martedì, Maggio 14, 2024
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Anticipazioni per “Eleonora” di Roberto De Simone del 26 aprile alle 10 su Rai 5: dal San Carlo di Napoli

Anticipazioni per “Eleonora” di Roberto De Simone del 26 aprile alle 10 su Rai 5: dal San Carlo di Napoli con Vanessa Redgrave e la direzione musicale di Stefan Anton Reck

Per il grande Teatro in TV oggi lunedì 26 aprile andrà in onda alle 10 su Rai 5 il dramma “Eleonora” di Roberto De Simone: diretto dallo stesso De Simone dal Teatro San Carlo di Napoli con la voce narrante di Vanessa Redgrave e la direzione musicale di Stefan Anton Reck nella storica rappresentazione andata in scena nel 1999.

Il dramma di De Simone è ispirato alla figura di Eleonora Pimentel, eroina della Repubblica Napoletana della fine del XVIII° secolo.

Eleonora de Fonseca Pimentel[1] (Roma13 gennaio 1752 – Napoli20 agosto 1799) è stata una patriotapolitica e giornalista italiana; fu una delle figure più rilevanti della breve esperienza della Repubblica Napoletana del 1799.

Di famiglia portoghese ma nata a Roma, all’anagrafe Leonor da Fonseca Pimentel Chaves[3], viene ricordata nelle pubblicazioni tedesche, inglesi e italiane con il nome italianizzato che venne adottato dalla sua famiglia nelle residenze di Roma e Napoli; con lo stesso nome fu tra i protagonisti della scena politica di fine XVIII secolo.

Di casato originario di Beja nell’Alentejo[5], poco dopo la sua nascita, a seguito della rottura dei rapporti diplomatici[N 1] fra il Regno del Portogallo e lo Stato Pontificio, la sua famiglia si trasferì[6] da Roma a Napoli.

Grazie all’aiuto di uno zio, l’abate Antonio Lopez[N 2], e soprattutto perché intellettualmente precoce e molto vivace e capace fin dall’infanzia di leggere e scrivere in latino e greco, si dedicò allo studio delle lettere e si cimentò nella composizione di versi (sonetticantateepitalami). Era inoltre in grado di parlare diverse lingue moderne[N 3] e, ancor giovane, fu ammessa all’Accademia dei Filaleti[7], ove assunse il nome di “Epolnifenora Olcesamante” (anagramma del suo vero nome e cognome), e all’Accademia dell’Arcadia, con il nome di “Altidora Esperetusa“. Ebbe scambi epistolari con letterati tra cui Pietro Metastasio, colpito dalle sue capacità, a cui dall’età di diciotto anni aveva cominciato ad inviare i suoi primi componimenti[N 4][8]. Si dedicò in seguito allo studio delle discipline storiche, giuridiche ed economiche. Fin dall’adolescenza partecipò ai salotti di Gaetano Filangieri, dove incontrò tra gli altri il dottor Domenico Cirillo e il massone Antonio Jerocades. Scrisse un testo di argomento finanziario e tradusse dal latino all’italiano, commentandola, la dissertazione dell’avvocato napoletano Nicola Caravita (16471717) sui pretesi diritti dello Stato Pontificio sul Regno di Napoli[9]. Inoltre in occasione del matrimonio tra re Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria, compose, sedicenne, il “Tempio della gloria”[10] un epitalamio per le nozze dei Sovrani[11]. Per i suoi meriti letterari venne ricevuta a Corte, e le fu concesso un sussidio come bibliotecaria della regina, ruolo che occuperà per molti anni.

Alla fine del 1771 morì la madre Caterina Lopez. Nel 1776 iniziò una corrispondenza con Voltaire cui dedicò un sonetto (di cui non si conosce il testo) ottenendo, in risposta, un analogo componimento pubblicato sul Giornale letterario di Siena[12][N 5]

Nel febbraio 1778 sposò, presso la Chiesa di Sant’Anna di Palazzo[N 6], il quarantaquattrenne Pasquale Tria de Solis[N 7], tenente dell’esercito napoletano (14º Reggimento Sannio). Nell’ottobre dello stesso anno nacque un figlio, Francesco, che morì dopo otto mesi; resterà l’unico figlio da lei avuto anche a causa dei maltrattamenti subiti dal marito[N 8], che le causeranno due aborti[13] . Per lui scrisse cinque sonetti[14], pervasi di disperato amore materno[N 9]

L’anno precedente, 1777, aveva pubblicato a Napoli “Il Trionfo della Virtù”[15] in cui manifestava il suo omaggio all’istituzione regale indicando il re come “…distributore della giustizia e della provvidenza…”. Nel 1780 divenne membro dell’Accademia Reale di Scienze e Belle Lettere[N 10][16] e partecipò ai salotti letterari e massonici[N 11]. delle principesse Marianna Faraja di San Marzano e Giulia Carafa di Traetto di Minervino[17]

Nel 1784 il padre diede inizio ad una causa di separazione della figlia dal Tria Solis, le cui percosse le avevano intanto causato l’interruzione di altre due gravidanze (il marito sarebbe poi morto nel febbraio 1795).

Nel 1785 muore il padre, Clemente, e Eleonora è costretta a ricorrere alla Corte con una “supplica” al Re che le concede un sussidio di dodici ducati al mese[18][19].

Risale al 1789 un sonetto[N 12] in cui elogia la lungimiranza dimostrata da Ferdinando IV con la legislazione liberale ed egualitaria per la comunità di San Leucio.

La Repubblica Napoletana

L’abitazione di Eleonora Pimentel Fonseca a Napoli, Salita Sant’Anna di PalazzoNapoli: Castel Sant’Elmo

Scarse sono le notizie sulla vita e, soprattutto, sulla conversione delle ideologie, tra il 1789 ed il 1793 si sa, tuttavia, che all’arrivo della flotta francese a Napoli, nel dicembre 1792 per il riconoscimento della neonata Repubblica francese, Eleonora è tra gli ospiti dell’ammiraglio Latouche Treville unitamente, tra gli altri, a Carlo LaubergEmanuele De DeoAntonio Jerocades[N 13]; è probabile che l’attenzione poliziesca sulla De Fonseca si sia appuntata proprio a seguito di tale frequentazione, ma di certo già nel 1794 il suo nome risulta iscritto tra i “rei di Stato” per aver parteggiato per un tentativo di rivolta giacobina interrotta con la condanna a morte dei colpevoli (tra cui il sopra citato Emanuele De Deo). Già bibliotecaria della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, con lei aveva tuttavia frequentato i salotti degli illuministi napoletani, in un primo tempo sostenuti dalla stessa sovrana. Forte fu il legame tra le due donne, ma si interruppe drasticamente con il sopraggiungere, dalla Francia, delle notizie che facevano conoscere i drammatici sviluppi della Rivoluzione e, segnatamente, la morte della sorella Maria Antonietta[20].

La regina, che sosteneva il dispotismo illuminato, si sentì tradita da quei circoli che con lei avevano lavorato per una monarchia moderna e che ora propugnavano l’avvento della repubblica, e li combatté inflessibilmente, spinta anche dall’odio verso i giacobini responsabili della morte della sorella.

Nel 1797 venne sospeso alla Fonseca il sussidio mensile di dodici ducati concessole nel 1785.

Ancora scarse sono le notizie biografiche nell’anno 1797 ed il suo nome ricompare, nell’ottobre del 1798, quando Eleonora fu incarcerata con l’accusa di giacobinismo. Nel gennaio 1799, conseguentemente ad un armistizio firmato a Sparanise tra il rappresentante del Regno ed i francesi, che si stavano avvicinando a Napoli, fu liberata dai “lazzari“, che, facendo evadere alcuni delinquenti comuni, liberarono anche detenuti politici. Annotata, in abiti maschili, tra coloro che il 19 gennaio si impossessarono di Castel Sant’Elmo[N 14] per preparare l’arrivo alle truppe francesi, il 22 gennaio del 1799 era tra coloro che proclamarono la Repubblica Napoletana ed il 2 febbraio[N 15] usciva il primo numero del “Monitore Napoletano[N 16], periodico bisettimanale, di cui era diventata direttore il 25 gennaio[N 17]. Pur essendo ovviamente giacobina non esitò a scontrarsi con i francesi in occasione di comportamenti men che corretti[21] e, conscia della responsabilità che gli intellettuali si erano assunti con l’istituzione della Repubblica, non esitò anche a sottolineare tale condizione: “La plebe diffida dei patrioti perché non gl’intende…”[22][N 18]

La promessa di grazia non mantenuta
Eleonora fu arrestata e portata su una delle navi ancorate nel golfo di Napoli dove furono radunati i rei di Stato in attesa della definizione delle sentenze. Vennero compilate due liste, non pervenuteci[23], contenenti i nominativi dei “rivoltosi” distinti per gravità dei reati commessi: mentre per 80 si prevedeva la possibile condanna a morte, per gli altri, autori di reati più lievi, venne concessa la possibilità di partire effettivamente per Tolone previa sottoscrizione di una “obbliganza penes acta“, in sostanza un contratto ed una sentenza insieme, con cui il giudice ed il condannato rinunciavano al processo ed il secondo giurava, pena la morte, di mai più rientrare nel Regno. Non è noto se Eleonora fosse nell’elenco dei più “pericolosi”, ma fu tra i firmatari dell'”obbliganza“. Ad agosto, mentre le navi si apprestavano a salpare, venne richiesto di consegnare altri dieci rivoltosi accampando un errore di valutazione dei reati commessi; anche in questo caso Eleonora non rientrava in questo novero[24]. Giunse l’ordine di farla sbarcare solo due giorni dopo[25] e venne rinchiusa nel carcere della Vicaria.

Volle allora cancellare dal suo cognome il “de” nobiliare e divenne una protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana (della quale salutò l’avvento scrivendo peraltro, durante l’occupazione di Castel Sant’Elmo, l’Inno alla Libertà di cui non si ha oggi traccia). In primo luogo partecipò alla formazione del Comitato centrale che favorì l’entrata dei francesi a Napoli. Dai suoi articoli emerge un atteggiamento democratico ed egualitario ultra, contrario ad ogni compromesso con le correnti moderate e volto soprattutto a diffondere nel popolo gli ideali repubblicani, attività nella quale la Pimentel si impegnava attivamente anche della Sala d’Istruzione Pubblica istituita nel tentativo di propagandare verso i meno colti gli ideali repubblicani. Tuttavia i suoi tentativi di rendere popolare il nuovo regime ebbero scarso successo; l’unico effetto palese fu quello di acuire il malanimo dei Borbone nei suoi confronti e di attirarle addosso la loro vendetta quando la Repubblica, nel giugno del 1799[N 19], fu rovesciata e la Monarchia restaurata[N 20].

Il processo a suo carico (presidente Vincenzo Speciale[26]) si celebrò il 17 agosto[N 21] così disattendendo, di fatto, la firma regia già apposta all’obbligo derivante dal penes acta da lei accettato e firmato[N 22][27].

Condannata a morte, venne impiccata[N 23], a 47 anni, insieme al principe Giuliano Colonna, all’avvocato Vincenzo Lupo, al vescovo Michele Natale, al sacerdote Nicola Pacifico, ai banchieri Antonio e Domenico Piatti. Oltre i predetti venne giustiziato il 20 agosto 1799, per decapitazione a soli 27 anni, Gennaro Serra di Cassano[28] nella storica Piazza Mercato. Salì al patibolo, per ultima dopo aver assistito all’esecuzione dei suoi compagni, con coraggio[29]. Le sue ultime parole furono una citazione virgiliana: “Forsan et haec olim meminisse iuvabit[30]

A testimonianza dello spirito plebeo, fedele alla monarchia, che si contrapponeva all’esperienza della Repubblica napoletana del 1799, si diffuse dopo la morte della Fonseca una satira anonima che così recitava[31][N 24]:

«A signora ‘onna Lionora
che cantava ‘ncopp’ ‘o triato
mo abballa mmiez’ ‘o Mercato
Viva ‘o papa santo
ch’ha mannato ‘e cannuncine
pe’ caccià li giacubine
Viva ‘a forca ‘e Mastu Donato!
Sant’Antonio[N 25] sia priato»

Fonte: WIKIPEDIA

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