Perchè il braccialetto elettronico non funziona? – È una lunga scia di sangue che non accenna ad arrestarsi quella delle donne uccise per mano di uomini con cui hanno avuto relazioni sentimentali nonostante abbiano denunciato le violenze e minacce subite.
Si sta facendo tutto il possibile per prevenire questi accadimenti, queste sofferenze che arrivano fino ad una condanna a morte certa ed inesorabile?
Celeste Palmieri, 56 anni di Sesto Fiorentino, stava rientrando a casa dalla spesa quando è stata aggredita a morte dall’ex marito, il quale indossava il braccialetto elettronico proprio a seguito delle denunce sporte dalla donna, per maltrattamenti e stalking. Celeste è morta, perché? Le forze di Polizia non sono arrivate in tempo? Il braccialetto aveva un guasto? No, è proprio il sistema di tutela che si avvale di un dispositivo obsoleto e che non tutela davvero le vittime di violenza, che va modificato. Ce lo spiega Massimiliano Molese, Presidente Eroinormali e AD di società digitali e di consulenza internazionale, quindici anni di esperienza nell’alta tecnologia, esperto di innovazione applicata all’industria, attivo nel sociale e attento alla questione femminile.
“Il braccialetto elettronico tutela il soggetto che lo indossa e non la persona da difendere – dichiara Molese – e in pochi ne conoscono realmente il funzionamento. Di fatti, non geolocalizza affatto chi lo indossa, ma segnala quando la persona si allontana da un punto definito e non quando entra in contatto con la vittima”. Le forze dell’ordine, numericamente inadeguate a controllare questo fenomeno “sono quindi costrette a disperdere energie e presenza per cercare di prevenire uno spostamento di cui non conoscono nulla – spiega Molese – il carnefice ha il controllo di ciò che sta facendo, dove sta andando, senza che vittima e forze di Polizia ne possano avere contezza. A quel punto procedono per tentativi, mentre l’aguzzino ha tutto il tempo di agire, inesorabilmente e drammaticamente”. Un altro punto importante è che “Il braccialetto non garantisce la certezza della sua integrità poiché può essere sfilato, eludendo la sua seppur poco utile funzionalità”, ha aggiunto il manager.
È possibile risolvere davvero la drammatica problematica alla radice? “Oggi, in un momento storico in cui la tecnologia non rappresenta più alcun limite per la realizzazione di qualsiasi progetto, nessuno si è posto la vera domanda – ha detto Massimiliano Molese – esiste una tecnologia che possa aiutare queste donne, le forze dell’ordine, le famiglie dal patire e subire questa violenza, questo dolore? Certamente”.
Viviamo un’epoca dove tutto è tracciabile, geo localizzabile, monitorabile per qualsiasi scopo ludico o commerciale “è intollerabile che non si possano usare le stesse innovazioni e tecnologie per far sentire controllato il violento e sicura la donna – ha dichiarato – un braccialetto geolocalizzato oggi può, e deve, esistere permettendo alle forze dell’ordine di poter intervenire puntualmente per evitare inutili tragedie senza disperdere energie e presenza a tutela della comunità”. Secondo Molese questo è possibile sfruttando “l’intelligenza artificiale e l’utilizzo di meta dati permettono sia di rispettare la necessità di controllo ed intervento che quella di privacy del violento per cui il dato tracciato diviene comunicato ed utilizzabile solo nel momento in cui si entra in una zona di contatto tra vittima e carnefice proibita”.
La vita di una vittima di stalking “deve essere tutelata e preservata – ha proseguito – pensare che al contrario con l’attuale braccialetto sia la donna a doversi mortificare nella paura e nel silenzio indossando, a sua volta un dispositivo per chiamare le forze dell’ordine vuol dire dare ancora più potere al carnefice. Significa – ha aggiunto Molese – facendola sentire preda di una presenza invisibile, costringendola a vivere nel terrore che possa accadergli qualunque cosa in qualsiasi momento”.
Le forze dell’ordine, prosegue l’esperto, “potrebbero utilizzare le più avanzate soluzioni di AI per gestire questi dati ed intervenire in modo puntuale così da riequilibrare lo sbilancio che c’è tra vittime da difendere e forze dell’ordine disponibili sul campo, alzando di fatto la qualità del lavoro di pubblica sicurezza e rendendola efficace”.
Per poter attuare questo cambiamento significativo, epocale nella lotta alla violenza sulle donne, serve un cambiamento di mentalità unita ad un approccio fattivo, “e una piccola modifica normativa per permettere l’utilizzo di questa semplice tecnologia, già in funzione quotidianamente nelle nostre vite, per garantire il rispetto delle parti – ha detto Molese – sul carnefice l’oppressione del controllo, sulla vittima la tranquillità della vigilanza”.
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