mercoledì, Aprile 24, 2024
Home > Anticipazioni TV > Il film cult nel pomeriggio in TV: “Il Signore degli Anelli – Le Due Torri – Prima parte” domenica 2 ottobre 2022

Il film cult nel pomeriggio in TV: “Il Signore degli Anelli – Le Due Torri – Prima parte” domenica 2 ottobre 2022

le due torri

Il film cult nel pomeriggio in TV: “Il Signore degli Anelli – Le Due Torri – Prima parte” domenica 2 ottobre 2022 alle ore 14.30 su Italia 1Il Signore degli Anelli – Le due torri (The Lord of the Rings: The Two Towers) è un film colossal del 2002 diretto da Peter Jackson e con Elijah Wood, Ian McKellen, Liv Tyler e Viggo Mortensen.

Tratta dall’omonima seconda parte del romanzo di J. R. R. Tolkien Il Signore degli Anelli, la pellicola è un lungometraggio fantastico seguito de Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello, uscito nel 2001, ed è inoltre il secondo film della trilogia del Signore degli Anelli. Il film è seguito da Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, uscito nel 2003.

Il film è uscito nelle sale negli USA il 18 dicembre 2002, mentre in Italia il film è uscito nelle sale il 16 gennaio 2003.

Proseguendo la trama de La Compagnia dell’Anello, il film segue tre storie:Frodo e Sam continuano il loro viaggio verso Mordor per distruggere l’Unico Anello, accompagnati da Gollum, ex proprietario dello stesso. Aragorn,Legolas, Gimli ed in seguito Gandalf (divenuto Gandalf il Bianco) vanno in soccorso di Rohan, che è pronta alla battaglia con l’esercito di Saruman il Bianco nel Fosso di Helm. Intanto Merry e Pipino, aiutati da Barbalbero, pianificano un attacco a Isengard.

Ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui 2 Premi Oscar nel 2003 su 6 nomination: migliori effetti speciali e miglior montaggio sonoro. Acclamato dalla critica, il film è stato un enorme successo al botteghino, guadagnando oltre 926.000.000 di dollari in tutto il mondo ed è attualmente il 35° film con il maggior incasso cinematografico di tutti i tempi (al netto dell’inflazione, è il 62° film di maggior successo in America del Nord).

La storia riprende dopo la fine della prima parte, La Compagnia dell’Anello.

Le Due Torri – Prima parte

Capitolo I – L’addio di Boromir 

Il corpo rantolante di Boromir viene ritrovato da Aragorn a circa un miglio dal campo di Parth Galen. Il Ramingo arriva in tempo solo per raccogliere la dolente confessione del moribondo sul suo tentativo di impadronirsi dell’anello e la sua invocazione del perdono. Poi il figlio di Denethor, primo capitano di Gondor, muore.

Con l’aiuto di Gimli e Legolas, Aragorn si attarda a dare al corpo dell’amico le esequie funebri: con le armi in pugno e il corpo pietosamente ricomposto, Boromir viene deposto in una delle barche elfiche e sospinto verso le cascate di Rauros.
Immediatamente dopo il dovuto omaggio al caduto, Aragorn si precipita a investigare sulla scomparsa di Frodo, e scopre così le tracce della sua fuga con Sam verso la riva orientale. Ormai il Ramingo non ha più dubbi: il destino di Frodo è nelle sue stesse mani, ma quelli che rimangono della compagnia non possono abbandonare i loro piccoli amici – Merry e Pipino – alla tortura e alla morte che li attende nelle mani degli orchi. Il loro dovere è dunque quello di inseguire gli orchi e liberare i giovani hobbit dalla prigionia. Incomincia così un folle, epico inseguimento da parte di Aragorn, Gimli e Legolas, a un giorno di distanza dal rapimento dei loro amici.

Capitolo II- I cavalieri di Rohan

Tre giorni e una notte dura la faticosa caccia dei tre compagni agli orchi fuggitivi. Senza quasi riposare, mangiando pochi bocconi di lembas cammin facendo, quasi sempre di corsa e con gli occhi puntati a terra alla ricerca di tracce, uomo, nano ed elfo coprono ben quarantacinque leghe, vedendo tuttavia il loro obiettivo allontanarsi sempre più. L’unico momento di speranza è loro dato dal ritrovamento, tra l’erba alta delle vaste pianure di Rohan – il regno degli allevatori di cavalli – di una spilla elfica d’argento sicuramente appartenuta a uno degli hobbit prigionieri. Essa non è semplicemente caduta, ma le impronte dimostrano chiaramente che l’hobbit ha cercato di fuggire ed ha volontariamente lasciato cadere un segno della sua presenza.

L’alba del quarto giorno trova i tre cacciatori dispersi e stanchi nella vasta pianura, a poche miglia da un’immensa ed oscura foresta. E proprio dalla parte della foresta essi vedono avvicinarsi una folta pattuglia di cavalieri dai grigi capelli e dall’imponente statura. I cavalieri di Rohan sono guidati da Éomer, Terzo maresciallo del Mark, e sono reduci da una battaglia con gli stessi orchi inseguiti da Aragorn. L’incontro tra Éomer e i tre amici è sulle prime burrascoso, ma alla fine i cavalieri lasciano in prestito ai cacciatori due cavalli, con la promessa di rivedersi al palazzo del re, a Edoras, capitale del regno.

Alla fine, dunque, i tre compagni raggiungono quello che rimane degli orchi: un cumulo di ceneri fumanti e di resti scomposti di armi, sovrastato da un palo con la testa infilzata di un nemico ucciso. Degli hobbit nessuna traccia apparente. Scende la notte, e ai tre non rimane che attendere l’alba per l’ultimo tentativo di individuare qualche segno dei loro amici.

Capitolo III – Gli Uruk-hai 

Narra la dolorosa prigionia di Merry e Pipino nelle mani degli Uruk-hai fuggitivi. Nuova genia di orchi creati da Saruman, più robusti e crudeli, capaci di resistere alla luce del sole, la loro pattuglia è partita da Isengard col preciso mandato di rapire gli hobbit. Con gli Uruk-hai si trovano anche orchi di provenienza nordica, e un drappello di soldati di Mordor. Presto tra le tre componenti scoppia un conflitto proprio in merito alla sorte dei prigionieri, che costa la vita a parecchi orchi. Merry e Pipino, feriti e legati, vengono trasportati come pacchi o devono, a volte, correre con le loro stesse gambe alla folle andatura dei loro nemici. Gli Uruk-hai attraversano correndo tutta la pianura di Rohan, diretti a nord-ovest, verso Isengard, per consegnare a Saruman il prezioso bottino hobbit. Durante l’attraversata, Pipino tenta una fuga, lasciando cadere tra l’erba la spilla elfica che verrà poi trovata da Aragorn.

Dopo tre giorni di cammino, gli orchi giungono alle falde della foresta di Fangorn; lì, sono sorpresi da una folta pattuglia di cavalieri di Rohan, comandati da Éomer, gli stessi che poi si incontreranno con il terzetto degli inseguitori. Circondati dai cavalieri, gli orchi si apprestano a una disperata difesa; ma uno di essi, Grishnàkh, soldato di Mordor, presagendo l’imminente rovina, e in conflitto con la volontà di Uglùk, capo degli Uruk-hai, sottrae nascostamente gli hobbit dall’accampamento. Suo segreto intento, naturalmente, è impadronirsi dell’anello, poiché nessuno ha potuto nascondere agli orchi che l’Oscuro signore è disperatamente alla caccia dell’Unico Anello.

Ma la fuga di Grishnàkh viene scoperta dalle sentinelle di Rohan, e l’orco è ucciso. Merry e Pipino sono liberi. Possono così liberarsi dai legami, e scivolando protetti dai loro manti elfici, si dirigono verso l’oscura foresta di Fangorn.

Capitolo IV – Barbalbero

Postisi in salvo, alle prime luci dell’alba, proprio mentre i cavalieri di Rohan sferrano il loro mortale attacco contro gli Uruk-hai, gli hobbit si inoltrano timorosi nell’oscura e millenaria foresta di Fangorn, un residuo degli antichi boschi della Prima Era del mondo.
Qui, su un piccolo colle esposto ai raggi del sole, incontrano la creatura più strana e antica della Terra di mezzo: Barbalbero (Treebeard), l’Ent, ovvero il pastore di alberi, il custode della foresta. Egli ha la forma di un solido e antichissimo albero, ma è una creatura quasi umana. Occhi e voce rivelano la profondità insondabile della sua mente, e i suoi atti sono improntati a una serena, imperturbabile e imperscrutabile saggezza.
Barbalbero conduce Merry e Pipino, come ospiti graditi per la loro semplice naturalità, nella sua dimora, nascosta nelle più lontane radici della foresta, e qui viene da loro messo al corrente degli ultimi avvenimenti della Terra di Mezzo. Avviene così il più stupefacente degli eventi: l’Ent, scosso e infuriato dal tradimento di Saruman – i cui orchi da tempo ormai devastano le propaggini della foresta – si “risveglia”. Come un vento di bufera sorto all’improvviso, indice una Consulta tra tutti gli Ent, e insieme a loro decide di recarsi alla guerra contro Isengard. Merry e Pipino, che con la loro venuta sono stati la causa di questa improvvisa svolta degli eventi, vengono portati in trionfo alla testa dell’imponente marcia degli Ent.

Ma qualcosa di ancora più insondabile e inatteso attira l’attenzione degli hobbit: l’intera foresta si sta muovendo a fianco degli Ent, una marea di alberi dal cuore tenebroso si sta scagliando come una tempesta contro le solide difese della rocca di Orthanc.

Capitolo V – Il cavaliere bianco

La narrazione torna sul trio dei cacciatori. Aragorn riesce a scoprire le tracce degli hobbit accanto ai resti della battaglia, e guida così Legolas e Gimli all’interno della foresta di Fangorn.

Giunti sul colle di Barbalbero, una minaccia sembra incombere sui tre amici: un misterioso e anziano viandante si sta avvicinando loro, minaccioso nella sua ambigua somiglianza con Saruman. Indossa infatti un cappuccio che a malapena cela la folta e lunga barba bianca, e si appoggia a un bastone da stregone.

Gimli manifesta immediatamente l’intenzione di ucciderlo, ma il viandante è più veloce di loro e con un’agilità incredibile li raggiunge alla sommità del colle. Stregati dalla sua voce affabile, Aragorn e i suoi amici non sanno risolversi su cosa fare; ma quando il vecchio si siede su un masso, qualcosa di bianco balena tra i suoi stracci come un raggio di sole dalle nuvole. Allora Gimli, sempre convinto si tratti di Saruman, si scaglia con la sua ascia contro il misterioso pellegrino. Ma questi, con un atto di imperio, disarma il nano e i suoi compagni e poi, liberatosi dagli stracci, si manifesta finalmente nel suo vero volto.
Riappare dunque Gandalf, nelle bianche vesti di capo degli stregoni, rinato dalla sua lotta col demonio e restituito alla vita anche grazie alle cure di Galadriel. Egli rivela loro l’essenza della sua nuova natura: dopo il combattimento col Balrog negli abissi più oscuri della terra e sulle cime più inaccessibili del mondo, purificato dalla lotta e dalla mortale sofferenza, egli è stato elevato al rango di stregone bianco, guida delle libere genti della Terra di mezzo nella battaglia finale contro l’oscurità (un chiaro riferimento simbolico all’Arcangelo Gabriele, il portatore della Luce). Ora egli conosce cose lontane e domina la volontà dei suoi protetti, e può ergersi come Cavaliere Bianco contro i Nove cavalieri neri di Mordor.

Rassicurati gli amici sul destino degli hobbit, Gandalf richiama il cavallo Ombromanto (Shadowfax), il principe dei Mearas di Rohan, e, seguito da Aragorn, Gimli e Legolas, galoppa rapido verso il palazzo d’oro di Théoden, re di Rohan. La marea è cambiata, e la tempesta si sta avvicinando.

Capitolo VI – Il re del palazzo d’oro

Dopo una lunghissima cavalcata per le solitarie praterie di Rohan, Gandalf e compagni giungono in vista di Edoras, capitale di Rohan, il colle su cui si ergono la città di re Théoden e Meduseld, il palazzo d’oro della dinastia dei Rohirrim.
L’accoglienza tuttavia non è delle più cortesi: fin dalla porta, le guardie hanno ricevuto l’ordine di diffidare di ogni viandante, e soprattutto di Gandalf. Ma l’autorità dello stregone supera ogni ostilità, ed egli può accedere con Aragorn e gli altri all’ampio salone del trono. Su questo siede un vecchio apparentemente piegato dagli anni, e accanto a lui un uomo dall’aspetto mellifluo e sinistro, Grima Vermilinguo (Wormtongue), consigliere del re ma in realtà spia infiltrata da Saruman per sabotare la salute mentale del sovrano. Da anni il fraudolento consigliere ha preso in pugno la volontà di Théoden, facendolo sentire ormai vecchio e solo di fronte al precipitare di eventi incontrollabili, mentre tutta la corte – Éomer e la sorella Éowyn, e Háma la fedele guardia di palazzo – assistono impotenti e con crescente furore al disonesto gioco di Grima. Ma Gandalf è giunto proprio per porre fine a questo stato di cose: rivelando la sua nuova natura egli annichilisce il potere occulto della spia di Saruman e vince la diffidenza, indotta e inconsapevole, del vecchio re. Accogliendo i nuovi consigli di Gandalf, Théoden riprende rapidamente vigore e fiducia, e si scuote di dosso la ragnatela di menzogne in cui Grima l’aveva rinchiuso.

Ed è così che il re del Théoden decide, pressato dalle notizie recategli da Gandalf, di opporsi definitivamente alle trame di Saruman e di sfidarlo in battaglia. I cavalieri di Rohan, guidati di nuovo dal loro re, partono per la difesa del regno verso la decisiva battaglia contro le forze del male scatenatesi ai loro confini. A presidio del trono, sola nel grande palazzo d’oro di Meduseld, rimane Éowyn, giovane e bella dama di Rohan, già segretamente toccata nel cuore dall’apparizione misteriosa e severa di Aragorn, erede di Isildur.

Capitolo VII – Il Fosso di Helm

La cavalcata dei cavalieri di Rohan dura due giorni. Durante la marcia giunge loro notizia che Saruman ha sferrato l’attacco: i Guadi dell’Isen (Fords of Isen) sono caduti nelle mani del nemico, che avanza con forze imponenti verso sud, per attaccare Erkenbrand, il difensore della fortezza detta il Fosso di Helm, nella vallata Ovestfalda (Westfold Vale). Gandalf, per ragioni sue segrete, si allontana verso nord, incitando Théoden a portare soccorso al principe del Mark.

I cavalieri giungono dunque, sulla sera del secondo giorno, alla imponente fortezza, protetta da una diga che ostruisce tutta la vallata nella quale essa è incastonata, e successivamente da un sistema di mura titaniche costruite migliaia di anni prima dai re giunti dal nord. Ivi, scoprono che hanno già trovato rifugio tutti gli abitanti della vallata, in un immenso sistema di caverne (le caverne di Aglarond) che sprofondano per miglia nel cuore delle montagne, che di Erkenbrand non vi è più notizia, mentre solo una piccola guarnigione di anziani guerrieri è pronta alla difesa. Ma le forze sono poche, e la notte si annuncia minacciosa e foriera di angoscia.

Ben presto, infatti, orchi e uomini selvaggi del nord ingaggiati da Saruman con la menzogna, giungono come una marea in tempesta a lambire le prime difese della valle: comincia la battaglia del Fosso di Helm. Durante tutta la notte, Aragorn ed Éomer, assieme a Gimli e Legolas, vengono chiamati, assieme all’esercito, a una dura prova di resistenza e valore, cercando di opporsi con il loro coraggio all’immenso urto di odio e furore dei nemici, e durante la battaglia molti cavalieri di Rohan, tra cui lo stesso Hàma, perdono la vita. Le arti di Saruman sono potenti e sottili: egli scatena una tempesta di fulmini e pioggia sulla battaglia, e ha anche preparato un’arma segreta, un fuoco capace di sgretolare con un’esplosione le potenti mura del Fosso. Infatti gli orchi riescono a conquistare, assalto dopo assalto, malgrado una sortita disperata di Aragorn, Éomer e Gimli fuori dal grande cancello, i bastioni esterni della fortezza, e poco prima dello spuntare dell’alba, si preannuncia l’assalto finale che porrà termine ad ogni speranza dei difensori. È in quel punto della notte che re Théoden chiede ad Aragorn un atto di lealtà e coraggio disperati: vendere cara la vita tentando una sortita con la cavalleria del Mark sui bastioni della fortezza, per respingere gli assalitori. Ed è così che Aragorn e Théoden, assieme ad Éomer, si lanciano nell’ultima carica della battaglia, aprendosi un varco di distruzione e di morte tra i nemici ormai certi della vittoria.

Ma fuori, alla prima luce dell’alba, li attende una sorpresa: il nemico è come paralizzato da rumori sinistri e oscure presenze giunte alle sue spalle con le prime luci del giorno: gli orchi sono infatti totalmente circondati, in faccia dalla carica dei cavalieri di Rohan, ai fianchi dalla comparsa inattesa di Gandalf accompagnato dai soldati di Erkenbrand, e alle spalle dall’oscura foresta vivente di Fangorn, che gli Ent hanno guidato in battaglia. Finisce così il vile attacco di Isengard al regno di Rohan: pressati e attaccati da ogni parte, gli orchi fuggono disperati nell’oscuro intrico vegetale degli alberi di Fangorn, dove vengono risucchiati e distrutti per non uscirne mai più vivi.

Capitolo VIII – La via che porta a Isengard 

Gandalf e Théoden si rincontrano dunque vincitori sulle mura del Fosso. Tutti gli sguardi dei guerrieri di Rohan, e di Gimli, Legolas e Aragorn sono invece attratti dal mistero inquietante e sinistro della foresta comparsa improvvisamente dal nulla. Ma Gandalf non vuole fornire alcuna spiegazione.

Dopo un breve riposo, il re e i suoi amici partono, per consiglio di Gandalf, verso Isengard. Il loro compito è quello di chiudere definitivamente i conti con Saruman, anche se lo stregone sostiene che non è più un esercito quello che occorre, ma un semplice corteo reale. Nella prima parte del viaggio essi attraversano la misteriosa foresta, e intravedono degli Ent, con profonda emozione di Legolas. Poi il cammino prosegue lungo le praterie di Rohan, a fianco del letto dell’Isen, inspiegabilmente prosciugato. E, dopo una notte di viaggio, finalmente giungono alle porte della valle dello stregone.

Isengard è una valle incassata tra due braccia montuose che convergono a formare un cerchio roccioso impenetrabile; alla loro convergenza, Saruman ha fatto costruire un poderoso cancello che si apre su un breve tunnel. La valle è sempre stata verde e accogliente, un bacino pianeggiante al cui centro si innalza una fantastica torre in pietra nera, opera di impareggiabile potenza: Orthanc. Ma quello che appare agli occhi dei cavalieri è uno spettacolo ben diverso: il cancello è divelto e frantumato, il tunnel sfondato e diroccato, mentre ovunque giacciono frammenti delle mura divelte. Il potere di Saruman è stato travolto. E proprio dalle rovine, fanno capolino le teste ricciute di Merry e Pipino, intenti a consumare un lieto pasto tra stoviglie e botti di birra trafugate dal bottino di Isengard. L’incontro con i vecchi amici della compagnia è ironico e affettuoso, mentre anche Théoden può fare conoscenza degli Hobbit.

Capitolo IX – Relitti e alluvioni

Mentre Gandalf e il corteo reale si avviano ad incontrare Barbalbero, Gimli, Legolas e Aragorn rimangono con gli hobbit, per consumare insieme un lieto pasto, fumare in pace e ricostruire insieme i frammenti sparsi delle loro storie parallele. Gli hobbit raccontano dunque la loro prigionia e l’incontro con gli Ent, fino agli eventi decisivi dell’attacco a Isengard.

La marcia trionfale degli Ent era giunta alla valle dello stregone sul calar della notte, proprio mentre gli eserciti di Saruman uscivano dalle mura per portare il loro attacco al Fosso di Helm. Lasciato passare l’esercito, al cui inseguimento subito erano stati posti molti degli Ucorni (Huorns) – ovvero gli alberi viventi della foresta di Fangorn -, gli Ent si buttarono furiosamente alla demolizione delle mura di Isengard. Superato l’ostacolo, essi si avventarono nella valle, trovando sulla loro strada pozzi eruttanti fuochi e fumi avvelenati. Per sconfiggere Saruman, l’unica soluzione era deviare il corso del fiume Isen e creare un’inondazione in grado di allagare le profonde caverne nelle quali si nascondevano le fucine di guerra dello stregone: e così fu.

Quello che dunque si presenta agli occhi degli amici ritrovatisi è un bacino di acque morte e inquinate sulle quali galleggiano relitti di guerra, e nel mezzo del quale sorge il pinnacolo spettrale di Orthanc. Saruman è prigioniero, e la sua potenza, forse, definitivamente offuscata.

Capitoli X – La voce di Saruman

È l’ultimo atto della guerra tra Rohan e Isengard: il tentativo che Gandalf deve fare per riportare Saruman dalla parte del bene nella lotta contro Sauron. L’incontro avviene sotto il balcone che sovrasta il grande portale della torre di Orthanc; su di esso Saruman, come un vecchio lupo braccato, si rivolge ai vincitori cercando di sfruttare per l’ultima volta il suo più grande potere: il fascino incantatore della sua voce. Prima dunque cerca di circuire nuovamente la volontà di Théoden, proponendogli una nuova alleanza; ma Théoden riesce a liberarsi dell’incanto definitivamente, rifiutando ogni compromesso col traditore. Poi il capo degli stregoni prova disperatamente a convincere nuovamente Gandalf a stringere un patto di collaborazione, ma si deve accorgere che ogni potere è svanito. Gandalf è ora il capo del suo ordine, e per l’autorità conferitagli, priva Saruman del suo bastone e lo condanna a rimanere prigioniero della rocca, nell’attesa angosciosa di un ignoto e minaccioso destino.

Proprio mentre il corteo con Gandalf e Théoden si allontana, da un’alta finestra della torre Vermilinguo – anch’egli prigioniero degli Ent – cerca di uccidere Saruman facendo cadere un pesante oggetto che piomba invece ai piedi di Gandalf. Lo raccoglie Pipino, rimanendo scosso dalla sua inquietante presenza: è infatti una dei Palantíri, le pietre veggenti di Númenor con cui Saruman dialogava segretamente con Mordor.

Capitolo XI – Il Palantír

Il corteo reale si allontana dalla rocca di Orthanc, proprio mentre un urlo raccapricciante dal suo interno fa capire che Saruman ha scoperto qual era l’oggetto con cui Vermilinguo ha tentato di ucciderlo. I due saranno costretti a condividere una prigionia piena di odio e rancore.

Usciti da Isengard, Merry sul cavallo di Gandalf e Pipino su quello di Aragorn, i cavalieri e i loro alleati si apprestano a trascorrere una notte di riposo prima di raggiungere il Fosso di Helm in vista di un consiglio di guerra. Nel buio della notte, Pipino tuttavia fatica a trovare riposo: il suo pensiero è inquieto, attratto dal mistero del nero cristallo col cuore luminoso in cui per un breve attimo ha avuto la ventura di sbirciare. E incapace di trovare sonno, ad un tratto si alza e, come un ladro, sottrae il Palantír dalle braccia di Gandalf dormiente per potervi un’ultima volta gettare un’occhiata. Ma il potere della sfera è troppo forte per lui: fa appena in tempo a sollevare il mantello che lo riveste, che viene subito catturato dal lume crudele che cova in esso e si accascia, fulminato, con un grido.

Tutto l’accampamento è in subbuglio, ma Gandalf non tarda a scoprire il colpevole, rigido e privo di sensi accanto alla sfera. Dopo averlo rianimato lo interroga severamente, ottenendo da Pipino una piena confessione: egli ha parlato con Sauron, ha dovuto dirgli che è uno Hobbit, ed ora è divenuto oggetto della sua crudele e ansiosa attenzione. Come Gandalf può infatti desumere dal racconto dell’hobbit, l’Oscuro Signore è ormai convinto che Saruman abbia rapito il portatore dell’anello e lo stia torturando con l’uso della sfera; presto invierà dunque un suo messaggero per portare nella Torre di Barad-dûr il presunto prigioniero.

Non rimane che sciogliere l’accampamento e dividersi: Théoden e i suoi cavalieri, con Aragorn, Gimli e Legolas, dovranno marciare a tappe forzate verso il Fosso di Helm; Gandalf, con Pipino, cavalcherà veloce come il vento verso Minas Tirith, la capitale di Gondor. La guerra si sta avvicinando. E mentre tutti si apprestano a partire, nel buio della notte sfreccia sulle loro teste un Cavaliere nero alato, un Nazgûl sulla sua mostruosa creatura volante: è diretto a Isengard.

Regia di Peter Jackson

Con: Elijah Wood, Ian McKellen, Liv Tyler e Viggo Mortensen

Fonte: WIKIPEDIA