venerdì, Giugno 13, 2025
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Vittime di Mafia: la storia di Boris Giuliano

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Vittime di Mafia: la storia di Boris Giuliano

Di Nicola Comparato

Oggi ricordiamo Giorgio Boris Giuliano (22 ottobre 1930, Piazza Armerina provincia di Enna – 21 luglio 1979, Palermo), il capo della squadra mobile di Palermo, assassinato in un agguato mafioso al Bar Lux nel capoluogo siciliano dal cognato di Totò Riina Leoluca Bagarella. Figlio di un sottufficiale della Marina militare di stanza in Libia, e per questo grande conoscitore di questo paese del Nord Africa, Boris Giuliano diventa capo della squadra mobile di Palermo nell’anno 1976, e durante i suoi anni di servizio, si aggiudica il primato di primo investigatore in assoluto a seguire il flusso di denaro tra la regione Sicilia e gli Stati Uniti d’America in merito al traffico di sostanze stupefacenti. Nell’anno 1941 la famiglia Giuliano decide di fare ritorno in Sicilia, a Messina, ed è qui che Boris nel 1956 si laurea in giurisprudenza.

Oltre ai suoi successi a livello di studi, Boris Giuliano durante gli anni dell’università coltiva la sua forte passione per lo sport, che lo porta a giocare in serie B con la squadra locale di pallacanestro, il Cus Messina. Boris comincia la sua carriera lavorativa in una piccola azienda manifatturiera, la Plastica Italiana e dopo questa esperienza decide di trasferirsi a Milano. Negli anni ’60 sente il forte richiamo della sua terra, ed entrato in polizia fa subito richiesta di trasferimento nella città di Palermo. Sono anni difficili, in cui la Mafia uccide senza pietà tutte le persone considerate un ostacolo per la criminalità organizzata. Nonostante le difficoltà e gli impegni di lavoro, Boris Giuliano continua a vivere la sua vita nel migliore dei modi, senza mai trascurare l’amore per sua moglie Ines Maria Leotta e per i loro tre figli Selima, Emanuela e Alessandro. Inoltre, il suo istinto da poliziotto e il suo senso del dovere lo portano ad abbandonare il suo precedente lavoro da impiegato in una multinazionale tedesca per scegliere di indossare la divisa. Questo dopo la terribile strage di Ciaculli del 1963, anno in cui viene assegnato alla sezione omicidi, dove perdono la vita sette membri delle forze dell’ordine.

Un fatto che impressiona non poco il futuro capo della squadra mobile, che chiede di essere trasferito a Palermo ancor prima di terminare la scuola di Polizia. Sono gli anni della prima guerra di mafia, ricordata dalle cronache del tempo con l’appellativo di stagione delle giuliette, in riferimento al tipo di veicolo rubato e utilizzato con la funzione di autobombe dalla criminalità organizzata. Mentre tutti scappano da Palermo, Boris Giuliano decide di restare e di lottare fino alla fine. Inoltre, data la sua ottima conoscenza della lingua inglese, Boris viene scelto come unico poliziotto italiano per svolgere un addestramento speciale al fianco degli uomini della DEA e dell’FBI a Quantico, in Virginia, e in questo periodo, il suo aspetto originale e i suoi folti e lunghi baffi neri, gli fanno guadagnare il soprannome di Sceriffo Americano. Negli anni ’60 come ben sappiamo, non sono ancora molte le risorse tecnologiche per le indagini di polizia. Sono anni in cui tutto va a rilento ma questo non è un problema per Boris, che solo grazie al suo intuito investigativo controlla il territorio, individua le famiglie mafiose e crea apposite schede informative sui vari pregiudicati.

Nel corso del tempo instaura un forte legame di rispetto e amicizia con il giudice Giovanni Falcone, soprattutto grazie allo slogan Follow the money, che descrive la strategia investigativa sulle indagini bancarie per scoprire i traffici illeciti. Oltre a questo, tra le tante indagini condotte, è indimenticabile quella sulla scomparsa del giornalista de “L’ora” Mauro De Mauro, molto noto nel 1970 perché in procinto di pubblicare svariato materiale informativo in merito alla misteriosa morte dell’imprenditore Enrico Mattei. Ma anche quella riguardante l’omicidio del giornalista Mario Francese, ed ancora l’indagine sull’omicidio del boss Di Cristina, che Boris Giuliano vede collegato al riciclo di denaro sporco ad opera di Michele Sindona, banchiere della Banca Privata Finanziaria legato allo IOR, l’Istituto di Credito Vaticano. Sul finire degli anni ’70, più precisamente nel giugno del 1979, una delle ultime operazioni di Boris Giuliano, è quella che porta al sequestro di alcune valigette contenenti 500.000 dollari all’aeroporto di Palermo, seguita pochi giorni dopo dal sequestro di una partita di eroina purissima a New York spedita da Palermo e stimata 10 miliardi delle vecchie lire. Questi fatti sono ricordati come lo smantellamento della rete di narcotraffico internazionale tra Palermo e New York gestita dai corleonesi. Ma adesso avviciniamoci sempre di più a quel triste giorno.

È il 29 aprile del 1979. Squilla il telefono alla Questura di Palermo. Il boss Marchese, pronuncia le parole “Boris Giuliano morirà”. Tre mesi dopo, la mattina del 21 luglio 1979 presso il bar Lux di Palermo situato in via Francesco Paolo Di Blasi, ben sette colpi di pistola di una Beretta 7.65, raggiungono la schiena del commissario della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano uccidendolo. L’assassino è il boss mafioso corleonese Leoluca Bagarella, braccio destro e cognato di Totò Riina. Ad occuparsi del delitto è il Pool di Palermo, e nel 1986 durante il maxiprocesso a Cosa Nostra, la cupola composta da Totò Riina, Bernardo Provenzano e Filippo Marchese viene condannata. Cosa diversa per l’esecutore materiale dell’omicidio. Infatti l’accusa nei confronti di Leoluca Bagarella giunge solo a metà degli anni novanta, dopo le rivelazioni di Giovanni Brusca, ex boss di Cosa Nostra divenuto poi pentito e collaboratore di giustizia. E con queste ultime parole si conclude la storia di Boris Giuliano, un uomo, un poliziotto, un padre, un marito, che ha fatto dell’amore per la giustizia la sua principale ragione di vita.

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