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Dostoevskij, Nietzsche e il Vangelo

Dostoevskij, Nietzsche e il Vangelo. Breve riflessione a 200 anni dalla nascita e a 140 dalla morte dello scrittore russo

Nell’opera Il crepuscolo degli dei Friedrich Nietzsche scriveva: “Va qui ricordata la testimonianza di Dostoevskij, del resto l’unico psicologo del quale avevo qualcosa da imparare: egli rappresenta uno dei casi più belli della mia vita, più ancora della scoperta di Stendhal”. Era il 1888 e lo scrittore russo era morto 7 anni prima a San Pietroburgo, precisamente nel 1881, esattamente 140 anni fa.

Abbiamo già scritto sulle difficoltà di catalogare Dostoevskij in una figura “professionale” tipo filosofo o psicologo. Indubbiamente, i suoi personaggi sono diversi da quelli di altri scrittori suoi contemporanei. Sono stati decritti come “entità o atomi caricati dall’elettricità delle idee” a differenza di quelli creati dall’altro grande della letteratura russa Tolstoj. Entrambi gli scrittori sono grandissimi nel dissezionare l’anima degli individui nei loro romanzi e racconti. Solo che i personaggi di Tolstoj sono personaggi-messi-in vita, persone in carne ed ossa che vivono anche in funzione del loro contesto sociale e della loro indipendenza e ambizione pubblica. Invece i vari Raskolnikov, Ivan Karamazov o il protagonista delle Memorie dal sottosuolo, no. La loro – anche  crudele –  tortura dell’autocoscienza riguarda il valore ultimo assoluto della personalità e della vita stessa e ha che fare con la sfera religiosa, metafisica e anche psicologica.

Quello che però sfuggiva a Nietzsche è il fatto che il Raskolnikov (il significato del nome è “scissione”) di Delitto e Castigo come i i nichilisti dei Demoni sono condannati a fallire e capitolare non tanto giuridicamente o politicamente, quanto moralmente.

In entrambi i romanzi viene sperimentato che se la libertà degenera nell’arbitrio, il trasgressore prova nel suo animo l’impossibile convivenza della propria dignità con la violazione delle leggi morali. Uccidere, qualunque sia il motivo, è contrario alle legge morale. Questo può portare al crollo psichico dell’individuo oltre che sociale come avviene per Raskolnikov. Si può affermare semplificando un po’, che l’autoaccusa della coscienza di Raskolnikov è proprio la sconfessione della teoria nicciana del Superuomo e della Morte di Dio. Una  sconfessione ante-litteram e quasi profetica si potrebbe asserire, visto che Dostoevskij non conosceva il filosofo tedesco e le sue teorie.

Gli uomini possono avere l’arbitrio della vita di altri uomini? L’uomo può ergersi giudice della felicità teorica degli altri uomini, partendo dal paradigma che – se Dio non esiste- è libero di decidere il bene e il male compreso togliere la vita altrui? Anche qui la risposta dei romanzi di Dostoevskij non lascia dubbio. Non è vero sentenzia Dostoevskij che si possa fare qualsiasi cosa, anche se il fine ultimo è il presunto bene del prossimo o dell’umanità. L’uomo non può sostituirsi a Dio come sosteneva Nietzsche e i vari Ivan Karamazov, Raskolnikov e i nichilisti. Nemmeno gli uomini forti moralmente parlando, hanno questa facoltà, capacità e potenza. Che poi l’uomo, compreso quello religioso, continui in ogni caso imperterrito a violentare il suo simile, è deprecabile ma vero, osserva con il cuore a pezzi Dostoevskij, che spesso lascia i suoi personaggi in balia di tutti i tipi di “umiliazione” possibile.

In seguito nel ventesimo secolo, Dostoevskij sarebbe stato associato a Nietzsche e insieme a Kierkegaard e Kafka inserito nel pantheon degli esistenzialisti o dei loro predecessori.

Eppure la differenza tra Dostoevskij e Nietzsche è tracciabile nel loro approccio alla fede in Dio e alla figura di Cristo. Scrive di loro lo scrittore francese Andre Gide nel suo Dostoevskij: “Durante il tempo trascorso in Siberia -quando la pena di morte gli fu commutata nella deportazione – Dostoevskij incontrò una donna che gli mise in mano il Vangelo. Il Vangelo era d’ altronde la sola lettura concessa ufficialmente ai deportati. La lettura e la meditazione del Vangelo furono per Dostoevskij di un’ importanza capitale…”. Più avanti Gide afferma: “Mi sembra di un estremo interesse osservare e confrontare le reazioni così diverse che provocò l’incontro con il Vangelo in due nature sotto certi aspetti prossime: quella di Nietzsche e quella di Dostoevskij. La reazione immediata, profonda, presso Nietzsche fu la gelosia…Nietzsche fu geloso di Cristo, geloso fino alla follia… La reazione di Dostoevskij fu del tutto diversa. Sentì, fin dal primo momento, che c’ era nel Vangelo qualcosa di superiore, non solamente a lui, ma all’ umanità intera, qualcosa di divino…”

Un elemento – quello religioso- che caratterizzerà non poco la sua opera, donando ai lettori, i capolavori letterari che oggi conosciamo.

Il ventesimo secolo, quando erano morti entrambi i due letterati, avrebbe visto i più grandi massacri della storia umana e le peggiori nefandezze compiute dall’essere umano. Continuare a cercare nei testi sacri come i Vangeli o la Bibbia, come fece lo scrittore russo, le ragioni del male è una strada che sembra ancora aperta e percorribile. Ciò è dimostrato da tanti, che ancora oggi, pensano e sperano di capire il perché dei problemi di fondo dell’umanità e il significato stesso dell’esistenza umana. Difficile invece, al di là del fascino delle teorie, che tali questioni possano essere risolte analizzando l’opera di Nietzsche.

Da questa angolazione la vittoria di Dostoevskij sembra essere chiara e duratura.

Roberto Guidotti

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Nella foto Raskolnikov e Sonia in una scena di “Delitto e castigo” trasmesso sulle reti Rai