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Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Piccole Storie dal Campo Profughi Farfa Sabina

castelnuovo di farfa

Castelnuovo di Farfa (Rieti): piccole Storie dal Campo Profughi Farfa Sabina. Lettera di Roberto Rossellini a  Ingrid Bergman – Lettera di Rossellini che invio alla Bergman al fine di invitarla a visitare il Campo Profughi FARFA SABINA. L’idea della visita Rossellini l’ha avuta passando un giorno per il Campo Profughi di Farfa e parlando con una profuga lettone. Questo è uno stralcio della splendida lettera con la quale Rossellini propose il film alla Bergman e nella quale parla del Campo ProfughiL’attrice INGRID BERGMAN il 23 marzo 1949 visiterà il CAMPO PROFUGHI FARFA SABINA.

“Cara Signora Bergman,

ho atteso un po’ prima di scriverle perché volevo essere sicuro di quello che le avrei proposto. Prima di tutto, però, voglio che lei sappia che il mio modo di lavorare è estremamente personale. Evito qualsiasi sceneggiatura che, a mio parere, limita enormemente il campo di azione. Ovviamente parto da idee molto precise e da una serie di dialoghi e di situazioni che scelgo e modifico nel corso della lavorazione.

A questo punto non posso fare a meno di confessarle che sono molto eccitato all’idea di lavorare con lei.

Un po’ di tempo fa… credo fosse la fine di febbraio, percorrevo in automobile la Sabina, una zona a nord di Roma, quando, vicino alle sorgenti del Farfa, la mia attenzione venne attirata da una scena insolita. In un campo circondato da un’alta rete in filo spinato alcune donne si aggiravano come agnelli in un pascolo. Mi avvicinai e mi accorsi che erano straniere, jugoslave, polacche, rumene, greche, tedesche, lettoni, lituane, ungheresi, che, costrette a fuggire dai loro paesi d’origine a causa della guerra, avevano girovagato per l’Europa, conoscendo l’orrore dei campi di concentramento, del lavoro coatto e dei saccheggi notturni. Erano state facile preda dei soldati di venti nazioni diverse finché erano state radunate in quel campo dove attendevano di essere rispedite a casa.

Una guardia mi ordinò di allontanarmi. Erano indesiderabili ed era proibito parlare con loro. Dietro il filo spinato, all’estremità più lontana del campo, una donna bionda, tutta vestita di nero, se ne stava appartata dalle altre e mi guardava. Incurante dei richiami delle guardie mi avvicinai. Non sapeva che qualche parola d’italiano, arrossì per lo sforzo di parlare. Era lettone.

Negli occhi chiari si leggeva una disperazione muta e intensa. Infilai la mano nella barriera di filo spinato e lei me l’afferrò, come un naufrago che si aggrappa a un relitto.

La guardia si avvicinò con aria minacciosa. Tornai alla macchina.

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