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Anticipazioni per “L’angelo di fuoco” di Prokof’ev del 7 gennaio alle 23 su Rai 5: dal Teatro dell’Opera di Roma

l'angelo di fuoco

Anticipazioni per “L’angelo di fuoco” di Prokof’ev del 7 gennaio alle 23 su Rai 5: diretto da Alejo Pérez per la regia di Emma Dante dal Teatro dell’Opera di Roma – Un’allucinazione sulfurea fra isteria, demoni ed esorcismi: è “L’angelo di fuoco” di Prokof’ev, proposto nell’allestimento firmato da Emma Dante e diretto da Alejo Pérez, in scena al Teatro dell’Opera di Roma, in onda sabato 7 gennaio alle 23.00 su Rai 5.

Tra i protagonisti Ewa Vesin Leigh Melrose Anna Victorova Mairam Sokolova. Regia tv di Carlo Gallucci

L’angelo di fuoco (titolo originale russo Огненный ангел, Ognenny angel) op. 37 è un’opera lirica in cinque atti scritta da Sergej Prokof’ev tra il 1919 e il 1926; il libretto è tratto da un romanzo di Valerij Jakovlevič Brjusov ed è stato redatto dal compositore stesso.

Nel 1919, durante la sua permanenza negli Stati Uniti, Prokof’ev trovò, in una libreria di New York, una nota rivista russa, Vesij; sfogliandola lesse la storia narrata dal poeta simbolista Brjusov sull’Angelo di fuoco, pubblicata a puntate[1]. Il compositore, affascinato dalla trama del romanzo, senza alcuna commissione, iniziò subito ad abbozzare un’opera sullo stesso argomento e ne scrisse il libretto. Il lavoro era però destinato a essere lungo e difficile, cosa insolita per Prokof’ev che era noto per comporre rapidamente le sue partiture.
Quando nel marzo del 1922 il musicista si trasferì a Ettal sulle Alpi Bavaresi, l’ambiente e l’atmosfera suggestiva del luogo gli diedero ulteriori ispirazioni per la sua composizione; qui Prokof’ev rimase per più di un anno, fino all’ottobre del 1923, componendo gran parte dell’Angelo di fuoco. Il musicista terminò definitivamente l’opera a Parigi nel 1926 e si mise al lavoro per rifinire l’orchestrazione; nello stesso periodo Bruno Walter, direttore della Städtische Oper di Berlino ebbe notizia, probabilmente da Serge Kussevitzky, del lavoro di Prokof’ev e si dimostrò interessato a metterlo in scena[2].
Le trattative però non andarono in porto, per diversi motivi; Prokof’ev aveva rivisto l’orchestrazione per la messinscena, ma le parti non arrivarono sufficientemente in tempo e la produzione venne sospesa. Inoltre, probabilmente, Bruno Walter si rese conto della complessità dell’opera e dei costi eccessivi per la realizzazione[2]. Nel giugno 1928 Kussevitzky si interessò ancora all’opera e volle dirigere, ma solo in forma di concerto, a Parigi alla Salle Pleyel, il secondo atto decurtato però di alcune scene. Nel 1930 il Metropolitan si mise in contatto con Prokof’ev per realizzare l’opera, ma anche questa volta le trattative non andarono a buon fine.
Per non accantonare del tutto il suo lavoro il musicista nel 1928 ne riprese alcune parti inserendole nella Sinfonia n. 3 op.44.

Il destino dell’Angelo di fuoco fu di rimanere dimenticato per molto tempo presso l’editore parigino di Prokof’ev. Il compositore purtroppo, essendo morto nel 1953, non riuscì mai a vedere realizzata la sua opera. La riscoperta del lavoro nel 1952 fece sì che venisse finalmente eseguito, prima in forma di concerto al Théâtre des Champs-Élysées a opera della Radio francese il 25 novembre 1954, poi, nella sua interezza, venne rappresentato al Festival di Musica Contemporanea di Venezia al Teatro La Fenice il 14 settembre 1955 nella versione italiana di Mario Nordio. La direzione fu di Nino Sanzogno, la regia di Giorgio Strehler, i costumi di Ezio Frigerio, le scene di Luciano Damiani, nel ruolo della protagonista vi fu Doroty Dow.

Argomento

Il romanzo di Valerij Brjusov

Il poeta simbolista Brjusov scrisse L’angelo di fuoco in chiave simbolica per raccontare una sua vicenda personale in risposta ai ripetuti attacchi letterari subiti da parte di Andrej Bugaev detto Belyj, suo collega e amico poi diventato suo rivale; la causa di tutto fu la relazione con Nina Petrovskaja, moglie dell’editore che pubblicava le opere dei poeti simbolisti[1], donna provocante dal carattere irrequieto e passionale che fu amante prima di Belyj e poi di Brjusov.
Brjusov finge nel romanzo di ritrovare un antico manoscritto in cui l’autore narra in sostanza la storia della sua relazione con Nina. Il racconto è fatto in prima persona dal protagonista maschile, Ruprecht, testimone dei fatti e sotto il cui nome di nasconde il poeta stesso.
L’ambientazione è collocata nella Germania del XVI secolo; qui si svolge la storia della tragica ossessione di Renata (Nina), giovane che dopo esser stata avviata a una vita di santità, viene tentata e corrotta dal Diavolo che le è apparso come spirito luminoso, l’Angelo di fuoco (Belyj). Su di uno sfondo che riunisce storia e fantasia si sviluppano numerose vicende con scene di possessione, incantesimi, incontri col Demonio, duelli d’onore, fughe in convento, intervento dell’Inquisitore e infine la condanna al rogo della giovane. Renata muore in cella tra le braccia di Ruprecht che tentava di salvarla; il protagonista alla fine si riconcilia col rivale, decide di partire e, in attesa di imbarcarsi, scrive il manoscritto.
Al suo romanzo “storico” Valerij Brjusov aveva posto un sottotitolo:

«ovvero un veridico racconto in cui si narra del diavolo, il quale più di una volta, in figura di spirito luminoso, appare ad una vergine e la spinge a molteplici azioni peccaminose, in cui si parla delle pratiche, contrarie a Dio, della magia, dell’alchimia, dell’astrologia, della cabalistica e della negromantica, e si racconta del processo ad una vergine diretto dall’arcivescovo di Treviri, ed egualmente degli incontri e colloqui di un cavaliere con il tre volte dottore Agrippa di Nettesheim e con il dottor Faust, il tutto comunicato da un testimone oculare[3]»

L’opera di Prokof’ev

Il finale del romanzo che si risolve pacatamente senza eccessi non aveva soddisfatto Prokof’ev, soprattutto per ragioni teatrali; egli mirava infatti a un epilogo spettacolare a coronare un’opera importante e drammatica[2]. Il musicista concentrò allora tutto il lavoro sulla figura di Renata che divenne protagonista assoluta, e terminò l’opera con il rogo su cui muore la giovane.

  • Atto primo

In una squallida locanda il cavaliere Ruprecht trova un riparo per la notte. Sta per addormentarsi quando viene svegliato dalle grida di una giovane, Renata, che, in preda a un delirio, tenta di scacciare il demonio. Ruprecht va in suo soccorso e riesce a calmarla. La giovane gli racconta che fin da quando aveva otto anni era innamorata di un angelo luminoso, Madiel, che per lungo tempo la seguì, la protesse e la educò a diventare santa. A sedici anni però Renata chiese all’angelo di unirsi a lei fisicamente. Madiel, adirato, si trasformò in colonna di fuoco e sparì. L’angelo le riapparve in sogno e le promise di tornare da lei con un aspetto umano. Renata in seguito pensò di averlo riconosciuto nel conte Heinrich di cui dopo poco divenne amante. Il conte poi la abbandonò e la giovane da allora vaga alla ricerca di lui. Terminato il racconto ella chiede a Ruprecht di aiutala a ritrovare l’amato.

  • Atto secondo

I due giovani si recano a Colonia e qui, nella stanza dove vanno a vivere, Renata cerca di evocare gli spiriti per ritrovare Heinrich, usando dei testi di magia proibiti portati dal libraio Glock, amico di Ruprecht. Il cavaliere si reca quindi da Agrippa di Nettersheim, un filosofo che ha fama di mago, ma non ottiene nulla nemmeno questa volta.

  • Atto terzo

Nel frattempo Renata riesce a scovare il conte, bussa alla sua porta, ma viene respinta; solo allora comprende che Heinrich non è il suo angelo. Ruprecht, uscendo dalla casa di Agrippa, ritrova Renata che, per vendicarsi, lo spinge ad affrontare in duello il conte. Il cavaliere accetta per compiacere Renata di cui ormai è innamorato; nel duello viene però ferito gravemente e cade in preda al delirio; l’assistente al duello va immediatamente in cerca di un medico. Renata, vedendo Ruprecht in gravi condizioni, capisce di amarlo.

  • Atto quarto

Ruprecht e Renata vivono ormai insieme, ma la giovane improvvisamente decide di prendere i voti per il bene della propria anima; fugge e si reca in un convento. Ruprecht, cercando Renata, conosce in un’osteria Faust e Mefistofele e qui assiste a un prodigio; Mefistofele, per punire un garzone negligente, lo divora in un boccone per poi farlo ritrovare sano e salvo in un secchio della spazzatura.

  • Atto quinto

Renata è in convento, vestita da novizia. Mefistofele e Faust accompagnano Ruprecht per la cerimonia di consacrazione. Due giovani monache improvvisamente vengono possedute dal demonio e viene chiamato l’Inquisitore. A poco a poco tutte le monache e anche Renata diventano prede del diavolo e si esibiscono in una danza selvaggia e grottesca. Non riuscendo a esorcizzare le forze del male, l’Inquisitore condanna Renata al rogo ritenendola colpevole di aver portato con sé il maligno nel convento.

Analisi

L’angelo di fuoco segna un punto fermo nella produzione musicale di Prokof’ev. L’opera è indicativa non solo del definitivo interesse “storico” del musicista, che prevarrà su quello, se pure importante, “favolistico”, ma soprattutto denota un’importante mediazione fra l’origine ottocentesca della sua musica e il modernismo. Il compositore riesce infatti a conciliare nel suo lavoro un ampliamento dell’armonia con una concezione più tradizionale della tonalità[4]

L’opera inizia senza alcuna introduzione con l’incontro dei due protagonisti ed è costruita con scene indipendenti, legate fra di loro solo dalla musica. Elemento dominante è Renata, la cui presenza pressoché incessante in scena ne fa praticamente l’unica vera protagonista; la sua vocalità esasperata caratterizza uno dei ruoli più impegnativi nella storia dell’opera[5].
La drammaticità del lavoro è sottolineata da un costante uso del declamato[1] e dalla violenza fonica sia nella difficile parte vocale di Renata, sia in diversi momenti orchestrali. L’ambivalenza dell’opera, sempre in bilico fra ragione e follia, fra realtà e magia, fra bene e male, è costruita da Prokof’ev con uno sviluppo musicale che alterna momenti di grande lirismo e tensione emotiva ad altri in cui l’ostinazione ritmica, il recitativo e il declamato ottengono un vero e proprio effetto ossessivo.
Caratteristico de L’angelo di fuoco è l’uso del leitmotiv, tanto da far parlare di un quiescente wagnerismo[2]. I motivi, sempre brevi, caratterizzano i personaggi e sono essenzialmente tre: il tema emotivo di Renata, quello di Ruprecht, più incisivo, e quello delle presenze malefiche, ostinato. In Prokof’ev però non sono temi conduttori, ma evocazioni che sottolineano i personaggi e richiamarli serve a riportare l’attenzione e l’emozione dell’ascoltatore agli avvenimenti, coinvolgendolo con incisività [2]. Indicativa è l’enunciazione del motivo di Renata con un fortissimo orchestrale sottolineato da dissonanze deformanti nell’epilogo, con la drammatica condanna pronunciata dall’Inquisitore[1].
Non mancano, tuttavia, in quest’opera, come d’altra parte in molte altre di Prokof’ev, momenti grotteschi e farseschi, se non addirittura caricaturali, come nella scena dello scherzo diabolico operato da Faust nell’osteria.

Soltanto dopo la sua tardiva rappresentazione pubblico e critica scoprirono come la musica di Prokof’ev avesse creato un realismo romantico che riusciva a fondere, in modo mirabile, modernismo e tradizione, facendo de L’angelo di fuoco il capolavoro teatrale del compositore[4].

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