, farei io stesso queste considerazioni. Io ero, anzi sono, una persona per bene, di buona ed umile famiglia, benvoluto, senza eccessi, con un bel lavoro ed una bella famiglia (ho 4 figli). Non ho mai avuto problemi con la giustizia e non ero mai entrato in un’aula giudiziaria prima che diventassi sindaco. Ero incensurato e sono incensurato atteso che, dopo tutto quello che ho dovuto passare e sopportare, sono stato assolto in tutti i processi ad eccezione dell’ultimo che si è concluso il mese sorso con la prescrizione (I° grado)”.

Spiega poi nel dettaglio: “Vorrei scriverle di ogni processo che ho dovuto affrontare per difendermi da accuse infamanti, non è questo il momento, tuttavia alcuni cenni li debbo fare al solo scopo di mettere in luce il malfunzionamento della giustizia italiana.

Le vorrei parlare del primo e dell’ultimo procedimento giudiziario che mi è costato la privazione della libertà con arresto in carcere ed ai domiciliari. Il primo processo che ho dovuto affrontare è per l’accusa di peculato a causa dell’utilizzo di un telefonino aziendale. In seguito a denuncia da parte di un consigliere di minoranza, per l’uso del cellulare di servizio durante il periodo di aspettativa elettorale, sono stato rinviato a giudizio appunto per peculato; il processo si svolse tra il 2009 ed il 2010. Tenga presente che da Peschici per raggiungere il Tribunale occorrono circa tre ore di macchina (per andata e per ritorno) per 250 km di strada, con i mezzi pubblici è un’impresa.

Dalle nostre parti l’esercizio della giustizia è un lusso, è proibitivo far valere le proprie ragioni a discapito di tempi e costi da sostenere. Il mio processo si chiude in 5 udienze (1250 Km), 3 testimoni che hanno raggiunto la sede del Tribunale a proprie spese ed assentandosi dal posto di lavoro, il mio avvocato ha inviato n. 3 raccomandate A/R per la convocazione dei testi, il Tribunale mi ha notificato almeno 4 atti con raccomandata A/R (giudiziaria) il cui costo è di circa € 7,00 cadauna. Il processo termina con la mia assoluzione. Sembrerebbe tutto normale se non fosse che il valore del presunto reato (le chiamate effettuate dal telefonino) contestatomi ammonta a poco più di 10 €. I numeri sopra indicati devono far riflettere sul costo sostenuto dallo Stato e dal sottoscritto per celebrare questo processo”.

“Mi chiedo – continua l’ex sindaco di Peschici – , pur tenendo bene in mente che in Italia c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, se è mai possibile essere sottoposti a giudizio in cui lo Stato ed i cittadini, con tutte le difficoltà sopra descritte, devono spendere diverse migliaia di euro per perseguire un ipotetico danno di 10 €? Da questo mio primo processo ho capito che la mia vita di sindaco non sarebbe stata una passeggiata. 

In un paese normale, o meglio civile, il processo dopo la sentenza di assoluzione, data anche l’esiguità delle somme contestate, sarebbe finito lì, invece no. 

L’allora Procura di Lucera ha ritenuto appellare la sentenza di I° grado. Ho dovuto, assieme allo Stato, sopportare altre spese in quanto il Tribunale di Appello si trova a Bari (500 Km – A/R), dove ci siamo dovuti recare due volte, altre spese di viaggio, spese legali. Anche se alla fine si è concluso bene, il rammarico resta, la domanda che mi sono fatto in tutti questi anni è: Chi paga? È mai possibile che per perseguire un eventuale reato di pochi spiccioli occorre spendere migliaia di euro? Di ogni processo che ho dovuto affrontare posso confermare come la giustizia sia stata esercitata in modo superficiale, poco obiettiva e quasi persecutoria. Sull’ultimo processo, iniziato con la c.d. “operazione Clessidra” del dicembre 2010, vorrei fare qualche riflessione in più. 

L’Operazione Clessidra ha portato all’arresto di 23 persone (la Procura di Lucera aveva chiesto l’interdizione per una cinquantina di persone) con accuse infamanti per me e per gli altri soggetti interessati. Sono stato prelevato alle tre del mattino dalla mia abitazione e sottratto alla mia famiglia, sono stato condotto in carcere. L’Operazione Clessidra parte dalla Procura di Lucera sulla scorta di lettere anonime (delle quali conosco bene nomi, cognomi ed indirizzi nonché studi professionali), su indiscrezioni e vox populi (per utilizzare i termini che si leggono nel provvedimento di custodia cautelare) è stato costruito un quadro indiziario ed un castello di accuse che letto dall’esterno è sembrato gravissimo e preoccupante, stile criminalità organizzata.

A dir la verità, la mattina dell’arresto, credevo di essere vittima di scherzi a parte, invece non si trattava affatto di uno scherzo, ma dell’inizio di una dura prova posta in essere dalla cattiveria di menti intenzionate a fare solo male. Appena resomi conto di tutto ciò, anche attraverso la lettura del provvedimento di custodia cautelare, ho cercato di capire quali fossero i reati e le accuse infamanti additati a me e ad altre persone che hanno ugualmente subito l’arresto. Ancora oggi, a distanza di 10 anni, faccio fatica a comprendere i ‘gravi motivi’ che hanno indotto la Procura a privarmi della libertà. Decisi di resistere, di non arrendermi certo di voler dimostrare a tutti la mia innocenza. Non mi dimisi da sindaco nonostante l’arresto del sottoscritto, di un assessore, di un consigliere, del comandante dei VV.UU., di un responsabile dell’Ufficio tecnico, di alcuni altri dipendenti comunali.

Mi resi conto che la mia ferma testardaggine a voler resistere suscitò stupore tra gli inquirenti, convinti che l’arresto del Sindaco e di molti altri avrebbe portato al commissariamento dell’Ente, nell’opinione pubblica e nella la politica locale, già pronti all’avvicendamento. Non avevano fatto i conti con l’onestà e la buona fede di ognuno di noi. Nessuno degli indagati ha patteggiato, tutti hanno affrontato il processo con serenità e rispetto nel lavoro dei Giudici (giudicanti) e della giustizia. La notizia del blitz fece il giro del mondo, ebbe risalto in tutte le tv nazionali, sui quotidiani, sui social, la mia famiglia venne contattata da parenti residenti in America per chiedere notizie su cosa fosse successo a Peschici.

La Procura per arrestare i 23 indagati tutti incensurati , nell’operazione clessidra, utilizzò 140 Carabinieri, 50 automezzi, 1 elicottero, un mezzo forestale ed un mezzo navale (probabilmente, vista la pericolosità degli indagati, c’era il rischio di fuga a nuoto alle Isole Tremiti). La conferenza stampa della Procura, che ho avuto modo di ascoltare e vedere su YouTube, è stata a dir poco imbarazzante (per loro) e vergognosa, si è voluto far passare una normale attività amministrativa del Comune come una serie di attività illecite profanando notizie false prive di fondamento e con argomentazioni ridicole. Sono stato sbattuto in prima pagina come il peggiore dei delinquenti, sono stato definito dalla Procura come “soggetto pericoloso e di primo piano” di una fantomatica associazione a delinquere il cui fine malavitoso ancora oggi è ignaro a tutti”.

E conclude: Il processo di I° grado si è concluso poche settimane fa – dopo 10 anni, una settantina di udienze, giornate di lavoro perse, soldi spesi – con l’assoluzione di qualcuno e la prescrizione di altri compreso il sottoscritto. La prescrizione è una sconfitta per tutti. Quando è stato chiaro il tentativo della Procura di voler arrivare a ‘Non far decidere’, abbiamo rinunciato a quasi tutti i testi a nostro discarico per accelerare i tempi e giungere a sentenza, ma non ci siamo riusciti.

La prescrizione non è stata la conclusione sperata di questa vicenda che mi ha segnato molto. Dopo 10 anni e tanti processi affrontati, ho dovuto desistere ed accettare l’esito. Qualcuno potrebbe obiettare chiedendomi il perché non abbia rinunciato alla prescrizione. La risposta è semplice: in un Paese civile un processo di I° grado non può durare 10 anni, così come in un Paese normale un cittadino non può essere sottoposto a giudizio per 10 volte in 5 anni senza mai essere condannato e senza che qualcuno mai abbia pagato”.

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