mercoledì, Maggio 15, 2024
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Il “Re del Bergamotto” sfugge ad un attentato nella Locride

Il “Re del Bergamotto” sfugge ad un attentato nella Locride

La grave vicenda di mafia che continua a colpire la famiglia e l’azienda dell’imprenditore Bruno Bonfà non solo continua a rimanere  priva dell’assicurazione delle relative responsabilità, ma si aggrava con l’organizzazione di un attentato ai danni del “Re del bergamotto” e le gravi distruzioni ed i danneggiamenti alle colture causate dalla presenza ancora oggi persistente di queste “vacche sacre”.

Si tratta di una presenza che ubbidisce, come un rituale che si trascina da oltre un ventennio, alle disposizioni dettate da una Nomenklatura di mafia, nella notte dell’inganno, dove alla libertà ed al diritto si sostituisce la beffa, fatto ancor più grave, proprio qui, in questa vallata del La Verde che vide maturare quelle riflessioni filosofiche che si intrecciarono con quelle che portarono alla fondazione della vera “Città della Giustizia” o Dicearchia degli antichi Samii nell’odierna Pozzuoli, forse ancor prima delle stesse leggi dettate da Zaleuco di Locri, noto quale primo legislatore del mondo occidentale.

È un territorio che ha registrato significative presenze di civiltà diverse, fra cui quella fenicia ed ebraica, oltre a quella italica, mentre sempre più esplorata rimane quella magno-greca.

Oggi, beffa della storia, nella medesima Vallata, che ha visto maturare, nel tempo, profonde riflessioni di pensiero, anche di libertà e diritto, come di scienza e di arte, si assiste alla disfatta di quella Repubblica ai cui “coppieri” già Platone dava acuto avvertimento nel versare e fare uso della libertà: ma i nostri odierni “coppieri”  non sembrano aver ben appreso tale  lezione, che peraltro anche il Sommo Poeta ha voluto ricordare ed il nostro Campanella elevava a poesia la sua missione contro “tirannide, sofismi ed ipocrisia”: al buon intenditore, poche parole.

Si tratta della dignità della nostra storia e di questi luoghi a lungo calpestati dalla barbarie e da una pseudo civiltà, nella secolare ed odierna notte dell’inganno della Nomenklatura.

Si tratta di cogliere, in tutta la sua interezza, l’energia della propria radice in funzione di una nuova dimensione, ricostruzione spirituale, culturale, sociale, economica: ripartire, come affermava Mons. Bregantini, il precedente vescovo di Locri, dalla riscoperta e valorizzazione della “chiesa primitiva”, che in Calabria, riconobbe, come scrisse il Tedesco, anche per gli anacoreti, la prima terra di “accoglienza” del mondo occidentale, confermata  dalla millenaria e feconda tradizione ortodossa, greco-bizantina, oggetto di secolari forme diverse di persecuzione dovute all’invasione latina  e la pacifica coesistenza con altre tradizioni, come quella ebraica: quest’ultima ha lasciato significative testimonianze ed ha contribuito anche nel secolo scorso allo sviluppo di importanti centri calabresi, quasi ad indicare, pur nella diversità, una forma “particolare” di continuità tra “primo e secondo Testamento”, volta al dialogo, rimanendo, pure, nel rispetto delle diverse, rispettive posizioni.   

Vi è anche da dire che, se in particolari momenti, la presenza ebraica è stata allontanata dal territorio questo è avvenuto a causa dell’invasore “di turno” e non dei calabresi che, invece, l’ hanno apprezzata, difesa e valorizzata in funzione anche economica, come la feconda attività della seta ha dato prova e sul piano più squisitamente storico-archeologico, più recentemente, lo indica la presenza dell’importante Sinagoga, la seconda più antica d’Italia e probabilmente d’Europa, oggi ricadente nella giurisdizione del Comune di Bova Marina.  

Valorizzare la “memoria”, approfondirne con chiarezza la non facile complessità stessa dell’insieme della radice,  a volte controversa, per ricostruire e saper guardare al futuro.

E ritorniamo, fattivamente, ai riflessi ed alle correlazioni della fattispecie odierna che non riguarda soltanto una vicenda personale, ma anche quella di diversi altri soggetti, (quindi  un fattore sociale che interroga la tenuta stessa dello Stato), particolarmente quelli che si sono visti sollecitati da importanti istituzioni, come  quella dei carabinieri, a non presentare, nella fattispecie relativa al fenomeno delle “vacche sacre”, formale denuncia e segnalazione di fatti e misfatti lesivi non solo della norma, ma soprattutto della libertà, del diritto e, in una parola, nella più corrente accezione di essa, della Civiltà.

La necessità, come la norma prevede, di documentare il danno subito sollecita il relativo sopralluogo, quando quest’ultimo, volgeva alla sua conclusione, l’imprenditore stava per fare ritorno a casa, intorno alle 20,30 del 3.07.’22, mentre si trovava ancora in azienda, il proprio cane, l’amico fedele, avverte una presenza estranea e pericolosa a cui reagisce fortemente ed insistentemente, con modalità non usuali, l’imprenditore coglie subito la gravità del momento, dà una forte reazione vocale di sfida, da una posizione di forza, guadagna pochi istanti indispensabili per mettersi immediatamente in salvo, mentre tali criminali, così disorientati, avvertendo anche i rischi per la propria pelle, ritengono meglio scomparire nella fitta boscaglia.

Si tratta della medesima fitta boscaglia, dove, in altri momenti, ha trovato rifugio, per sfuggire alla presenza dei carabinieri, chi guidava nella notte queste “vacche sacre”, mentre altri carabinieri, successivamente, negavano l’esistenza di esse, al contrario, ancora oggi persistente: non si tratta, pertanto, di vacche erranti come, gravemente, è stato scritto, nel tempo, nel corso dell’attività investigativa e di coordinamento giudiziario, ma “sacre” e gestite, quale evidente strumento di pressione per chiara finalità estorsiva, così come hanno riconosciuto per ben due volte due Sig.ri Procuratori della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri ed incomprensibilmente non riconosciuta, per la medesima dinamica, da due Sostituti Procuratori della DDA presso il Tribunale di Reggio Calabria.

Si tratta di gravissime contrapposizioni di giudizio, compresi i relativi omicidi ad essi correlati, che l’Ufficio di Gabinetto del precedente ministro della Giustizia, On.le Bonafede, in coordinamento con quello della Presidenza della Repubblica, ha ritenuto “irrilevanti”.

Pochi giorni prima ed anche nel corso della notte precedente le colture di bergamotto venivano ulteriormente e gravemente danneggiate dalla presenza devastante di queste “vacche sacre” per le quali si attende, da lungo tempo, l’annosa conclusione dell’abbattimento definitivo, ma, gravemente, interrotto.

Oggi, la vicenda è seguita dalla Questura Centrale, dalla Prefettura e dalla DDA di Reggio Calabria: si confida in un rapido ed acuto riscontro da parte delle Istituzioni interessate, diversamente sarà lo Stato ad assumersi ulteriori e gravi responsabilità, in presenza di annose e gravissime vicende, che da troppo tempo attendono un atto di giustizia.   

Tutto ciò si aggiunge gravemente alla narrazione precedente, quale:

l’omicidio del Padre consumato nel corso della gestione dei sequestri di persona dell’epoca, che sarebbero stati gestiti, come affermano alcuni pentiti ed una Fonte resa presso la Direzione Nazionale Antimafia, anche con gravi complicità di Stato, di Servizi e carabinieri deviati, la memoria ancora viva di tutti coloro che sono stati trucidati, in quelle circostanze, soltanto perché fortuiti e scomodi testimoni di quei passaggi inconfessabili mentre erano intenti nel lavoro onesto dei propri campi e delle proprie aziende, le cui famiglie sono ancora prive dei diritti che la norma prevede, l’annosa attesa del riscontro all’istanza presentata ai Sig.ri Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica volta ad ottenere  l’approvazione della costituzione di una Commissione d’Indagine Parlamentare su tali complicità, le minacce di morte e l’organizzazione di alcuni attentati a cui l’imprenditore fortuitamente sfugge, la persistenza delle distruzioni e dei danneggiamenti aziendali, dovuti alla presenza persistente delle “vacche sacre”, il dominio mafioso che attraverso di esse continua, da oltre un ventennio, ad essere esteso ed esercitato su tutto il territorio aziendale, la sospensione dell’abbattimento di esse, avvenuta a  seguito di una riunione convocata con elementi di ‘ndrangheta, la presunta “fissazione” per la quale un PM di Roma sollecitava un Agente di Polizia di Stato a non acquisire la relativa denuncia che l’imprenditore andava a presentare,   il mancato riconoscimento dell’insieme della natura mafiosa degli eventi denunciati, come pure la mancata, annosa ricostruzione dell’insieme del danno aziendale (si tratta di azienda importante sul territorio, prima in Italia con colture di bergamotto, a plurima diversificazione colturale e zootecnica ed a struttura integrata di alta qualità) subito a seguito di gravi fatti di mafia, nonostante due sentenze emesse da parte del Consiglio di Stato in accoglimento delle domande dell’imprenditore ed in rigetto delle relazioni di stima del danno redatte da parte del CFdS, quale Organo tecnico incaricato da parte della Prefettura di Reggio Calabria.

Quest’ultimo rendeva, infatti, la rappresentazione  di un podere invece di un’azienda, malgrado alcuni organi di stampa abbiano ritenuto, dopo diretta constatazione, di riconoscere l’imprenditore quale “Re del bergamotto”.

Parliamo, quindi, del diniego espresso alle successive istanze presentate ex L.44/99 anche quando il Comandante dell’epoca  del CFdS riconosceva e segnalava il rilevante spessore mafioso del clan a cui appartengono queste “vacche sacre”, di cui non vi è menzione nel provvedimento di diniego redatto da due Sostituti Procuratori della DDA sulla base di informative dal contenuto, quantomeno, deviante, al contrario, nel tempo, antecedentemente e favorevolmente espresso, per la medesima dinamica mafiosa denunciata, da due dei precedenti Sig.ri Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Locri.

Proseguiamo, inoltre, con l’accusa di procurato allarme presso la Procura di Locri mentre, per le medesime ragioni e dinamiche denunciate, per le quali è imputato, risulta, al contrario, parte offesa presso la Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. L’insieme di queste  ragioni ha sollecitato l’imprenditore a rappresentare formalmente presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria il divieto di accesso nella propria Azienda per tutte le forze investigative provenienti dalle sedi della Locride e la richiesta che le forze investigative siano scelte, per i relativi interventi in questa azienda, tra quelle provenienti dalle Sedi centrali di Reggio Calabria e non dalla Locride.

Ha chiesto ed ottenuto un incontro con SE il Prefetto di Reggio Calabria ed al  Sig. Ministro dell’Interno rinnova l’istanza sia dell’invio nella Locride di forze investigative adeguate alle problematiche che il territorio presenta e sia a rivedere le risposte date alle interrogazioni parlamentari presentate sulla vicenda in quanto tali risposte sono state formalmente date sulla base di informative, quantomeno, devianti, che continuano ad ingannare l’intero Parlamento ed ogni altro lettore,  mentre il X Comitato, interno alla Commissione Parlamentare Antimafia, non ha più ritenuto di continuare la relativa audizione iniziata ed interrotta in riferimento anche alla gestione dei sequestri di persona dell’epoca gestite con complicità di Stato, così come affermano anche alcuni pentiti, come anche lasciano ben capire le contestazioni espresse, nell’immediatezza dei fatti, dai familiari delle vittime, nonché i gravissimi interrogativi espressi dallo stesso Procuratore della Repubblica dell’epoca presso il Tribunale di Locri, Dott. Macri, e secondo quanto emerge dagli stessi Atti redatti dalla Commissione Parlamentare Antimafia dell’epoca.

In presenza di tali fatti e dinamiche mafiose la Commissione Parlamentare Antimafia, i Dicasteri interessati continuano a tacere ed inoltre rimane l’annosa attesa del riscontro richiesto per conoscere se l’Ufficio Giustizia presso la Presidenza della Repubblica ha informato o meno il medesimo Presidente della Repubblica, per tali gravi fatti e misfatti di Stato.

Si tratta di fatti che interrogano gravemente la linea e la politica Antimafia, particolarmente sull’abbandono, da parte dello Stato, delle imprese e soggetti colpiti da eventi mafiosi, ma noi, come scriveva Mons. Bregantini, il precedente Vescovo di Locri, “non possiamo tacere”.

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