Nella tragedia di Valencia, un’antica diga protegge un villaggio e testimonia ancora una volta l’ingegno dell’Impero di Roma.
Tutti abbiamo visto le immagini di quella devastazione generata da improvvise ed estreme inondazioni che hanno colpito la Spagna il 29 ottobre, con un bilancio delle vittime estremamente grave e ancora incerto. La causa meteorologica di questa calamità è stata principalmente un fenomeno definito “goccia fredda”, formatosi sopra l’Africa nord-occidentale e la Spagna meridionale, unito infaustamente ad altre condizioni meteorologiche di vento, temperatura e umidità favorevoli alla tempesta. Più che alle tre trombe d’aria registrate durante la tempesta, l’impatto è stato quindi determinato dalle piogge intensissime concentrate in alcune ore, sulle regioni coinvolte della Spagna.
É quindi comprensibile che, nella necessità di raccontare la catastrofe, i mezzi di comunicazione di massa abbiano trascurato la diga del I secolo d.C. che caratterizza il minuscolo villaggio spagnolo di Almonacid de la Cuba, nella provincia aragonese di Saragozza. Eppure, proprio quella diga dell’Impero di Augusto ha attenuato il potenziale distruttivo dell’alluvione, deviando le acque e proteggendo il territorio a valle del pendio, quello dove sorge Almonacid de la Cuba. Nonostante l’estrema portata d’acqua e i quasi due millenni di storia, che ne avrebbero dovuto minare la stabilità, il mancato cedimento di quest’opera di 34 metri d’altezza ha prevenuto in parte la devastazione, una fortunata eredità della lungimiranza dei Romani che si preparavano a inondazioni e siccità, anche merito dell’accorta gestione territoriale da parte della popolazione.
Oltre ai loro edifici religiosi e civili, spesso eccezionali per dimensioni e durabilità, dei Romani è ancora ricordato il loro ammirevole ingegno nella progettazione e realizzazione di infrastrutture, come i noti ponti, porti e acquedotti, che possono essere ammirati in alcune località dell’Europa e Africa settentrionale. È chiaro come solo una civiltà avanzata possa partorire questi veri e propri capolavori di ingegneria civile dell’epoca, realizzati con tecniche e materiali appresi con ingegno e sperimentazione sul campo. Al riguardo dei materiali, le proprietà speciali di un loro cemento disarmato (ovvero senza barre di rinforzo) sono una recente scoperta, resa possibile con ricerche portate avanti da italiani, svizzeri e statunitensi, tra cui esperti dell’Università Harvard e il Massachusetts Institute of Technology. Con una miscela contenente pozzolana e piccoli frammenti di carbonato di calcio, tuttora in parte sconosciuta, i Romani erano in grado di realizzare un cemento capace di “auto-ripararsi” in caso di lesioni, reagendo chimicamente con l’acqua. Anche questa conquista tecnologica permise ai Romani di costruire il capolavoro del Pantheon di Roma, che ancora dopo circa due millenni rimane la più grande cupola di cemento non rinforzato, e tante altre opere dalla longevità e resistenza incredibili, magari immerse nell’acqua marina o esposte a violenti terremoti.
A tal proposito, in Abruzzo, a Chieti abbiamo testimonianze di questa antica abilità, che sposava pure un saggio equilibrio lontano da due malsani opposti del nostro tempo: l’idealizzazione della natura, e l’arrogante e affaristica sfida nei confronti dei limiti posti da essa. Pochi abitanti del capoluogo marrucino conoscono bene i resti archeologici dei Romani conservati sul loro territorio, tra cui le opere idrauliche (fognature, cisterne e un acquedotto alimentato dalle acque piovane), i templi e l’insolito collegamento denominato Via Tecta, strada sotterranea accessibile da Palazzo de’ Mayo (in questi giorni oggetto di una controversa svendita). In particolare, si ricorda il muro di contenimento interrato sotto il condominio degli anni 1960 “Palazzo Verlengia” di Piazza Templi Romani, tuttora affiorante e ben visibile a Via dei Vezi, memoria superstite di un imponente sistema di terrazzamento collinare romano ormai demolito.
L.G.
Nella foto sopra l’alluvione di Valencia del 1957, e sotto la foto della diga romana (Fonte Wikipedia). Nella ultima foto muro di contenimento di Palazzo Verlengia a Chieti.