di Giorgio Girelli *
Con Alberto Berardi, orgoglioso cittadino fanese, ho avuto scontri vivaci, seppur per breve tempo. Io sostenevo, come presidente del conservatorio Rossini le prerogative delle Stato (e quindi del conservatorio) su palazzo Olivieri sede dell’Istituto mentre lui insisteva su competenze che riteneva appartenessero alla Fondazione Rossini, di cui era vice-presidente. Poi, come spesso accade, la dialettica trovò la sua composizione. Quando lasciai la presidenza, status e prerogative del conservatorio sul Palazzo erano intatti ed i conflitti un lontano ricordo.
Metto subito le mani avanti perché quanto sto per esprimere non ha nulla di rituale e corrisponde ad un sentimento schietto che nutro nei confronti di Alberto Berardi. Del resto fronzoli e retoriche sarebbero un insulto per un personaggio così diretto come egli è stato. Intellettuale finissimo ed oratore brillante, la cultura ha rappresentato un elemento forte della sua identità. Non sufficientemente lumeggiata perché la sua attività politica ed amministrativa ha assorbito l’attenzione della opinione pubblica. E anche in questo lo sento vicino giacchè – se mi è concessa la parentesi – quel poco di eco che posso avere avuto nella mia città si collega alla militanza politica od alla attività presso il Conservatorio, mentre l’impegno che negli anni mi ha più assorbito e gratificato è stato l’avere diretto strutture rilevanti della amministrazione del Senato della Repubblica, dove gestione e approfondimento giuridico sono andati di pari passo.
E non mancherà chi porrà in doverosa evidenza la rilevante produzione culturale di Berardi, anche se per i più è stato – benemerenze ovviamente non trascurabili – l’uomo del recupero del Lisippo, l’animatore del carnevale di Fano, il politico generoso ed estroverso promotore del benessere dei suoi concittadini. Legato a Spadolini (che forse non ne ha valorizzato adeguatamente competenze e capacità) si è distinto da sempre quale lungimirante europeista. Dopo la “glaciazione” dei partiti succeduta a “mani pulite” era tra colo che non si rassegnavano alla gracilità della politica. Fremeva.
Talvolta mi diceva “Dai ! Facciamo qualcosa insieme”. Ma come disse un ambasciatore veneto “a nulla può l’arte (dell’uomo) quando ha inimica la natura”. E la “natura” in quegli anni era il “senso comune” che aveva – riprendendo il Manzoni – sopraffatto il buon senso. Non disdegnava qualche serata con gli amici, rendendosi sempre gradevole per la sua conversazione tutt’altro che banale. Era tra gli ospiti più graditi agli incontri annuali che i coniugi Fraticelli (purtroppo mancati anch’essi per uno sciagurato incidente stradale) solevano organizzare nella loro villa sulle colline del Metauro.
Lo ricordo alla signora Luciana, cui sono affettuosamente vicino in questo doloroso momento, poiché si è trattato di ore liete, fonte ora non di triste nostalgia ma di rasserenante consuntivo nel momento in cui dobbiamo fare i conti con l’inesorabile “grande appuntamento”. Avremo certamente una abile mano che per conoscenza approfondita, intensa amicizia saprà tratteggiare un profilo organico di questo tenace personaggio. A me compete solo l’omaggio ad uno stimolante compagno di viaggio.
*già Direttore del Servizio Competenze Parlamentari
del Senato della Repubblica
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