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Montelupone: se n’è andato Gaetano Chiaramoni, “il Ligabue delle Marche”

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Montelupone: se n’è andato Gaetano Chiaramoni, “il Ligabue delle Marche”

di Maurizio Verdenelli

Sulla soglia dei 96 anni (li avrebbe compiuti il 20 febbraio prossimo: era nato in quel giorno del’26 a Morrovalle) se n’e’ andato ‘il Ligabue delle Marche’. Gaetano Chiaramoni, in arte Tobia Cippitello (per assonanza materna) e pure Neno de Mangiola (per rispetto del grembo paterno) se n’e’ andato com’ era sempre vissuto: “Al modo di un ragazzo, non seguendo il mondo”. La sua testimonianza spirituale aveva commosso ed emozionato gli amici andati a trovarlo per festeggiare a maggio del 2016, ex post da vero artista, i suoi 90 anni: Carlo Iacomucci, Nazzareno Gaspari, Renato Lapponi e chi scrive. 

Ci aveva ricevuti, Tobia, nel suo buen retiro di Montelupone a Borgo Paci, in un vetusto ma suggestivo antico edificio (dalla facciata che il tempo aveva un po’ gonfiato), con rigoglioso cortile interno da jungla domestica. Sulla piazza, fianco di palazzo Galantara, la nobile famiglia dei conti enfiteuti di san Firmano, sede di un museo in memoria dell’eroico illustratore Galantara (firma prestigiosa de L’Asino ed autore del primo ritratto dissacratore del Duce che gli era costato due anni di carcere) il Ligabue delle Marche si trovava a meraviglia.

Abitava dal ’94 quando terminato al Nord il lavoro di mastro carpentiere, era voluto tornare nelle ‘sue’ Marche a Montelupone all’ombra delle amatissime vestigia materne. Assumendo carattere e ruolo di artista. “Un vero pittore, istintivo eppure dotato di sicura tecnica. Una parte importante delle sue opere lo colloca nella storia dell’Arte contemporanea regionale” dice di lui, il professor Iacomucci, maestro di generazioni di artisti e ‘principe’ tra gli incisori urbinati. Piccolo, scattante, premuroso e giovanile anzi tenero come  adolescente e con quei baffoni da personaggio milanese drll’800, Gaetano Chiaramoni alias Tobia alias ‘Neno de Mangiola’ appariva ai visitatori che ammiravano sparsi per le sale del palazzo i suoi 300 quadri, come un magico, accogliente elfo.

Pieno di sorprese. Ad effetto. Da capo operaio, ascriveva a se’ molti meriti nella Gran Fabrica dello stadio di San Siro, il maggior tempio sportivo dei mondiali di calcio del 90. “Ho lavorato al Terzo Anello e certe soluzioni tecniche al momento, assenti i  laureati, le trovavo io. Grazie a pratica ed esperienza. E si andava avanti rapidamente verso il Grande Appuntamento dell’inizio del torneo mondiale”.

Sempre pronto ad ogni evenienza, senza farsi trovare impreparato dalle curve improvvise. Aveva imparato la saggezza dell’anziano da giovane, Tobia che per il resto aveva vissuto la propria lunga esistenza ‘da ragazzo senza seguire il mondo’. Osservandolo tuttavia attentamente dal margine che si era scelto. Ne sono testimoni i suoi quadri dedicati alla grande cronaca (ll caso Valpreda) e ai progressi della tecnica (cfr il dipinto del treno Italo che appare in movimento dovunque lo si guardi). E c’e’ da credere, dal suo sorriso, che neppure la Morte l’abbia raggiunto, cogliendolo di sorpresa al lavoro nel palazzo atelier nell’abbraccio caldo dei ricordi. Ciao, caro, tenero Tobia.

(Foto di Giancarla Lorenzini)

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