martedì, Aprile 30, 2024
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I figli della Testimone di Geova morta nel Casertano: “Falso che voleva morire”

Piedimonte Matese – “Paragonare la morte di nostra madre a un suicidio assistito è semplicemente falso”. E’ durissima la replica dei figli della donna 70enne Testimone di Geova deceduta nell’Ospedale di  Piedimonte Matese nel Casertano qualche giorno fa. In una nota inviata ai media, i figli della donna contestano in toto la ricostruzione della tragica vicenda fatta dal primario Gianfausto Iarrobbino, prima su Facebook e poi anche in alcune interviste televisive. Qui il medico ha dichiarato che avrebbe potuto salvare la paziente solo con le trasfusioni che la donna aveva deciso preventivamente di non ricevere.

Molto diversa è la versione dei figli che riportiamo: “Amavamo molto nostra madre- affermano i figli-  e l’abbiamo sempre ammirata per la sua fede e il suo coraggio, oltre che per l’amore che aveva per la vita. Anche per rispetto nei suoi confronti ci sentiamo obbligati a fare le seguenti precisazioni. Come testimoni di Geova amiamo moltissimo la vita. Quando nostra madre si è sentita male l’abbiamo portata subito in ospedale perché venisse curata nel modo migliore possibile. Abbiamo anche rispettato la sua decisione di non ricevere trasfusioni di sangue, consapevoli che esistono strategie mediche alternative che funzionano molto bene, anche in casi delicati”.

“Purtroppo – prosegue la nota – quando nostra madre ha chiesto ai medici di curarla con ogni terapia possibile tranne che col sangue i medici non le hanno somministrato prontamente farmaci che innalzassero i valori dell’emoglobina. Lo hanno fatto solo due giorni dopo dietro nostra insistenza. Non hanno nemmeno fatto indagini strumentali che permettessero di trovare il luogo esatto dell’emorragia così da fermarla il prima possibile. Si sono limitati a chiedere insistentemente di praticare l’emotrasfusione. Ma a cosa sarebbe servita se il problema di fondo era la perdita di sangue? Intanto le condizioni di nostra madre peggioravano inesorabilmente. Dal momento che non era in grado di sostenere un trasferimento in un altro ospedale, abbiamo fatto in modo che i medici locali ricevessero materiale scientifico su efficaci strategie alternative alle emotrasfusioni. Tali indicazioni però sono state recepite solo parzialmente e quando ormai era troppo tardi”.”Capiamo la frustrazione del primario, incapace di curare la paziente con strategie cliniche alternative alle trasfusioni. Tuttavia non accettiamo i suoi insulti e le sue affermazioni palesemente false. Dire che noi figli ci saremmo esaltati e che avremmo accolto la morte di nostra madre “quasi con gioia” è una grave diffamazione” e “paragonare la morte di nostra madre a un suicidio assistito è semplicemente falso”.

“Ci auguriamo – conclude la nota- che questa triste vicenda faccia riflettere la direzione ospedaliera così che nessun paziente in futuro debba subire un trattamento simile a quello riservato a nostra madre”. Non sono escluse azioni legali da parte dei figli nei confronti dei medici dell’ospedale.

Va precisato, che sebbene il primario abbia parlato di “suicidio assistito” e nell’hastag in calce alla sua dichiarazione, vi abbia incluso addirittura il termine “eutanasia”, peraltro vietata in Italia, la legge 22/12/2017, n.219 sul consenso informato e le direttive anticipate (DAT), prevede il diritto alla rinuncia di alcuni trattamenti sanitari in favore di altri, nell’adempimento e nel rispetto dei principi della Costituzione (art. 2, 13 e 32) e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Roberto Guidotti

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