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Da “La vita di Carlo Magno” di Eginardo, a cura di Valerio Marucci, Faville 39, Salerno Editrice Roma, 2006

Carlo Magno, re dei Franchi dal 768, re dei Longobardi dal 774, e imperatore dei Romani dall’anno 800, nacque nel 742 da Pipino il Breve e da Berta (Bertrada di Laon) e morì nell’814: gli successero i figli Carlo, Pipino e Lodovico tra i quali il regno venne spartito, ma per la morte degli altri due l’impero si concentrò nelle mani di Lodovico detto il Pio. Un altro figlio, di madre diversa, Pipino il Gobbo, malgrado di maggiore età di tutti gli altri, fu escluso per la sua deformità dalla successione, e ciò lo indusse a congiurare contro il padre. Gli fu risparmiata la vita ma fu rinchiuso nel monastero di Plum dove morì nell’811.

Non si può parlare di Carlo Magno senza passare prima per Eginardo che tra il 733 e il 736 scrisse la Vita Karoli, la storia della vita del grande imperatore.

Di Eginardo ce ne parla Valafrido Strabone, uno dei personaggi di maggior talento della sua generazione,

Scrive Strabone: La vita e le imprese del gloriosissimo imperatore Carlo, che qui si leggono, le ha scritte, come è noto, Eginardo, uomo lodevole fra tutti gli intellettuali di palazzo non solo per la sua cultura, ma anche per la sua vita; egli ha convalidato quanto scrive con la testimonianza della più certa verità, in quanto a quasi tutte quelle imprese egli stesso aveva partecipato. Nato nella parte orientale del regno dei Franchi, nel paese che porta il nome di Maingau, prese la sua prima istruzione, ancora bambino, nel monastero di Fulda, nella tradizione educativa di San Bonifacio Martire. Da Fulda, per volere dell’abate Baugolfo, fu inviato nel palazzo di Carlo, più per la sua singolare bravura e intelligenza – che già allora promettevano il manifestarsi in lui di una grande sapienza, come poi si verificherà – che per la nobiltà della nascita, che pure in lui era altissima. Carlo era infatti molto desideroso di raccogliere intorno a sé i sapienti di tutto il mondo, e di seguirli con grande attenzione mentre discutevano liberamente di filosofia.

Così l’ampio regno affidatogli da Dio egli l’aveva potuto rendere, da nebbioso qual era, e per così dire chiuso nella cecità, luminoso per lo splendore straordinario di ogni scienza, prima sconosciuto, almeno in parte, a questa barbarie, e con la luce di Dio capace di vedere. Ma ora, dopo la sua morte, gli studi sono caduti in ribasso, e la luce della sapienza, poiché è meno amata, si fa in molti più rara. Eginardo, che era uomo assai piccolo di statura, e per questo sembrava poco rispettabile, riuscì alla corte di Carlo, che invece amava la sapienza, ad elevarsi tanto nella considerazione che nella fama, per la sua prudenza e la sua onestà, che a quasi nessuno il re, che certo era allora il più potente e sapiente di tutti, confidava i segreti del suo cuore, se non a lui. E questo avveniva meritatamente: infatti non solo al tempo di Carlo, ma in quello dell’imperatore Lodovico (e questo ha del miracoloso), quando il regno dei Franchi era scosso da vari e molti conflitti e per molti sembrava venire meno, Eginardo riuscì con la protezione di Dio  a salvarsi, per un suo equilibrio mirabile e divinamente disposto: e gli riuscì di non perdere  immaturamente la sua grande fama che aveva provocato l’invidia in molti e a lui fastidi, e di non cadere in irrimediabili pericoli.

Queste cose le abbiamo ricordate perché non si abbia nessun dubbio sul valore di quanto egli dice, e si tenga doverosamente conto di come egli doveva fare le lodi più grandi del suo protettore, e insieme offrire la verità storica più rigorosa alla curiosità del lettore. A questa breve opera io, Strabone, ho aggiunto – come mi è sembrato opportuno – dei titoli e delle divisioni in capitoli, così che fosse più chiaro rintracciare le singole parti a chi avesse il piacere di cercarle.

Continua con Vita Karoli

Luciano Magnalbò

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