sabato, Aprile 20, 2024
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Putin, dare la morte come risposta all’angoscia di morte

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Putin, dare la morte come risposta all’angoscia di morte

Quando, nel 2019, scrissi il “Manifesto contro il potere distruttivo”, l’invasione dell’Ucraina non era per i grandi del mondo argomento all’ordine del giorno e forse nemmeno un’ipotesi, almeno a breve termine, da prendere in considerazione. Le nazioni e le organizzazioni intergovernative e sovranazionali, a partire dall’Onu e dell’Unione Europea, erano in rapporti “amichevoli” con la Russia, membro permanente del Consiglio di Sicurezza e principale fornitore di energia nel Vecchio Continente. Le uccisioni degli oppositori, l’incarceramento dei dissidenti, la censura mediatica, l’invasione della Georgia, l’annessione della Crimea, non erano ritenuti segnali troppo preoccupanti.

In fondo, è il ragionamento proprio dell’uomo comune – e ipso facto dei governanti, che sono semplicemente uomini comuni assurti ai maggiori ruoli decisionali – se non mi colpisce direttamente, e se ci faccio affari, allora potrebbe non riguardarmi. La decisa resistenza di Kiev all’attacco russo, per molti versi inaspettata, ha portato l’Unione Europea su posizioni sempre più rigide, che si realizzano con sanzioni economiche, sia pure diluite nel tempo, e invio di armi, per quanto ritenute insufficienti dagli ucraini. Dopo due mesi e mezzo di guerra, e all’indomani della parata militare sulla Piazza Rossa, a parte qualche irriducibile negazionista, Putin è indicato da capi di Stato e di Governo, e percepito dall’opinione pubblica, come un autocrate che merita di essere deposto e processato per crimini di guerra.

Quel che manca, come sempre avviene nei passaggi massimi e anche minimi della storia, è un’analisi che non si limiti agli effetti (nel qual caso sarebbe semplice constatazione), ma risalga appunto alle cause, a quelle che nella filosofia classica sono indicate come cause prime. Qual è il movente delle azioni di Putin e di tutti i dittatori e carnefici che, prima e dopo di lui, hanno fatto e faranno, del dolore e della morte inflitta agli altri, ragione e consolazione di vita?

Per provare a rispondere possiamo rifarci alla psicologia e alla psicanalisi. “Anatomia della distruttività umana” di Erich Fromm, pubblicato quasi mezzo secolo fa, è ancora oggi il testo di riferimento per comprendere, e quindi affrontare, un tema, quello della distruttività umana, che per quanto eluso o negato (quanti di noi vogliono accettarsi come malati, ovvero portatori ontologici e irrecuperabili del male?) riaffiora in ogni piega del quotidiano. Ci sono senz’altro fattori culturali e storico-sociali a determinare violenza, sopraffazione, negazione dei più elementari diritti (vita, libertà, autodeterminazione) che caratterizzano, in linea teorica, le società cosiddette evolute. Tuttavia, è solo discendendo nel baratro più oscuro e profondo di noi stessi che saremo in grado di trovare la ragione ultima di tanto apparentemente cieco orrore.

L’angoscia di morte è la più grande delle angosce umane. Ne hanno scritto, tra gli altri, precursori quali Sigmund Freud, Melanie Klein, Donald Winnicott, James Hillman, Ronald Laing. Fromm individua cinque difese che donne e uomini mettono in atto per ostacolare la radicante angoscia primaria dovuta alla consapevolezza di essere nati e di dover morire. Dare la morte agli altri è una delle principali modalità per disinnescarla. Ho voluto, con il “Manifesto contro il potere distruttivo”, integrare e completare quell’indagine, aggiungendo alle cinque modalità di difesa già individuate da Fromm altre due, assai congeniali ai tempi nei quali stiamo vivendo, portando il totale a sette.

1. La Difesa Religiosa: “Io morirò, ma c’è un’altra vita oltre la morte”.

2. La Difesa Demografica: “Io morirò, ma continuerò ad esistere attraverso i miei figli”.

3. La Difesa Estetica: “Io morirò, ma la Bellezza – l’Arte, la Letteratura, la Musica, la Poesia, la Danza, la Scultura, la Pittura, l’Architettura, il Teatro, ecc – non morirà mai”.

4. La Difesa Ideologica: “Io morirò, ma le mie idee – la filosofia, la psicologia – non moriranno mai”.

5. La Difesa Distruttiva, così cara ai tanti mentalmente insani che governano le nazioni del nostro pianeta e che ne possono condizionare, in senso distruttivo, le sorti: “Io morirò, ma morirete tutti”, laddove dare la morte ed eventualmente darsela è il potere massimo, superiore al dare la vita stessa.

6. La Difesa Scientifica: “Io morirò, ma gli scienziati stanno ormai per scoprire il segreto della vita e dunque dell’immortalità, cosicché nessuno morirà più”.

7. La Difesa Virtuale: “Io morirò, ma il mio Avatar non morirà mai, poiché nel mondo virtuale non si muore”.

Adottando la quinta modalità di difesa, Putin si pone nel solco dei suoi tanti “illustri” sanguinari predecessori, i disperati, vigliacchi, che uccidono per non lasciarsi fagocitare dalla propria divorante angoscia. E, la storia contemporanea sta a testimoniarlo, il loro numero, la loro impunità, e parimenti la loro ferocia, non fa che aumentare, per di più ammantandosi, in taluni casi, della parola “pace”. Paradossalmente il pittoresco Trump, descritto come sovvertitore dell’ordine mondiale e fomentatore di violenze, è stato garante della pace in maniera ben più efficace del suo predecessore Obama e del successore Biden.

Quest’ultimo, dopo aver abbandonato da un giorno all’altro gli afghani al loro destino – compresi quelli che si aggrappavano agli arei statunitensi in decollo per sfuggire ai talebani – è diventato il principale fomentatore della guerra ucraina. Ha sottolineato Ritanna Armeni in una recente intervista al Riformista: “Quello che più mi dispiace nella mia vita è di essere stata felice il giorno in cui è stato eletto Biden. Perché si sta mostrando un guerrafondaio della peggiore dimensione”. L’animo pugnace che muove le azioni di Biden è condiviso da Zelensky, convinto che un’ipotetica vittoria finale del suo esercito compenserebbe i danni collaterali di un assedio lungo mesi (o anni?), fatto di stragi quotidiane di civili, bombardamenti, stupri e fosse comuni. Se poi a porsi come garante della pace è quello che lo stesso Mario Draghi ha definito un “dittatore”, ovvero il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, il cerchio si chiude. Nel tempo della precarietà universale, possiamo contare su una sola certezza: il potere è in mano ai folli”.

Maria Rita Parsi

Psicoterapeuta e Presidente Fondazione Movimento Bambino

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