giovedì, Gennaio 16, 2025
Home > Anticipazioni TV > Anticipazioni per il Grande Teatro di Eduardo in TV del 4 dicembre alle 15.45 su Rai 5: “Gli esami non finiscono mai”

Anticipazioni per il Grande Teatro di Eduardo in TV del 4 dicembre alle 15.45 su Rai 5: “Gli esami non finiscono mai”

gli esami non finiscono mai

Anticipazioni per il Grande Teatro di Eduardo De Filippo in TV del 4 dicembre alle 15.45 su Rai 5: “Gli esami non finiscono mai” – L’ultima commedia scritta da Eduardo: è “Gli esami non finiscono mai” che Rai Cultura ripropone, nella versione televisiva del 1976, oggi mercoledì 4 dicembre alle 15.45 su Rai 5, nell’ambito dell’omaggio al grande scrittore, commediografo e attore di teatro. Scritta da Eduardo nel 1973, e da lui interpretata con Luca De Filippo, Angelica Ippolito, Paolo Graziosi, Gennarino Palumbo, Isa Danieli, Marisa Laurito, la commedia appartiene alla “Cantata dei giorni dispari” ed è la prima in cui l’autore si identifica con un suo personaggio, con la sua parabola esistenziale, le sue speranze e delusioni.

L’argomento di fondo è l’amaro itinerario di una vita qualsiasi, dagli anni Venti agli anni Settanta, sottoposta a continui ed incalzanti esami, al termine dei quali non resta che l’opposizione del silenzio. Così Guglielmo Speranza, per protestare contro il conformismo dei benpensanti, decide di fingersi muto; confinato nell’immobilità senza parole, quest’eroe, “prototipo di tutti noi”, esprime non soltanto il suo dissenso ma anche la sua ironia verso coloro che lo circondano.  

Gli esami non finiscono mai, è una commedia in un prologo e tre atti, scritta e interpretata da Eduardo De Filippo nel 1973 inserita dallo stesso autore nel gruppo di opere che ha chiamato Cantata dei giorni dispari. È questa l’ultima commedia scritta da Eduardo.[1]

«Mi sono scocciato di sottostare alla legge del vivere civile che ti assoggetta a dire sì senza convinzione quando i no, convintissimi, ti saltano alla gola come tante bolle d’aria.»
(Eduardo De Filippo/Guglielmo Speranza)

Trama

Guglielmo Speranza si presenta al pubblico sul palcoscenico raccontando la sua vita e segnandone le diverse età mettendosi tre barbe finte.

Appena superato l’esame di laurea, Speranza dovrà superare quello dei futuri suoceri che gli consentiranno di sposare Gigliola solo se sarà in grado di fare una grande carriera nel suo lavoro.

Guglielmo supera la prova: si sposerà, avrà due figli, un lavoro che gli assicura benessere e onori ma, nonostante il brillante esito di questi esami, la sua vita sarà infelice: avvelenata dall’invidia e dalla maldicenza del falso amico La Spina e dalla cattiveria della moglie che si è rivelata per quello che era, ovvero una donnetta viziata e infedele, che crede di più alle sue stupide, pettegole amiche piuttosto che al marito che ha sempre contrastato, ritenendolo un incapace e un sognatore, in questo sostenuta anche dai due figli, che la malignità popolare, riportata da La Spina, insinua non siano di Guglielmo.

Non sorprende quindi che a un certo punto Guglielmo si rifugi nell’amore disinteressato e vero della giovane Bonaria, una donna di umili origini ma leale e genuina nei suoi sentimenti e valori, che sarà costretta dalla maldicenza e dalla cattiveria altrui a lasciare Guglielmo.

Ormai vecchio, il protagonista, fingendo di essere malato, si chiuderà sempre di più al mondo, preferendo stare in casa, in poltrona, a leggere e a trascorrere il resto della sua vita in un mutismo ribelle verso la famiglia ed i medici. Arrivato il momento della morte, Guglielmo sarà ancora una volta ingannato dai suoi familiari: egli avrebbe voluto semplici funerali, chiedendo di essere seppellito nudo[2] ed invece, abbigliato e truccato come un guitto di avanspettacolo, lascerà la commedia della vita salutando con gesti artefatti e leziosi gli spettatori.

Analisi della commedia

Il titolo della commedia è diventato, dall’epoca della rappresentazione, un modo di dire diffuso e popolare. Già questo fa riflettere come tutti si siano riconosciuti in quella amara verità che Eduardo ha voluto rappresentare tramite il racconto della vita di Guglielmo Speranza. Si chiama proprio così il protagonista e non a caso: egli attraverso le varie tappe fondamentali, gli esami, della sua vita ha sempre ingenuamente sperato di realizzare i suoi sogni.

Anche gli altri personaggi più importanti hanno nomi o cognomi significativi: La Spina, il falso amico, una vera spina velenosa nella vita di Speranza; Bonaria, l’amante che farà entrare un soffio d’aria buona nella vita del protagonista; Felice e Fortunato, i due figli, che vivono indifferenti nel benessere che Guglielmo ha procurato loro, e che danno più peso alle malignità della gente piuttosto che fiducia alle iniziative economiche del padre, tanto da essere pronti all’occorrenza a interdirlo. Persino i dottori chiamati a consulto per visitarlo, un altro dei numerosi esami della sua esistenza, hanno cognomi – Nero, Rosso, Bianco – che indicano chiaramente la scarsa fiducia che ha Eduardo in una medicina che esprime giudizi netti e contrastanti.

Fin dall’inizio della rappresentazione questo dramma vuole mostrare la sua originalità uscendo dagli schemi secondo i quali finora l’autore aveva strutturato le sue opere. Per la prima e ultima volta il racconto è accompagnato dal commento del protagonista che sul palcoscenico si rivolge direttamente al pubblico commentando, spiegando e talora anticipando quanto avverrà sulla scena. Sembra di poter dire che Eduardo riprenda la concezione del teatro pirandelliano dove i protagonisti interagivano con gli spettatori.

Speranza nel prologo si presenta abbigliato con un vestito che non cambierà mai nel corso della commedia, salvo alla fine nella scena del funerale, dove però saranno gli altri a vestirlo in modo ridicolo. Questo vuole forse significare che il protagonista nel corso della sua vita si mantiene sempre fedele a se stesso, non cambia abito, non muta; solo dopo la sua morte gli altri lo trasformeranno in una caricatura di quello che era veramente. Non c’è più dignità, sembra dire il protagonista, neppure nella morte e nelle esequie trasformate dai vivi in una specie di spettacolo finale.[3]

Eduardo in quest’opera realizza quello che già s’intravedeva in alcune scene mute nelle commedie precedenti come in Mia famiglia, la sua convinzione cioè che un bravo attore potesse recitare senza parlare e in effetti così accade per l’ultimo atto di questa commedia dove il protagonista ha deciso di non parlare più poiché ormai si vive in un mondo dove nessuno ascolta più l’altro, dove più nessuno rispetta l’altro. In questa ultima occasione Eduardo – che si ritirerà quasi del tutto dalle scene – dà una grande prova della sua arte del recitare rappresentando con la mimica più e meglio di quello che avrebbero detto le parole.

Come è stato notato dalla critica (cfr. Donatella Fischer, Il teatro di Eduardo, ed. Legenda) in quest’ultima opera Eduardo segna il punto d’arrivo della disgregazione della famiglia patriarcale. In Natale in casa Cupiello sono i vecchi genitori colpevoli del matrimonio fallito della figlia, in Napoli milionaria! una famiglia in crisi per la guerra che ha sovvertito ogni valore morale e che, “se passerà la nottata”, si ricostruirà, una famiglia per costrizione e rassegnazione in Filumena Marturano, una famiglia che non resiste alla morale dei tempi in Mia famiglia ed infine la disgregazione finale in Gli esami non finiscono mai. C’è un’enorme differenza con la famiglia di Gennareniello dove gli affetti riescono ancora a tenere insieme le povere speranze deluse dei protagonisti. Ma quella era “la cantata dei giorni pari”, delle speranze di gioventù.

Nella commedia Gli esami non finiscono mai la delegittimazione della religione, della scienza e dell’etica si confonde con la crisi dei valori familiari e morali sino a spingere il protagonista ad estraniarsi dalla sua persona e a scoprire, con vivo e crudo rammarico, il suo Sé sociale (così come analizzato da George Herbert Mead). La perdita di significato della realtà, stravolge sia la stabilità mentale del soggetto, sia l’ordine sociale costituito. Le istituzioni sono delegittimate, si mostrano vivide nella loro opacità opprimente. L’individuo si svincola dai propri ruoli, li sovverte opponendosi alle consuetudini e creando una generale destabilizzazione.[4]