Rieti-Prosegue la stagione teatrale da tutto esaurito al Teatro Flavio Vespasiano. Sabato 9 marzo sarà la volta di “Le bal – L’Italia balla dal 1940 al 2001”, una creazione del Théâtre du Campagnol, da un’idea e dalla regia di Jean-Claude Penchenat. Si tratta dell’adattamento italiano con coreografie di Ilaria Amaldi, regia di Giancarlo Fares con Riccardo Averaimo, Giulia Bellanzoni, Alberta Cipriani, Manuel D’Amario, Giancarlo Fares, Alice Iacono, Francesco Mastroianni, Pierfrancesco Perrucci, Maya Quattrini, Viviana Simone e Sara Valerio il 9 marzo ore 21. Tutto si svolge in una balera, luogo di incontro di uomini e donne agée: un caleidoscopio di accadimenti che accompagna il pubblico in un appassionante viaggio nel tempo scandito dalla musica che si fa drammaturgia. Le coppie ballano e in un crescendo si spogliano dei loro abiti grigi per tornare magicamente al 1940.

Il teatro Flavio Vespasiano è il principale teatro di Rieti. Fu inaugurato il 20 settembre 1893, dopo dieci anni di lavori e ritocchi sotto la direzione dell’architetto milanese Achille Sfondrini.[1] È intitolato all’imperatore Vespasiano, che aveva origini sabine[1] (essendo nato a Vicus Phalacrinae, odierna Cittareale).
Annualmente vi si svolgono il Rieti Danza Festival, il Concorso internazionale per le nuove voci della lirica “Mattia Battistini”, il Concorso nazionale per giovani attori e alcuni spettacoli del Reate Festival.
Storia
Le prime notizie sull’esistenza di un’attività teatrale a Rieti risalgono ai secoli XV – XVI, quando le confraternite religiose organizzavano spettacoli all’aperto nelle principali piazze della città.[2]
Sul finire del Cinquecento, l’esigenza di organizzare gli spettacoli in luoghi chiusi e riparati portò alla nascita del teatro dell’Accademia del Tizzone, che si trovava in via Terenzio Varrone presso un ex ospedale.[2]
Tuttavia i locali destinati al teatro erano molto ristretti e così, tra il 1765 e il 1768, l’edificio venne demolito per fare posto al teatro dei Condomini, una struttura più ampia realizzata in legno, che fu il primo vero teatro esistito a Rieti.[2]
Progettazione e costruzione
Già all’inizio dell’Ottocento a Rieti si sentiva la necessità di realizzare un teatro più grande e più solido, sia per via del crescente numero di spettatori delle rappresentazioni teatrali, sia per la volontà di realizzare un edificio di maggiore prestigio architettonico, che potesse competere con gli omologhi edifici che si andavano costruendo nel resto d’Italia.[2]

Nel 1838 venne redatto un primo progetto, ad opera dell’architetto Luigi Poletti, che prevedeva la costruzione di una struttura in piazza Oberdan,[2] ma l’idea venne accantonata e le “redini” del progetto vennero affidate all’architetto Vincenzo Ghinelli il quale individuò un nuovo sito in un’area su via Garibaldi.[2]
L’opera si dimostrò molto costosa, tanto che nel 1859 fu coinvolta nell’iniziativa anche la Cassa di Risparmio della città e nel 1867 il Comune rilevò la completa gestione dei lavori, affidandoli all’architetto Achille Sfondrini,[2] già autore del Teatro Costanzi di Roma.
Anche l’assegnazione del nome non fu facile. Da una parte c’era chi chiedeva che la nuova struttura venisse intitolata al compositore reatino Giuseppe Ottavio Pitoni, dall’altra chi sosteneva il nome dell’imperatore romano Vespasiano, rimproverando al Maestro un’appartenenza troppo clericale; furono poi proprio questi ultimi a prevalere.
L’urgenza di realizzare la nuova struttura fu evidenziata nel 1882, quando una legge dichiarò inagibili i teatri lignei perché troppo pericolosi, determinando la chiusura del teatro dei Condomini.[2] Questo avvenimento portò a rompere gli indugi, e così il 16 dicembre 1883 fu posata la prima pietra del nuovo teatro.[3]
L’edificio venne innalzato rapidamente e nel 1885 la struttura era già completa.[2] Molto più tempo fu richiesto per la decorazione degli interni.[2] Nel 1893, nell’ambito della realizzazione del teatro, fu realizzato il collegamento pedonale tra il retro del teatro e la sottostante piazza Oberdan, mediante una doppia rampa (soprannominata “pincetto“).[4]
I lavori si conclusero in quello stesso anno: il teatro venne finalmente inaugurato il 20 settembre 1893,[1] con una rappresentazione del Faust di Gounod e della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.[4]
Interno
Per l’interno, lo Sfondrini prese come modello il teatro Verdi che aveva già realizzato a Padova.[2]
Foyer
All’ingresso si trova il foyer, un atrio dominato da cinque pilastri, spesso utilizzato anche come sede di mostre temporanee.[4] Adiacenti all’atrio sono gli ambienti dedicati a fumoir, caffè e botteghino.[2] Al suo interno si trovano busti e lapidi che ricordano i maggiori artisti che si sono esibiti nel teatro, su tutti il baritono Mattia Battistini.[4]
Il soffitto del foyer è decorato da un ovale a tempera che raffigura l’Allegoria della Musica, realizzato nel 1892 dal pittore romano Federico Ballester.[10] Al suo interno, si trova inoltre una tempera che raffigura le Muse, realizzata nel 1916 da Antonino Calcagnadoro.[4] Altre decorazioni sono di Giuseppe Casa.[3]
Circolo di Lettura e Sala degli Specchi
Tra gli ambienti del teatro si trova il Circolo di Lettura, una serie di spazi finemente arredati, un tempo destinati a balli e concerti.[5] L’ambiente principale è la Sala degli Specchi, una stanza decorata sulle pareti da grandi specchi e sul soffitto dalla pittura allegorica Le ebbrezze della Musica di Giulio Rolland.[5] Questi ambienti sono in disuso e in attesa di essere recuperati.[9]
Sala principale
La sala principale, che con il restauro del 2005 ha ritrovato le tonalità “crema” della sua prima apertura nell’800, appare con una platea di 230 poltroncine rosse divisa in due da un corridoio centrale.
Sul perimetro si alzano tre ordini di palchi per un totale di 72 palchetti, 24 per piano, sormontati da un loggione, mentre frontalmente al palcoscenico, al livello del secondo ordine di palchi e immediatamente sopra all’ingresso si pone il palco reale, decorato sul soffitto da un ovale a tempera di Giuseppe Casa che raffigura tre putti; il balcone è ornato con un bassorilievo in stucco con l’immagine di Giuseppe Verdi.[5] I balconi del secondo e del terzo ordine di palchi, così come quello del loggione, sono decorati da putti e stucchi che rappresentano vari musicisti i cui nomi sono riportati immediatamente sotto. Il loggione in origine poteva accogliere più di cento persone tuttavia oggi, per questioni di sicurezza, è predisposto per ospitare solo trentatré spettatori.[5]
La cupola, con il lampadario e la tempera Il trionfo di Tito di Giulio Rolland (1901)
Il sipario con la Resa di Gerusalemme di Antonino Calcagnadoro (1910)
L’intero ambiente è sovrastato da una grande cupola, ornata con un ricco lampadario ed affrescata con una tempera realizzata nel 1901 da Giulio Rolland,[3] che celebra il trionfo di Tito e Flavio a Roma in seguito alla vittoria su Gerusalemme.
Il palcoscenico è chiuso da un sipario istoriato, realizzato nel 1910 da Antonino Calcagnadoro, su cui è raffigurata la resa di Gerusalemme a Vespasiano in seguito all’assedio del 70 d.C.; l’opera è realizzata in tempera su tela ed è ampia 13,4 x 7,6 metri.[6] Lasciato per molti anni all’oblio, nel 2019 il sipario è stato restaurato dall’accademia di belle arti dell’Aquila e nuovamente esposto al pubblico.[6]
Davanti al palcoscenico si trova la fossa, in cui trovano spazio i musicisti.
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