Se Nietzsche e i Grateful Dead smentiscono Zona Bianca
Se in una trasmissione televisiva su una rete nazionale, qualcuno degli ospiti affermasse in uno strafalcione clamoroso che Budda sia una divinità americana o che Maometto sia un personaggio dei Vangeli o che Maria la madre di Gesù fosse stata una sacerdotessa del dio nordico Odino, il conduttore, gli altri ospiti, gli autori o la redazione del programma interverrebbe per rettificare o smentire in toto quello che è stato affermato. Si tratterebbe infatti non di un’inesattezza o di un’interpretazione teologica ma di una grossa e vera propria fake news data in pasto al pubblico che non può essere consentita, al di là della libertà di parola. O perlomeno sarebbe contestata anche da chi ha solo un briciolo di conoscenza della storia.
Qualcosa del genere è successo, anzi non è successo, nella trasmissione Zona Bianca, programma che si autodefinisce di attualità e approfondimento, condotto dal giornalista Giuseppe Brindisi su Rete 4. Nella trasmissione sui Testimoni di Geova del 2 febbraio – che il giornalista di area di centrodestra Giancarlo Lehrner “inorridito” dal programma, ha definito “scempio televisivo”– tra le varie accuse lanciate contro la confessione una in particolare merita di essere stigmatizzata per il messaggio assolutamente infondato, fuorviante e disonesto dal punto di vista intellettuale e culturale che è stato proposto.
Nella ridda di dichiarazioni dei presenti, tutti schierati contro la confessione dei Testimoni di Geova, contenenti interamente accuse pesanti, come dicevamo senza nessun tipo di contradditorio, il teologo cattolico Maurizio Gronchi ne tirava fuori una che affermava che “Geova” adorato dai testimoni “è un idolo triste e crudele”.
Si tratta di un’affermazione senza fondamento dal punto di vista teologico che rasenta la blasfemia. Non sappiamo se si tratta di malafede o ignoranza non tanto dottrinale ma culturale. O forse un modo maldestro per mettere ancor di più sotto una luce negativa i Testimoni con una foga del “dagli all’untore” tra i presenti in studio che faceva pensare quasi a una gara a chi la dicesse più grossa degli altri.
Il teologo, il conduttore e gli stessi ospiti dovrebbero sapere che il termine italiano Geova è universalmente riconosciuto come la forma linguistica del Tetragramma ebraico YHWH presente quasi 7.000 volte nella Bibbia come nome di Dio. Sebbene non l’unica traduzione possibile, sicuramente la più conosciuta e identitaria.
Il nome non è stato inventato dai testimoni. Nella grafia attuale comparve per la prima volta, almeno quella documentata, per mano di un frate domenicano, tal Raimondo Martini nel XIII secolo e si sarebbe diffusa in quelli successivi in Europa, nelle Americhe e in tutti gli altri continenti. Numerose versioni della Bibbia in decine di lingue avrebbero poi “reintegrato” il nome Geova in pochi o tanti luoghi delle Sacre Scritture dove compariva proprio il Tetragramma che era stato sostituito da termini generici come “Signore”, “Dio” o “L’Eterno”.
Ma senza inoltrarsi in discorsi di esegesi biblica, basterebbe consultare un dizionario o un enciclopedia come la Treccani.it o la De Agostini online per sapere che con Geova si intende il Dio ebraico o della Bibbia. Ma c’è dell’altro. Il termine Geova è stato utilizzato nei dipinti, nelle monete, sugli altari di chiese cattoliche e protestanti e in alcune città anche nella targhe del numero civico. La forma Geova è antecedente alla nascita organizzata dei Testimoni. Non è possibile che un teologo ignori questa verità lapalissiana. E se di mestiere si fa il giornalista, sarebbe giusto una verifica su ciò che si trasmette o si fa credere al pubblico. La professionalità richiede proprio questo. Se non si segue questa deontologia, si può dubitare anche della veridicità di tutte le argomentazioni proposte ai telespettatori.
Ma continuiamo con l’uso del nome Geova. Lo inserirono nelle loro opere letterarie e musicali Giosuè Carducci, Giuseppe Verdi, Nicolò Tommaseo solo per citarne alcuni. Il nome Geova compare in alcune citazioni della Civiltà Cattolica, la storica rivista dei Gesuiti, negli atti documentari dell’ottavo Congresso Cattolico tenuto a Lodi nel 1890 e addirittura negli Atti parlamentari del Senato del Regno nel 1872.
Espatriando, troviamo il nome Geova nelle opere di John Locke, Voltaire, Spinoza, Hegel, Honorè De Balzac, Ludwig Feuerbach, Fëdor Dostoevskij, Anton Cechov, Friedrich Nietzsche, Lev Tolstoj e di innumerevoli altri letterati, filosofi, poeti, scienziati e uomini politici alcuni atei o laici. Eppure per loro era scontato chi fosse Geova.
Ma dobbiamo rimanere ancorati solo al 19°secolo, mentre l’epoca moderna ha cancellato la forma Geova che identifica il Dio delle Scritture? Vediamo alcuni personaggi illustri del ‘900. Si potrebbe partire da Jack London, per proseguire con Hans Christian Andersen, Vladimir Majakovskij, Erich Remarque, Herman Hesse, George Orwell, Alexander Solzhenitsin, Stefan Zweig, Bernard Shaw e tanti altri. In questa lista possiamo anche inserire Alfred Rosemberg ideologo del Nazismo che nel suo libro Il mito del XX secolo – come era consuetudine in molti ambienti culturali europei- identifica Geova con il Dio degli ebrei corruttori della razza ariana (sich!). In questo caso veramente una testimonianza al di sopra di ogni sospetto…
Ma arriviamo ai giorni nostri e torniamo in Italia. Possiamo citarne solo alcuni: Indro Montanelli, Roberto Gervaso, Elsa Morante ed Umberto Eco. Insomma tra italiani e stranieri una massa di gente eterogenea proveniente da situazioni, contesti e luoghi tra i più disparati possibili, che non consideravano “Geova un idolo” come affermato a Zona Bianca, ma Dio stesso. Non ha importanza che poi fossero credenti, devoti, atei, agnostici nemici della religione, dell’ebraismo, del cristianesimo o ammiratori di Zaratustra come Nietzsche. Non cambia niente: per loro Dio si chiama Geova…
Ci sarebbe anche il cinema: tralasciando i kolossal storici come Salomone e la regina di Saba con Gina Lollobrigida o la Storia di Ruth e altri si arriva addirittura ad Indiana Jones diretto da Steven Spielberg dove in una scena, il personaggio interpretato da Sean Connery, che deve evidentemente conoscere il nome Iehova, mette in ordine con i passi le lettere del nome di Dio per non cadere in una trappola mortale.
E che dire della musica? Se nelle opere classiche si trova spesso il nome Geova, è interessante che Elvis Presley, Johnny Cash ed Ella Fitzgerald in tempi moderni lo hanno citato in alcuni dei loro brani. Ci sarebbero anche il gruppo di rock psichedelico e acid rock Grateful Dead, non proprio un coro gospel, che menziona Geova, precisamente nella canzone The Music Never Stopped del 1975. Il bassista e ultimo cofondatore del gruppo Phil Lesh è scomparso solo qualche mese fa. Peccato. Altrimenti anche in un collegamento video gli autori o i giornalisti Giuseppe Brindisi, Francesca Barra, Sabrina Scampini avrebbero potuto chiedere ragione di una siffatta scelta e magari sgridarlo per aver favorito senza ragione e inopinatamente i Testimoni di Geova…
Roberto Guidotti
Iscritto Albo Giornalisti Marche
Foto tratta dal sito Bitter Winter
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