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Russia, morto un altro testimone di Geova sotto inchiesta. Si tratta del dodicesimo dal 2017

Russia, morto un altro testimone di Geova sotto inchiesta. Si tratta del dodicesimo dal 2017

Adesso sono dodici. L’11 novembre 2024 è morto un altro testimone di Geova sotto inchiesta in Russia. Si tratta di Aleksandr Lubin di 68 anni accusato di estremismo religioso. Sebbene Aleksandr sia morto a casa, secondo i suoi legali la detenzione di alcune settimane a Kurgan nella Siberia occidentale, si è rivelata fatale. Il suo calvario era iniziato tre anni prima con le irruzioni  a casa degli uomini del Comitato Investigativo, le perquisizioni e l’arresto. Aleksandr era disabile: aveva una grave malattia vascolare, l’ipertensione e una malattia autoimmune che colpiva vari organi. Aveva bisogno di ricevere ossigeno umidificato ogni giorno per 16 ore, terapia che non è stata fornita nel centro di detenzione.

Lubin era stato rilasciato solo dopo che i suoi difensori avevano presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva comunicato la denuncia e la petizione al governo russo, chiedendo che la Federazione Russa rispondesse con urgenza. I precedenti appelli al Tribunale di Kurgan, comprensivi di eloquenti certificati medici, erano stati ignorati. I giudici non avevano ravvisato nessun problema riguardo la permanenza in quelle condizioni.

Anche la moglie di Aleksandr, Tatyana aveva una disabilità grave dopo aver subito 4 ictus. Quando è stato arrestato il marito, la sua salute è ulteriormente peggiorata: gambe che hanno iniziato a cedere e gravi problemi nel linguaggio.

“Posso dire con certezza che dopo la detenzione di Aleksandr e la sua permanenza nel centro di detenzione preventiva, la sua salute è peggiorata in modo significativo. Prima del suo arresto, andava a fare la spesa da solo, dopo il suo rilascio non poteva più camminare oltre il cortile della casa”, dice il difensore di Lubin. “Era molto preoccupato nei giorni in cui si svolgevano le udienze in tribunale”.

Lubin è morto con una condanna emessa del medesimo tribunale, che sebbene costretto al rilascio dalla sentenza della CEDU, lo aveva condannato a una multa di 500mila rubli. Lubin aveva presentato appello anche per questa decisione che riteneva ingiusta.

Dopo il suo arresto Lubin aveva dichiarato: “Le accuse mosse contro di me si basano completamente su un’idea preconcetta dei testimoni di Geova. Questo atteggiamento nei confronti dei miei compagni di fede era caratteristico anche dei giorni della Germania nazista, quando migliaia di testimoni di Geova furono gettati in prigione e nei campi di concentramento, centinaia furono giustiziati e migliaia morirono a causa di trattamenti disumani. Chiunque fosse stato identificato come testimone di Geova, indipendentemente dall’età, veniva immediatamente preso in carcere. Non voglio che i testimoni di Geova siano trattati con lo stesso pregiudizio nella regione di Kurgan”.

La speranza di Lubin non si è realizzata e si è infranta qualche giorno fa come effetto collaterale del trattamento riservatogli. Come sottolineato da Aleksandr, da altri testimoni prigionieri, ma anche da storici, osservatori, difensori dei diritti umani e altri, l’attuale persecuzione e oppressione dei testimoni in Russia ricorda gli illustri tragici precedenti della Germania Nazista e dell’Unione Sovietica. Dal 1933 al 1945 in Germania e poi per mezzo secolo in Russia e in tutti i Paesi dell’Est, le due dittature avversarono in maniera decisa l’esistenza stessa della minoranza religiosa, peraltro pacifica e neutrale politicamente parlando.

Il gruppo, uscito indenne da entrambi i periodi bui, in Russia e negli altri paesi vicini si era prontamente rigenerato usufruendo delle condizione di libertà determinate dalla caduta del Muro. Un breve periodo di tranquillità finita con la proscrizione del 2017. Ancora oggi il Moloch russo – pur contraddicendo gli articoli della stessa Costituzione Russa che contempla la libertà personale di esercizio e diffusione del proprio culto – continua a imprigionare e vessare in diversi modi i fedeli della piccola minoranza nell’intera Federazione. Di sicuro le vittime dimostrano una fibra forte, determinata evidentemente da robuste convinzioni personali. Anche, quando il rischio della salute e perfino della vita stessa non è assolutamente una possibilità remota, come dimostrato dal caso appena illustrato.

Roberto Guidotti

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