I cantieri nelle città e l’ottimismo scomparso – Le numerose gru e impalcature che abbiamo visto nelle nostre città negli ultimi mesi, grazie al Superbonus e al 110%, hanno ricordato in qualche caso la serie di costruzione che caratterizzarono lo scenario italiano durante il boom economico. Altri tempi naturalmente, anche se carpentieri, muratori, falegnami e tutti quelli che gravitano nell’edilizia hanno in comune il lavoro all’aperto, il freddo, il caldo e il rischio – anche della vita – che la loro professione comporta.
C’è una situazione invece che è completamente cambiata anzi scomparsa. Una volta negli anni ’50 e ’60 era comune sentire fischiettare o cantare chi lavorava su un’impalcatura o sopra un tetto. Il lavoro era duro e forse meno tutelato, ma chi passava nei pressi di un cantiere o chi si affacciava dalla finestra adiacente, di sovente sentiva le strofe di “volare oh oh…”, “ Marina, Marina, Marina…”, “in ginocchio da te..” e simili. Non sempre degli usignoli per la verità, ma qualche bella voce intonata si poteva anche udire.
Oggi no, non si canta più mentre si lavora. Sicuramente l’inquinamento acustico determinato dalle auto coprirebbe le voci. E poi martelli pneumatici, trivelle e altro – che richiedono cuffie per la protezione dell’udito- non permettono molte esibizioni canore estemporanee. C’è pure il cellulare che invia notifiche continuamente al quale difficilmente si rinuncia.
Eppure c’è qualcos’altro che determina il silenzio degli improvvisati cantanti: l’atmosfera, il clima, l’aria che respiriamo. E non stiamo parlando del respiro di ossigeno vero e proprio e di inquinamento e smog che è comunque presente, ma dei tempi in cui viviamo, di quello che accade intorno a noi e quello che immaginiamo per il futuro. Insomma la leggerezza, la spensieratezza, la giocondità in molti casi che spuntavano fuori dalle ugole di chi impastava il cemento o picchettava i mattoni non c’è più.
Il punto è che non ci sono molti motivi per stare allegri o al limite per esternare un momento di letizia durante il lavoro. Il passato non è tutto rose o fiori come spesso lo dipingiamo o “revisioniamo”. Fatica, sfruttamento, povertà si sentivano e si subivano. Ma non azzerava completamente la voglia di vivere almeno in qualche frangente della propria esistenza. Anche la visione del futuro è diversa. In passato c’è chi pensava che qualcosa un giorno sarebbe cambiato o almeno le condizioni personali sarebbero migliorate. Nei nostri tempi è molto difficile supporre eventi futuri belli e rincuoranti. Per questo si ha veramente poca voglia di cantare spontaneamente.
Se oggi a qualcuno venisse in mente di intonare un canto ad alta voce, sarebbe etichettato come strano oppure susciterebbe ilarità da parte di colleghi e spettatori, compresi i pensionati che vanno a guardare i cantieri. Oggi, pare che non ci siano motivi per cantare. La voglia di vivere che c’era allora – e qui aveva ragione Vasco Rossi – oggi chissà dov’è…
I tempi sono poco luminosi, non ci vuole molto a capirlo. I grandi avvenimenti internazionali determinano insicurezza, paure e timori per il futuro. E questo lo si evince anche dalle piccole cose che spesso sono solo lo specchio riflesso della nostra condizione emozionale, dei nostri pensieri e delle nostre aspettative.
Roberto Guidotti
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