Anticipazioni per la “Tosca” di Puccini del 30 novembre alle 10.50 su Rai 5: regia di Davide Livermore per la direzione di Riccardo Chailly dalla Scala di Milano – Nell’ambito del ciclo dedicato all’eccellenza delle produzioni d’opera e balletto del Teatro alla Scala di Milano, Rai Cultura ripropone la “Tosca” di Giacomo Puccini nell’edizione che ha aperto la Stagione 2019/2020, in onda oggi sabato 30 novembre alle 10 su Rai 5.
La direzione musicale è affidata al Maestro, mentre la regia è firmata da Davide Livermore. Protagoniste, sul palcoscenico, le grandi voci di Anna Netrebko, Francesco Meli e Luca Salsi. Regia televisiva di Patrizia Carmine.
Tosca è un’opera lirica in tre atti di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. La prima rappresentazione si tenne a Roma, al Teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900.
Il libretto deriva dal dramma La Tosca di Victorien Sardou, rappresentato per la prima volta il 24 novembre 1887 al Théatre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, il cui successo fu legato soprattutto all’interpretazione di Sarah Bernhardt.
l dramma La Tosca venne rappresentato al Teatro dei Filodrammatici di Milano all’inizio del 1889 e Giacomo Puccini ne rimase molto colpito, cominciando a pensare di ricavarne un’opera. Ne parlò con l’editore Giulio Ricordi, chiedendo a lui di interessarsi ai diritti per musicarla. Sardou non oppose un netto rifiuto, ma dimostrò freddezza. In ogni modo alla fine del 1893 Ricordi ottenne l’autorizzazione, anche se a favore di un altro compositore, Alberto Franchetti, che aveva da poco trionfato con Cristoforo Colombo (1892).
Luigi Illica preparò l’abbozzo del libretto, che fece approvare da Sardou in presenza di Giulio Ricordi e Giuseppe Verdi (quest’ultimo, a Parigi per la prima francese di Otello, confiderà qualche anno più tardi al suo biografo che, se non fosse stato per l’età, avrebbe voluto lui stesso musicare Tosca). Dopo pochi mesi Franchetti rinunciò, così Ricordi nel 1895 commissionò l’opera a Puccini, che cominciò il lavoro qualche mese dopo il successo de La bohème, nella tarda primavera del 1896. Partecipò alla stesura del libretto anche Giuseppe Giacosa, anche se riteneva il soggetto poco poetico e sosteneva che il successo dell’opera fosse dato dalla bravura della Bernhardt e non dal testo.
Dopo alcuni contrasti e ripensamenti, nell’ottobre 1899 l’opera fu completata e il 14 gennaio 1900 venne rappresentata al Teatro Costanzi di Roma, con il soprano Hariclea Darclée nel ruolo di Tosca, il tenore Emilio De Marchi nei panni di Cavaradossi e il baritono Eugenio Giraldoni come Scarpia. All’evento erano presenti, tra gli altri, il presidente del Consiglio Luigi Pelloux e la regina Margherita di Savoia. La serata fu nervosa: a causa di alcuni spettatori ritardatari, il direttore d’orchestra Leopoldo Mugnone fu costretto a interrompere l’esecuzione e ricominciare da capo.
Inizialmente criticata da una parte della stampa, che si attendeva un lavoro più in linea con le due precedenti opere di Puccini, Tosca si affermò ben presto in repertorio e nel giro di tre anni fu rappresentata nei maggiori teatri lirici del mondo.
Il libretto fu ricavato dal dramma omonimo di Victorien Sardou, ma fu ridotto da cinque a tre atti e snellito di molti particolari che costituivano la cornice storica realistica del dramma in prosa; vennero inoltre eliminati moltissimi personaggi secondari, tra cui Giovanni Paisiello, che compariva in persona alle prese con la famosa cantante, e la vicenda si concentrò principalmente sul triangolo Scarpia – Tosca – Cavaradossi, delineando le linee principali dei caratteri, anche se a scapito delle concatenazioni logiche degli avvenimenti. Il dramma dell’amore perseguitato interessava Puccini più del grande affresco storico condito di delitti e di sangue.
Tosca è considerata l’opera più drammatica di Puccini, ricca com’è di colpi di scena e di trovate che tengono lo spettatore in costante tensione. Il discorso musicale si evolve in modo altrettanto rapido, caratterizzato da incisi tematici brevi e taglienti, spesso costruiti su armonie dissonanti, come quella prodotta dalla successione degli accordi del tema di Scarpia che apre l’opera: Si bemolle maggiore, La bemolle maggiore, Mi maggiore (il primo e l’ultimo dei quali in relazione di tritono). Inoltre non vi è ouverture iniziale.
La vena melodica di Puccini ha modo di emergere nei duetti tra Tosca e Mario, nonché nelle tre celebri romanze, una per atto (Recondita armonia, Vissi d’arte, E lucevan le stelle), che rallentano in direzione lirica la concitazione della vicenda.
L’acme drammatica è invece costituita dal secondo atto, che vede come protagonista il sadico barone Scarpia, in cui l’orchestra pucciniana assume sonorità che anticipano l’estetica dell’espressionismo musicale tedesco.
La trama si svolge a Roma nell’atmosfera tesa che segue l’eco degli avvenimenti rivoluzionari in Francia, e la caduta della prima Repubblica Romana in una data ben precisa: martedì 17 giugno 1800, qualche giorno dopo la Battaglia di Marengo
Atto I
Angelotti (basso), bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di Castel Sant’Angelo e cerca rifugio nella Basilica di Sant’Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli permetterà di passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi (tenore). Quando irrompe nella chiesa un sagrestano (basso), Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando (…e sempre lava…), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto (Recondita armonia…). Il sacrestano finalmente si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga, ma l’arrivo di Floria Tosca (soprano), l’amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella: Mario non può rivelare alla sua amata l’accaduto poiché teme che ella, fervida credente, riveli in confessione la presenza di Angelotti. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera (Non la sospiri la nostra casetta…). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica (Qual occhio al mondo…), riesce a calmarla e a congedarla.
Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant’Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella cappella.
La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita l’indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia (baritono), capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch’egli bonapartista.
Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, ritornata in chiesa per informare l’amante che il programma era sfumato in quanto ella era stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l’avvenimento militare (Ed io venivo a lui tutta dogliosa…). Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca usando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli.
Atto II
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del Re e della Regina di Napoli per celebrare la vittoriosa battaglia, nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri gendarmi hanno seguito la furente Tosca fino alla villetta di Mario,dalla quale la donna è tuttavia uscita poco dopo, avendo compreso il grave errore causato dalla sua gelosia. Gli sbirri hanno perquisito a fondo la dimora ma non sono stati in grado di localizzare Angelotti, così arrestano Mario e lo conducono al cospetto di Scarpia. Il pittore, interrogato, si rifiuta di rivelargli il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.
Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell’uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell’evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a sconfiggere gli austriaci a Marengo. Mario inneggia ad alta voce alla vittoria e Scarpia lo condanna immediatamente a morte mediante impiccagione, facendolo condurre via. Più tardi arriva anche la notizia che Angelotti si sia suicidato all’arrivo degli sbirri: Scarpia ordina che il suo cadavere sia impiccato accanto a Cavaradossi. Disperata, Tosca chiede a Scarpia di accordare la grazia a Mario: il barone acconsente solo a patto che lei gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio (Vissi d’arte, vissi d’amore), ma invano: Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d’intesa, fa credere a Tosca che la fucilazione sarà simulata e i fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo colpisce a morte con un coltello trovato sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere, poi, in uno slancio di religiosa pietà, pone due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e finalmente scappa via.
Atto III
È l’alba. In lontananza un giovane pastore canta una malinconica canzone in romanesco. Sui bastioni di Castel Sant’Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un’ultima lettera d’amore a Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla (E lucevan le stelle). La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere Scarpia, mostrandogli il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Mario però viene fucilato veramente: Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il cadavere di Scarpia, grida “O Scarpia, avanti a Dio!” e si getta dagli spalti del castello.
Foto interna ed esterna: https://www.amazon.it/Tosca-Teatro-Alla-Scala-Milano/dp/B000076HJS