Mafia nigeriana, Marco Valerio Verni: “Tematica ancora sottaciuta”
Il 26 aprile scorso, a L’Aquila, durante l’operazione “Hello Bross” gli agenti di Polizia hanno arrestato 30 persone, situate in 14 province italiane e legate alla mafia nigeriana, un’organizzazione criminale considerata pericolosa, in grado di diramarsi sul territorio.
In manette anche il capo del clan Black Axe, un nigeriano di 35 anni, che si era sistemato nel territorio abruzzese e silenziosamente svolgeva attività illegali, come lo spaccio di droga, prostituzione e altre azioni criminali.
Un fenomeno, dunque, tutt’altro che in diminuzione, anzi. Abbiamo intervistato, ancora una volta, l’avvocato Marco Valerio Verni, esperto sulla materia, per fare il punto sulla situazione.
Avv. Marco Valerio Verni, qualche giorno fa, a Porto S.Elpidio, si è parlato ancora di mafia nigeriana, in convegno organizzato da Fratelli d’Italia, cui lei ha partecipato
Si, abbiamo affrontato questa tematica tanto importante quanto ancora troppo sottaciuta. Meritevole il fatto che se ne sia tornato a parlare in una regione che, sebbene non sia, probabilmente, ancora a livelli di altre, non si può dire certo esente dal pericolo di questa criminalità. Molto spesso essa è subdola e, come per le mafie autoctone, pure per questa molto dipende da come vengano impostate le indagini. A volte, ancora si considerano i numerosi reati perpetrati dai nigeriani come a sé stanti, senza considerarli, invece, in maniera sistemica, con le ovvie conseguenze tanto a livello
investigativo che, poi, processuale.
Perché ancora non se ne parla come si dovrebbe?
E’ un argomento politicamente scomodo, dal momento che, irrimediabilmente, è collegato con quello dell’immigrazione irregolare, dietro la quale, come sappiamo, si muovono fiumi di denaro. E poi c’è la paura dell’essere tacciati di razzismo o di incitamento all’odio razziale: ma chi lancia queste accuse lo fa strumentalmente, ignorando alcuni dati incontrovertibili.
Ossia?
Parlando non solo di mafia nigeriana, nell’uso polisemico del termine, ma anche di tutte le altre organizzazioni criminali etniche, sfugge, ad esempio che la loro presenza sul nostro territorio finisca con il rafforzare, al dunque, le mafie autoctone, visto che queste ultime appaltano alle prime alcune attività illecite (in primis, spaccio di sostanze stupefacenti e sfruttamento della prostituzione), potendosi esse dedicare, invece, ad altre, meno “visibili” ma non meno redditizie per loro e dannose per la collettività, tra cui le gare di appalto, lo smaltimento dei rifiuti, la sanità. Ne abbiamo avuto un esempio, semmai ce ne fosse stato bisogno, in questi mesi di pandemia.
Inoltre, se parliamo di mafia nigeriana, non si deve dimenticare (ma per farlo, bisognerebbe studiare, ed oggi purtroppo molti parlano solo per preconcetti ideologici) che le prime vittime sono le nigeriane stesse, da quando, con l’inganno o la violenza, dopo essere state sottoposte a particolari riti, sono prese dai loro villaggi ed indirizzate in Italia, da trafficanti senza scrupoli, a quando, da noi (ma ciò vale per tutti gli altri paesi), vengono “messe sulla strada” a prostituirsi. Con gravi conseguenze per l’incolumità fisica loro o dei loro cari rimasti in Nigeria in caso di loro rifiuto o
tradimento. Lo stesso vale per altre organizzazioni criminali etniche, sulle quali non si deve abbassare la
guardia.
Immancabilmente, poi, ci sono coloro che dicono (e non sono mancati neanche in occasione dell’incontro da lei prima ricordato) che anche gli italiani delinquono e che si dovrebbe parlare innanzitutto di loro
Anche qui, mi domando dove sia finita l’intelligenza ed il senso critico: parlare di mafie etniche, non vuol dire ignorare quelle nostrane. Anzi, come detto, vuol dire porre l’accento su un fenomeno che finisce, al dunque, con il rafforzarle. Oltretutto, mi lasci fare una considerazione tanto semplice quanto logica: l’italiano che delinque nasce nel nostro Paese e ce lo dobbiamo, purtroppo, tenere; quello straniero ce lo importiamo, spesso attraverso quel flusso migratorio irregolare di cui parlavo all’inizio.
Al contrario, dunque, potrei dire che alcune associazioni antimafia dovrebbero iniziare a considerare anche le organizzazioni criminali etniche come lato della stessa tematica, non limitandosi solo a quelle italiane. Ormai, si agisce e si ragiona a livello transnazionale e, di conseguenza, dovrebbero essere eliminati, anche nei modi di ragionare e di riflettere,certi “tabù”.
Parlare di immigrazione, però, come lei ha detto, è spesso ancora troppo scomodo
Diciamo che lo si fa, ma non fino in fondo. Perché, se così accadesse, si dovrebbero affrontare alcuni altri aspetti altrettanto scomodi, tra cui il “land and water grabbing”, attuato da alcuni importanti Paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna,India, Emirati Arabi e Cina, lo sconvolgimento climatico (anche qui, se si affrontasse l’argomento, occorrerebbe richiamare all’ordine alcune Potenze non proprio attente a rispettare gli accordi esistenti sul punto), le risorse energetiche.
L’Africa rappresenta, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, un continente molto ricco in materie prime: non potremmo avere i cellulari, se non avessimo, ad esempio, alcuni minerali ricavati da alcuni territori di questo continente. Senza considerare il petrolio ed altro ancora.
L’Italia e l’Europa dovrebbero recuperare maggior incisività in questo continente, come d’altronde emerso anche nel recente G20 di Matera, e ben vengano, ad esempio, le proposte del nostro Primo Ministro nel tornare ad investire lì, soprattutto in Libia, che rappresenta il vero confine meridionale del nostro continente.
Cambiando, però, logica, perché, così facendo, si dovrebbe considerare che, non solo si tratterebbe di “aiutare gli africani a casa loro”, ma vorrebbe dire anche il contrario, ossia “aiutare, di riflesso, noi stessi a casa nostra”.
E ciò, anche sotto un altro duplice punto di vista: uno geo-politico, l’altro di contrasto al terrorismo.
Si spieghi
Dal primo punto di vista, quello geo-politico, dobbiamo renderci conto che la nostra politica (italiana ed europea) è stata, come detto, troppo assente in Africa, negli ultimi anni. Ci siamo ritrovati, ad un certo punto, nel Mediterraneo altre potenze che, probabilmente, neanche sognavano cotanta generosità, ossia la Russia e la Turchia, con tutto ciò che ne consegue a livello soprattutto economico.
Dobbiamo, quindi, recuperare la necessaria centralità, sfruttando la nostra indiscussa capacità di dialogo tanto con l’Occidente, in cui siamo tradizionalmente inquadrati, sotto tutti i punti di vista, tanto con l’Oriente, in particolare con i due Stati menzionati. Ma anche con la Cina e con l’India, che hanno, per tornare al discorso di cui sopra, enormi interessi nel continente africano.
Per quanto riguarda il terrorismo, invece, è innegabile che, quest’ultimo, sia un incubatore di cui dover tenere debito conto e, in tale ottica, risulta molto importante il dialogo interreligioso. Ma, anche quest’ultimo, non deve essere troppo sbilanciato, portando ad un annacquamento dei nostri valori, da una parte, ed all’indifferenza, se non, addirittura, al negazionismo, di certi fenomeni criminali nel nostro Paese, dall’altra.
Chiarissimo. Per concludere: quali potrebbero essere altri strumenti, secondo lei, per poter meglio affrontare tali situazioni?
Per quanto riguarda l’immigrazione, oltre ad investire economicamente in Africa, come detto prima, si dovrebbe potenziare lo strumento dei corridoi umanitari, da una parte, mentre, dall’altra, farsi valere di più in Europa, sia pretendendo una redistribuzione più equa, sia facendo valere il diritto di bandiera: se la nave di una ONG che soccorre in mare batte bandiera tedesca, ad esempio, allora le persone salvate, dopo una prima opera di assistenza sanitaria in Sicilia, possono benissimo, attraverso dei voli, essere trasportate in Germania. E via dicendo.
Sul fronte delle criminalità organizzate etniche, sarebbe opportuno, per alcuni versi, un aggiornamento del nostro codice penale, soprattutto per quanto riguarda la tipizzazione delle associazioni di tipo mafioso, per altri, invece, occorrerebbe pensare ad un sistema di protezione per gli interpreti che, nei processi contro la mafia nigeriana, ad esempio, sono i primi a spaventarsi e, spesso, a rinunciare ai loro incarichi, rallentando poi il tutto.
Ma anche istituire delle sezioni specializzate nei Tribunali stessi, pure valorizzando, magari, nuove figure professionali, come gli antropologi. E non bisognerebbe svilire il sistema delle collaborazioni, del carcere duro e dell’ergastolo ostativo, come pure qualcuno, sull’onda anche di recenti “scarcerazioni” eclatanti pure vorrebbe fare. Anzi, al contrario, occorrerebbe incentivare proprio la collaborazione, ed in tal senso, tutte le realtà, da quelle assistenziali, a quelle comunali, a quelle religiose, potrebbero sensibilizzare soprattutto le persone sospettate di essere vittime, a denunciare i loro aguzzini, potendo poi esse usufruire di particolari tutele al riguardo.
Inoltre, bisognerebbe, a mio avviso, vigilare di più sulle associazioni varie che si occupano di integrazione: esse hanno un ruolo molto importante, dovendo far incontrare due culture (la nostra e la “loro) spesso agli antipodi. Certo, intanto ci vorrebbe la volontà, da parte di chi viene da noi, di voler accettare i nostri valori, e purtroppo non sembra che sia sempre così.
Dall’altro, però, le suddette (associazioni) dovrebbero forse essere più attente nel vigilare e nel segnalare eventuali
soggetti criminali o attività illecite: sempre in riferimento alla mafia nigeriana, vorrei ricordare che alcuni, sono stati arrestati, praticamente in flagranza di reato, in alcuni centri di accoglienza. La mancata integrazione, oltre a far cadere nelle mani della criminalità pure chi non lo era, favorisce anche la radicalizzazione, col pericolo terrorismo dietro l’angolo.
Da ultimo, ma vi sarebbe altro da poter aggiungere, pure la magistratura dovrebbe ricorrere un po’ meno alla c.d. sospensione condizionale della pena, di cui, evidentemente, si è finito con il farne un vero e proprio abuso. Per alcuni reati, come lo spaccio di sostanze stupefacenti, ad esempio, non dovrebbe essere mai concessa. Tanto, per le pene che, generalmente, vengono inflitte, il soggetto condannato potrebbe comunque chiedere altre misure alternative, che, paradossalmente, potrebbero risultare utili a farlo inserire nella società, dopo avergli fatto forse comprendere l’errore.
La magistratura, insomma, dovrebbe riprendersi quella funzione di protezione sociale che, pure, le apparterrebbe. Se vuole, le elenco alcuni casi eclatanti, a cominciare da Pamela Mastropietro.
Elisa Cinquepalmi
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