domenica, Maggio 12, 2024
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“Perchè ripristinare il dialogo con la Russia”

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“Perchè ripristinare il dialogo con la Russia”


di Gaspare Baggieri*


Il perbenismo benpensante di alcuni salotti televisivi utilizza la retorica della pietà, della compassione e della solidarietà spendendo parole e riferimenti molto spesso macchiettistici che vanno dalla resistenza italiana, alla guerra fredda, alla condivisione del diritto di difesa degli ucraini in nome del nazionalismo del
patriottismo e così via. Il coinvolgimento dei giornalisti corrispondenti di guerra, uniche voci credibili, divengono strumento inconsapevole dei talk show. Il “delirio” che imperversa non risponde alla razionalità del pensiero, le oscillazioni dei cervelli sono soggette alla emotività dell’informazione e dei condizionamenti del momento; dei pregiudizi e dei retroterra culturali, mentali, ambientali, di appartenenza partitica, e noi spettatori impotenti, assistiamo ad interviste in studio con scenografiche
rappresentazioni, interni di case con sfondi ricercati, abiti indossati, dettagli fisici presentazione dell’ultimo libro, le convenienze dell’occasione. Un circo mediatico che fa delle immagini e del tema della guerra la cifra ipocrita che privilegia e tocca le corde più intime delle appartenenze umane Non solo ma per dare equilibrio alle opinioni c’è chi discetta in nome e per conto di una “oggettività” cosi palese e
scontata, con argomentazioni anche opposte, tendenzialmente filorusse ben marcando, cautelandosi, che Putin rimane un criminale. Per esprimere così un pensiero di “controinformazione” quanto basta per occupare fuori dal coro, una nicchia di notorietà e narcisismo.

Si dice che l’Europa mai come ora sta mostrando la sua compattezza, che le sanzioni sono la prova di una condivisione che sta mettendo in difficoltà Putin. Gli Stati Uniti stanno curando una regia di raffinata strategia che direttamente e attraverso la NATO tende a voler sfidare l’autocrate russo. Nel frattempo la tenaglia si stringe, e certamente non nei territori ucraini, ma nel perimetro di un’ Europa apparentemente unita e compatta, ma che cela condizioni di economia e di mentalità molto differenti e sproporzionate tra le nazioni che la compongono. Dall’energia, ai temi dell’ambientalismo, dagli ordinamenti militari e di giustizia, alle rivendicazioni identitarie, al tema dell’immigrazione, alla gestione delle finanze pubbliche dei singoli stati , a sistemi elettivi differenti tra i vari paesi. Compattezza e unione dell’Europa, slogan emanato nel breve tempo di un’ urgente, forse troppo urgente necessità e formalità, contro l’autocrate Putin, per sanzionare e armare, senza accorgersi che la morsa della tenaglia russo americana sta cominciando a stritolarci. Per giunta salito in cattedra il premier inglese mette il carico da novanta, getta il
guanto di sfida quasi con irrisione, quanto basta a ciascun stato europeo a guardarsi dentro nel tormento delle proprie difficoltà, constatare le criticità e i precari equilibri dei propri governi. La terza guerra mondiale è cominciata e ce la stiamo alimentando tra di noi, non necessariamente la si deve combattere con le armi, sono sufficienti i disaccordi interni che ci sono in ogni nazione e tra le nazioni, soprattutto in tema di energia che per i costi che si andranno ad affrontare metterà sul lastrico i popoli più deboli.

Altro che prezzo unico di acquisto per il gas, come se la sostituzione ad esempio della lira con l’euro avvenuta agli inizi del 2000 non avesse segnato un “cambio” di passo sfavorevole di almeno il 20/30 per cento al nostro potere di acquisto. Ed ancora tutte le progettualità del PNRR come andranno a configurarsi su scenari economici così sconvolti? Attivazione di centrali a carbone, non sono in
contraddizione con i progetti di riduzione dell’inquinamento e della transizione ecologica? E l’installazione dei rigassificatori nei porti quanto costerà? Nel frattempo scarseggiano gli approvvigionamenti alimentari, le nazioni del nord-africa dal Marocco, all’Egitto come reagiranno alla carestia? Senza grano non c’è pane, quel grano che l’Ucraina forniva per dar da mangiare a circa il 20 per cento della popolazione mondiale. Un problema che rimbalzerà in una Europa inghiottita suo
malgrado in alleanze e complicità di una guerra che comincia ad essere disegnata e calcolata su scenari futuri di lungo tempo. Allora i conti saranno davvero salati e le cosiddette rivendicazioni democratiche e idealistiche degli stati europei diverranno un lusso che non ci si potrà permettere. Dal fronte di guerra si reclama il sostegno con le armi per contenere e battere Putin, con quale limite?

Con la fornitura di ordigni nucleari all’Ucraina? Un limite inaccettabile per l’intera umanità. Intanto gli ucraini che già vivevano in condizioni di povertà, sono bombardati. Le loro città sono distrutte, devastata la loro anima, le donne e i loro figli profughi erranti per l’Europa, che destino avranno? Cosa può cambiare per una famiglia contadina, che vive della propria terra, cosa rispondere alla rivendicazione del diritto alla vita di ciascun essere umano?

Allora è pensabile che qualcuno dovrà pur cominciare a trattare. Putin, per mentalità per cultura per orgoglio storico, non farà mai il primo passo, gli Stati Uniti altrettanto per supremazia mondiale imperialista, per la giovane storia, per distanza geografica, perseguiranno le loro convinzioni. Forniranno armi e saranno a fianco dell’Ucraina sino a quando Putin sarà piegato. L’ONU oltre a muoversi con ritardo pare non abbia ascolto, per giunta missili sono stati lanciati nel corso della visita del Segretario Generale delle Nazioni Unite a Kiev. Rimane l’Europa, e il consiglio dei quaranta paesi di Raimstein, anche se c’è da chiedersi perché nazionalismo, sovranismo, “patriottismo” erano aspetti da condannare o visti con diffidenza prima di questa guerra. Forse abbiamo fallito; se non riusciamo ad essere europeisti condivisi (vedi Macron e Sholtz che parlano con Putin escludendo l’Italia). In fondo a pensarci bene, in questa fase di guerra, il silenzio di Putin è un chiaro messaggio subliminale rivolto ai paesi europei. E allora per frenare l’escalation di rilancio alle armi, alle minacce, ai ricatti occorre proporre a Putin cose concrete che noi come Italia possiamo, per delega europea cominciare a fare. Mai come ora l’Italia in particolare per
un’assonanza culturale è quella preposta a questa straordinaria impresa di pace. Anche se il complesso delle scelte europeiste che abbiamo fin qui condiviso potrebbero risultare contraddittorie. tuttavia si rende indispensabile una valvola di compensazione. Occorre che le nostre migliori menti politiche e culturali assieme al Santo Padre, pretendano la centralità dell’Italia nell’agevolare un incontro con l’autocrate russo per ottenere la fine delle ostilità. Avviare un dialogo cominciando col ripristino, se concordato, delle relazioni culturali, revocando anche le sanzioni, concedendo, il rientro dei russi in Italia e non inviare armi se non i necessari aiuti umanitari. Valutata attentamente potrebbe risultare una posizione spiazzante, scioccante, rischiosa ma certamente di suprema responsabilità e coscienza civile.

Per non cadere nel retorico e istintuale pensiero “ideologico” dei cosiddetti scontati valori di libertà d’indipendenza di neutralità, di autodeterminazione dei popoli che rimangono comunque sacri. Peraltro in un contesto di globalizzazione che, se pure ha marcato una pausa in questi ultimi tempi, incalza inarrestabile rompendo i tempi e le essenze stesse delle idealità storiche e delle aspettative che hanno distinto i popoli della terra. La storia che stiamo vivendo e alla quale assistiamo è una rivoluzione
epocale, quindi viviamola con meno morte e meno guerre, utilizzando la ragione l’intelligenza e meno l’istinto. In questo senso il linguaggio dell’arte può svolgere un ruolo determinante per non dimenticare i principi faticosamente fin qui raggiunti di uguaglianza, di confronto e dialogo e questo per abbattere muri e costruire ponti per disinnescare guerre e tentazioni perverse ed egoistiche.


Un aiuto dall’arte

Affidiamoci al vero linguaggio delle intimità dell’uomo. Pietro il Grande colse gli aspetti migliori dell’arte italiana invitando gli architetti italiani a progettare la nuova “città ideale” di San Pietroburgo. Si sono succeduti nel tempo Domenico Trezzini, Bartolomeo Rastrelli, Carlo Rossi, architetti che hanno lasciato una incisiva rappresentazione dell’architettura italiana. Testimonianze alle quali era stata affidata
sulla fiducia una responsabilità interpretativa quale espressione di un pensiero ideologico e di bellezza lungimirante, che andasse oltre la rappresentazione del momentaneo potere dello Zar. Fece progettare e realizzare a Bartolomeo Rastrelli il Palazzo d’Inverno, palazzo imperiale che diverrà sede dell’Ermitage. Nel 1917 sarà il simbolo della conquista della rivoluzione d’ottobre, ma non per questo verrà abbattuto. Allo stesso tempo lo Zar esortava gli intellettuali e gli aristocratici a recarsi in Italia. Grandi romanzieri e poeti russi, ucraini, come Cechov, Gogol, Dostoevskij,hanno steso una sostanziosa letteratura soggiornando a Venezia e a Firenze.

Storicamente quindi l’Italia per il suo patrimonio di bellezze è sempre stata nel cuore della Russia. Si sono rafforzati in un dialogo sottotraccia rapporti molto profondi che possiamo per certi versi ricondurre, ad esempio, agli scambi frequenti di opere d’arte tra musei dei due Paesi. Nella primavera del 2019 all’Ermitage, una mostra sui Longobardi, raccontava, un contesto storico molto particolare che nonostante i conflitti di guerre e le tormentate relazioni con altre popolazioni barbariche, aveva visto col sostegno di papa Gregorio Magno la conversione al cattolicesimo della regina Teodolinda e del popolo Longobardo. Una posizione politica, che Influenzerà notevolmente le relazioni con i bizantini che in termini di cristianesimo da: Salonicco, a Costantinopoli, Vladimir, Kiev, Novgorod, tanto per citare alcune delle
località più famose, lascerà in una manciata di secoli nelle chiese cristiano ortodosse, tracce di un preziosismo d’arte (cicli pittorici e di mosaici), di rilevante interesse mondiale. Un abbraccio geografico che passa per Venezia e si chiude con la chiesa di Roma, quasi a voler comunicare che siamo culturalmente e antropologicamente uomini appartenenti ad un’unica entità. Una lezione di Civiltà per ricordare, “questo non vuol dire subire”, che siamo portatori e consegnatari in nome della pace, di arte, bellezza e cultura, che poi è la nostra autentica identità. Intanto al di là della terra contesa e massacrata, in oriente sul suolo calpestato da Marco Polo, qualcuno osserva in silenzio e attende.


*Antropologo

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