domenica, Ottobre 6, 2024
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La storia di Cosa Nostra, la Mafia Siciliana

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La storia di Cosa Nostra, la Mafia Siciliana 

Di Nicola Comparato

Con il termine “Cosa Nostra” viene indicata generalmente l’organizzazione criminale mafiosa e siciliana composta da “uomini d’onore”, dopo le rivelazioni del collaboratore di giustizia (pentito) Tommaso Buscetta, al giudice Giovanni Falcone nel 1984. La mafia in Sicilia ha origine nella parte Occidentale dell’isola agli inizi dell’800. Di struttura piramidale e verticistica, il suo organo di base è “la famiglia”, da non intendere come parentele di sangue come per la ‘Ndrangheta calabrese. Nella mafia siciliana la famiglia è retta da un rappresentante, eletto “democraticamente” al quale viene affidato il controllo un determinato territorio. Storicamente, il centro delle attività e delle decisioni di Cosa Nostra risiedono nella città di Palermo. Dalla seconda metà degli anni ’50, su consiglio di Cosa Nostra americana, la Mafia Siciliana comincia ad attuare una struttura gerarchica di livello superiore generalmente detta “Commissione” oppure “Cupola”.

Qui rientrano i maggiori capi dell’organizzazione dislocati nelle varie province del territorio siciliano. I “picciotti” alla base della piramide mafiosa sono considerati l’esercito di Cosa Nostra. Sopra di loro troviamo la figura del “capodecina”, che detiene il controllo sull’operato di dieci uomini scelti. Un gradino più in alto identifica la figura del “capo mandamento”, ovvero un insieme di tre famiglie contigue a livello territoriale, che compongono la “commissione provinciale”. In caso di arresto di un capo mandamento oppure di un capo famiglia, il suo posto viene occupato in modo provvisorio da un reggente. L’ingresso nell’organizzazione avviene tramite “chiamata” e le norme comportamentali interne sono a dir poco rigide. In genere il soggetto in questione, viene sottoposto ad un periodo di osservazione, in modo da poterne valutare le capacità criminali. In seguito, l’individuo scelto, dopo l’autorizzazione del Capo Famiglia, viene avvicinato e invitato, a compiere alcune azioni delittuose insieme ad altri membri di Cosa Nostra, rendendolo di fatto un “affiliato” dell’organizzazione. Successivamente, per diventare “picciotto”, la persona deve sottoporsi ad un rito di affiliazione, dinanzi alla presenza di altri membri dell’organizzazione. Durante il rito, il prescelto deve recitare un solenne giuramento di fedeltà eterna all’organizzazione, che consiste nel passarsi tra le mani un’immagine sacra sulla quale, precedentemente, erano state fatte cadere alcune gocce del suo sangue da un dito che gli era stato punto. Questo passaggio in dialetto viene descritto con il termine punciutu.

Tra le regole fondamentali di Cosa Nostra, prima fra tutte vige quella di non poter far parte dell’organizzazione se imparentati con membri delle forze dell’ordine e magistrati. Durante gli anni ’90, per ridurre i danni provocati dai collaboratori di giustizia pentiti, come ad esempio i numerosi arresti e le confische di beni, Cosa Nostra ha deciso di modificare parzialmente la sua struttura seguendo una logica di compartimentazione per certi versi presa in prestito dalla ‘Ndrangheta calabrese. In parole povere, i membri di un determinato gruppo riconoscono soltanto il loro capo e gli altri partecipanti, riconoscendo di fatto solo una parte dell’organizzazione anziché tutto il suo insieme strutturale.

Così facendo, un eventuale membro arrestato limita i danni in caso di collaborazione con la giustizia in fatto di rivelazioni. Non a caso sono stati molti gli omicidi commessi da Cosa Nostra ai danni di famigliari di boss pentiti dopo la loro decisione di collaborare con lo Stato Italiano. Tra i vari casi, primo fra tutti è stato senza ombra di dubbio il rapimento e la prigionia della durata di due anni del dodicenne Giuseppe Di Matteo (19 gennaio 1981, Palermo-11 gennaio 1996, Giardino della Memoria), figlio di Santino Di Matteo, membro di Cosa Nostra divenuto in seguito collaboratore di giustizia. Il piccolo viene strangolato e sciolto nell’acido su mandato dei boss mafiosi Matteo Messina Denaro, Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella.

Ma oltre ai crimini violenti, uno dei punti di forza di Cosa Nostra è sempre stato il suo legame con il mondo politico, per ottenere appalti ed impunità. Questo riporta alla figura dei mafiosi ai tempi del latifondismo, i cosiddetti gabelloti, ossia individui che per avere in affitto i terreni del feudatario della situazione, pagavano a quest’ultimo una gabella, ovvero un dazio di consumo. I  gabelloti si avvalevano dei cosiddetti “campieri”, una sorta di polizia privata del feudo, per avere maggiore sicurezza, protezione e controllo delle attività. A loro volta i gabelloti, per un prezzo nettamente superiore a quello della gabella versata al feudatario, affittavano i terreni ai contadini. In tutto questo, con l’ausilio dei “campieri” e dei loro uomini di fiducia chiamati “soprastanti”, i gabelloti sedavano le richieste dei lavoratori contadini con l’utilizzo della violenza.

Come ricordato nella Relazione sui rapporti tra Mafia e politica della Commissione parlamentare antimafia della XI legislatura1, Cosa Nostra è stata utilizzata anche per sedare con metodi violenti, le rivolte dei contadini siciliani, che, riuniti nei fasci, chiedevano la distribuzione dei terreni e la definitiva abolizione del latifondo. Molte sono state le camere del lavoro devastate e i sindacalisti uccisi da Cosa Nostra in quegli anni. Ma oltre a questi fatti, sono numerosi gli omicidi compiuti da Cosa Nostra ai danni di rappresentanti delle istituzioni e degli uomini politici, portando così la Mafia siciliana dai mercati ortofrutticoli delle campagne, agli appalti e al potere nelle città tra gli anni 1970/80, soprattutto grazie alle ricchezze e al potere ottenuto dal traffico di sostanze stupefacenti, affare losco ma molto più redditizio del contrabbando di sigarette, che in breve tempo causa una guerra di mafia, la morte di molti mafiosi e la successiva e conseguente ascesa al potere del clan dei Corleonesi famosi per la loro inaudita ferocia. Infatti, nell’anno 1992, e rispettivamente il 23 maggio a Capaci (Pa) e il 19 luglio in via Mariano D’Amelio a Palermo, la Mafia Siciliana con a capo il corleonese Salvatore “Totò” Riina, (Corleone 16-11-1930– Parma 17-11-2017) uccide con due attentati dinamitardi i giudici Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo, e Paolo Borsellino, insieme agli agenti delle loro rispettive scorte scuotendo in modo terribile tutta l’opinione pubblica nazionale. 

L’anno successivo, nel 1993, è la volta di alcune autobombe a Milano, Firenze e Roma, che causano la morte di alcuni cittadini. A pagarne le conseguenze è anche il patrimonio artistico di quelle città. Tutto questo per cercare di ammorbidire lo Stato in merito ad alcune leggi antimafia. Ma lo Stato italiano non scende a compromessi e non si lascia intimidire. Il lavoro messo in atto porta alla cattura di tanti esponenti dell’organizzazione, tra i quali Salvatore Riina, da più di vent’anni latitante, arrestato il 15 gennaio ’93 a Palermo dalla squadra speciale dei ROS denominata CRIMOR capeggiata dal Capitano Ultimo (Sergio De Caprio). In seguito all’arresto di Riina, il comando di Cosa Nostra passa nelle mani di Bernardo Provenzano (Corleone 31-01-1933 Milano 13-07-2016). In questo periodo la strategia della Mafia Siciliana vede l’utilizzo dei cosiddetti pizzini, ovvero pezzi di carta con messaggi in codice realizzati con una vecchia macchina da scrivere, per favorire la comunicazione tra mafiosi senza destare particolari sospetti ed evitare eventuali intercettazioni.

È il periodo delle collaborazioni con le organizzazioni criminali estere, delle corruzioni, delle estorsioni, del traffico di sostanze stupefacenti, del riciclaggio di denaro tramite professionisti insospettabili, e delle infiltrazioni negli appalti pubblici, ma senza l’utilizzo degli atti violenti ed eclatanti che per anni hanno contraddisto i Corleonesi. Il boss Bernardo Provenzano, dopo ben  quarantatrè anni di latitanza, viene arrestato il giorno 11 aprile 2006, a Corleone, in località Montagna dei Cavalli in una masseria. In seguito al suo arresto, tra gli eredi al titolo di Capo dei Capi di Cosa Nostra spiccano il boss Matteo Messina Denaro, a capo dell’organizzazione nella provincia di Trapani, latitante per 30 anni fino al suo arresto avvenuto il giorno 16 gennaio 2023 nei pressi di una clinica privata di Palermo, e il boss Salvatore Lo Piccolo, del mandamento di San Lorenzo, ma molto influente nella parte occidentale della provincia di Palermo, arrestato a Giardinello, una località situata nei pressi di Carini in provincia di Palermo il 5 novembre 2007. Con lui anche il figlio Sandro e i due boss mafiosi Gaspare Pulizzi, capo della mafia a Carini e Andrea Adamo, reggente del quartiere di Brancaccio. 

Ma è senz’altro l’arresto di Matteo Messina Denaro quello che ha destato più scalpore perché accaduto in questo 2023 e che proprio negli ultimi giorni ha dichiarato: “Mi avete preso per le mie condizioni di salute… Non mi pentirò mai… Non ho mai commesso stragi… Cosa Nostra la conosco solo dai notiziari”. Analizzare la Mafia in tutte le sue forme è a dir poco complicato, ma secondo le ricerche effettuate dalla Direzione Nazionale Antimafia, ciò che la caratterizza maggiormente è la presenza della cosiddetta area “grigia”, ovvero quell’insieme di elementi che non fanno parte della criminalità organizzata direttamente, ma che in qualche modo hanno rapporti e legami con quest’ultima. Persone che agiscono nella legalità e forniscono supporto e consulenza alla criminalità per gli affari, come ad esempio burocrati, politici, imprenditori e tanti altri. Questo ha permesso alla Mafia nel corso del tempo di allargare i suoi confini anche al di fuori della regione Sicilia e di renderla presente in Lazio, Toscana, Liguria, Piemonte, Lombardia, ed Emilia Romagna. Oggi Cosa Nostra è invisibile agli occhi di molti perché non uccide più, non commette stragi, non riempie le pagine dei giornali nazionali. Ma forse è proprio questo il problema più grande. La Mafia è ancora viva, e probabilmente è più forte di prima, proprio perché non ha più bisogno di uccidere. 

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