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Emergenza Coronavirus, i retroscena di cui nessuno parla

ROMA – I primi due casi di Coronavirus in Italia, una coppia di turisti cinesi, sono stati confermati il 30 gennaio dall’Istituto Spallanzani, dove sono stati ricoverati in isolamento dal 29 gennaio. Il 26 febbraio sono stati dichiarati guariti.

Il primo caso di trasmissione secondaria si è verificato a Codogno, Comune della Lombardia in provincia di Lodi, il 18 febbraio 2020.

Il Governo italiano ha dichiarato il 31 gennaio lo Stato di emergenza, stanziato i primi fondi e nominato Commissario straordinario per l’emergenza il Capo della protezione civile Angelo Borrelli.

Con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 “Vista la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanita’ del 30 gennaio 2020 (…) Considerata l’attuale situazione di diffusa crisi internazionale determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumita’ connessi ad agenti virali trasmissibili, che stanno interessando anche l’Italia (…) e’ dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. La delibera è stata poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale Seie Generale n.26 alla pag.7.

Nel mese di gennaio il popolo italiano riceveva continuamente notizie dalla Cina relativamente all’avvento del Coronavirus con i conseguenti decessi. Si pensa che già in quelò periodo il Covid-19 fosse presente anche nel nostro Paese in maniera latente, sembrerebbe – questa una delle ipotesi – portato da un cittadino tedesco.

Nel frattempo, venivano bloccati i voli diretti Italia – Cina nei primi giorni di febbraio, ma si permetteva comunque di raggiungere l’Italia facendo scalo intermedio in altri aeroporti. 

Ufficialmente, il primo caso conclamato di polmonite da Covid-19 in Italia si è avuto nella seconda metà di febbraio ed i primi seri provvedimenti governativi vengono presi il 23 febbraio.  Da quel momento l’epidemia infuria in Lombardia e soprattutto nelle aree padane dell’Emilia Romagna e del Veneto al confine con la Lombardia. Il governo si vide così costretto a prendere provvedimenti restrittivi di chiusura delle attività e di limitazione della circolazione, ma non intese limitare inizialmente gli spostamenti al di fuori di questa prima “Zona Rossa” per i non residenti, per cui molte persone cercarono di fuggire assaltando i treni nelle stazioni, portando di fatto il virus dal Nord al Sud, dove a fine febbraio venivano registrati i primi casi conclamati di contagio. 

A tal punto la situazione precipitò e ogni giorno  i cittadini venivano “bombardati” da notizie sempre più allarmanti sul numero dei contagiati, su quello dei deceduti e quindi sull’onda emotiva dell’opinione pubblica, terrorizzata anche dai primi casi nel Centro – Sud, il governo decideva l’11 marzo 2020 di rendere “zona protetta” tutta l’Italia a partire dal giorno successivo 12 marzo. Da quel momento sono trascorsi una decina di giorni e i numeri di vittime non hanno fatto che aumentare, tanto da dare all’Italia il triste primato del maggior numero di decessi anche rispetto alla Cina, sia in assoluto, ed enormemente di più in proporzione alla popolazione residente.

Sull’onda emotiva determinata anche dalle immagini diffuse dai media di convogli militari che in Lombardia trasportano le salme e di bare ammucchiate messe in fila senza ancora degna sepoltura, l’opinione pubblica italiana chiede e/o avalla provvedimenti restrittivi che infine il 22 di marzo limitano ogni forma di spostamento se non per comprovate esigenze lavorative, l’acquisto di generi di prima necessità e confina le attività sportive nei pressi della propria abitazione, obbligando inoltre alla chiusura ogni azienda che non produca o venda beni indispensabili e limitando le attività consentite ai servizi pubblici essenziali.

In alcune zone del paese  intanto è intervenuto anche l’esercito a dare man forte alle forze di polizia, che nelle operazioni di pattugliamento delle strade hanno denunciato circa 72 mila persone fino al 20 marzo per aver disatteso i limiti di circolazione imposti dal governo.

In queste ore, alcuni presidenti di Regione, sindaci e partiti politici, interpretando i desideri della grande maggioranza della popolazione, stanno chiedendo al governo, o approntando autonomamente, provvedimenti ancora più draconiani e restrittivi.

Da sottolineare che, come di recente fatto notare anche dall’autorevole giornalista Bruno Vespa, il parlamento si sta riunendo solo saltuariamente, cosa che fa riflettere soprattutto in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo. Di conseguenza, il premier Conte, agendo in virtù dell’articolo 16 della Costituzione, che permette l’annullamento di alcune garanzie costituzionali in caso di grave pericolo sanitario e per la sicurezza, adotta provvedimenti straordinari senza gli opportuni passaggi parlamentari, che consentano il dibattito tra le forze politiche come è naturale e necessario alla dialettica democratica di un grande Paese come l’Italia.

Inevitabilmente, l’inquietudine dei cittadini e contribuenti, costretti a una snervante clausura forzata in casa, impotenti davanti a questo pericolo invisibile che ancora non dà segni di rallentamento, si sta trasformando progressivamente in rabbia verso presunti “capri espiatori” che irrazionalmente si cercano magari in strada o nelle persone intorno a sè.

In questi giorni, infatti, si sono addirittura registrati in varie parti d’Italia attacchi verbali e atti di intolleranza verso altri cittadini che svolgevano attività pienamente consentite come fare la spesa o andare a fare una passeggiata di salute a distanza di sicurezza, come fossero “novelli untori”.

Questa improvvisa stretta nei provvedimenti tesi a contenere il contagio, quando, fino a poche settimane fa il premier sembrava voler contrastare alcuni governatori regionali che chiedevano almeno la chiusura delle scuole, non può che far riflettere. Di fronte ad un iniziale atteggiamento di sottovalutazione del problema – ricordiamo le parole di Conte del mese di febbraio: “Dobbiamo fermare il panico” e quelle del governatore della Lombardia, Attilio Fontana ”Situazione difficile, ma non così tanto pericolosa. Il virus è molto aggressivo nella diffusione, ma poi nelle conseguenze molto meno” – si è passati ad una inevitabile drammatizzazione (tardiva) nel tentativo di contenere i contagi. Nel mentre gli unici veri eroi sono medici e operatori del sistema sanitario, che rischiano le proprie vite per salvarne altre, spesso in condizioni precarie. Ed in molti si ammalano.

Tra l’altro, sembra che un’altissima percentuale di positivi al virus muoia all’interno della propria abitazione per l’insufficienza di posti in terapia intensiva., finendo in tal modo per non essere conteggiati nella triste contabilità dei decessi.

Di certo qualcosa in Italia non ha funzionato. Chi ha sbagliato? Se esistono responsabilità in questo senso, una volta superata l’emergenza – si spera il prima possibile – è giusto che queste siano accertate e che vengano previste per il futuro modalità più consone per la gestione di nuove emergenze, garantendo che chi avesse eventualmente sottovalutato l’attuale pandemia ne renda conto conto davanti ai cittadini.

Cristiano Vignali e Lucia Mosca

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