Montereale (AQ) – Nel pomeriggio di sabato 5 ottobre 2024, ho parlato a Ville Fano di Montereale, presso la sede dell’Associazione delle Colline, in occasione del convegno “Gabriele d’Annunzio e la Carta del Carnaro”, con il saggista Michele Antonelli che ha fatto gli onori di casa e la dottoressa Maria Fioravanti. A tal proposito, ho trattato della carica ideologica e rivoluzionaria che si é accumulata con l’Impresa di Fiume che con la fine della Reggenza del Carnaro nel “Natale di Sangue” del dicembre 1920, é deflagrata in tutta Europa, contraddistinguendo i movimenti rivoluzionari per tutto il Novecento, il secolo breve che va secondo alcuni dalla fine della Prima Guerra Mondiale nel 1918, mentre secondo altri dal 1922 con la fine dell’Impero Ottomano (ultimo organismo sovranazionale di diritto divino ancora presente in Europa), fino al 1989 con la caduta del Muro di Berlino, mentre secondo altri fino al 1992, con la caduta dell’Urss.
In seno all’avvento traumatico – definitivo della società contemporanea, si innesta la figura di Gabriele d’Annunzio, primo influencer della storia ante litteram, ultimo dei condottieri rinascimentali che con un proprio esercito personale occupa la libera città di Fiume con le sue prerogative che affondano nelle concessioni sacro-romano imperiali, primo dei leader di uno Stato veramente moderno con la pluralità di diritti garantiti dalla Carta del Carnaro, redatta dal sindacalista Alceste De Ambris e promulgata l’8 settembre del 1920, prima costituzione che garantisce suffragio universale di voto per i cittadini maggiorenni, sia maschi sia femmine, al di là della condizioni economiche e sociali, senza discriminazioni né razziali, né religiose, garantendo pieni diritti agli operai con la socialità delle imprese che crea collaborazione fra impresario e maestranze. A Fiume anche l’omosessualità era tollerata. Molti di questi diritti, solo a partire dalla seconda parte del Novecento saranno garantiti, prima con le costituzioni liberaldemocratiche e successivamente con le proteste del 1968.
La Fiume dannunziana è un vero e proprio pentolone che ribolle con idee non solo nazionaliste, irredentiste e socialiste-nazionali che bollono in pentola, ma anche futuriste – moderniste, radicali, socialiste rivoluzionarie, come testimonia anche il reciproco riconoscimento fra la Reggenza del Carnaro e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Fu proprio la paura di una diffusione di una rivoluzione che partendo da Fiume, si fosse diffusa a tutta Italia contro la monarchia, gli industriali e il papato che condannarono la Reggenza del Carnaro, soffocata tre mesi dopo la sua proclamazione dalle regie forze armate. Ma che sarebbe successo se i legionari fiumani avessero vinto la battaglia contro le truppe regie? O se le truppe regie avessero lasciato passare i dannunziani come già successo a settembre del 1919 con l’Impresa di Fiume? Probabilmente, ci sarebbe stata nel 1920 una Marcia su Roma dannunziana con esiti ben diversi di quella fascista che può considerarsi una rivoluzione incompiuta perché fatta in accordo con i grandi centri di potere economico del nord Italia. Nell’ottobre del 1922 d’Annunzio (forse sbagliando a livello meramente politico) non aiutò le Camicie Nere e i suoi arditi restarono fermi nelle loro sedi pronti ad aspettare un ordine del Comandante che non ci fu.
A dimostrazione della carica rivoluzionaria dello spirito fiumano dannunziano, durante il biennio rosso, Lenin, il grande agitatore russo, dichiarò che d’Annunzio fosse l’unico uomo capace di fare la rivoluzione in Italia. Questo giudizio e la visita al Vittoriale (all’epoca Villa Cargnacco) del Ministro degli Esteri dell’Urss Cicerin suscitarono non solo le gelosie di Mussolini, ma anche la paura del vecchio entourage liberale di una vera e propria rivoluzione socialista capeggiata da d’Annunzio. Chissà qual è la verità sul “Volo dell’Arcangelo” avvenuto il 13 agosto del 1922, pochi giorni dopo il discorso a Milano in Piazza della Scala del 3 agosto 1922, dove apparve come l’unico uomo in grado di tenersi come arbitro fra le estreme tendenze e il programmato, ma mai avvenuto incontro con Nitti e Mussolini del 15 agosto 1922. Quindi è assolutamente riduttivo considerare il pensiero dannunziano solo come il precursore della ideologia e della ritualità fascista.
In merito alla carica rivoluzionaria dell’Impresa di Fiume ha scritto Ruggero Morghen “R. Morghen, Italo Conci e la memoria rimossa, Discovery Abruzzo Magazine, 8 ottobre 2024″ :
“Si riteneva forse che l’Impresa di Fiume….fosse stata una sorta di prova generale della rivoluzione fascista. Lo storico Marco Mondini, del resto, considera proprio Fiume “la sede delle prove tecniche di una guerra civile molto più vasta, che avrebbe interessato l’intero Paese negli anni successivi”. In effetti – come è stato notato – “l’eco della vicenda fiumana sopravvisse a lungo, alimentata soprattutto dal Fascismo che volle segnarne l’immagine rivendicandone i caratteri anticipatori della nuova Italia di Mussolini” .
Così del resto fu per Sandro Pozzi, legionario fiumano e sansepolcrista, che vedeva l’impresa in se stessa come “il fonte battesimale della nuova coscienza italica”, ché “l’azione legionaria di Fiume – così infatti scrisse – forgiò lo spirito nuovo che ha finalmente dato all’Italia una sicura coscienza nazionale” . Ancora negli anni Cinquanta Paolo Alatri “considerava il Comandante e il suo operato politico come apripista di Mussolini”, mentre ora – anche alla luce di “una nuova storiografia più attenta a sottolineare gli elementi libertari di quell’impresa che non il suo essere stata l’apripista della marcia su Roma e del Fascismo” – ci si propone di disegnare “un percorso alternativo a quello solitamente rappresentato e che tende, in maniera incongrua e superficiale, a sovrapporre interventismo, dannunzianesimo e fascismo”.
Sullo spirito rivoluzionario dell’Impresa di Fiume, di seguito il video del mio discorso nella conferenza di Montereale del 5 ottobre:
https://youtu.be/T6Gs3ZrWvzk?si=bkIWph51vIvZLHqT
Cristiano Vignali