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Il 23 maggio la mafia colpiva, ma dal 24 l’Italia resisteva come sul Piave

mafia

Erano le ore 17,57 del 23 maggio del 1992 quando circa mille kg di esplosivo facevano saltare un pezzo dell’autostrada Punta Raisi Palermo portando via un magistrato, la moglie e gli uomini della scorta. Una grande vittoria per la mafia che confermava e rinforzava il proprio potere il 19 luglio dello stesso anno alle ore 16,58, uccidendo in Via d’Amelio a Palermo il magistrato, con la sua scorta, che aveva raccolto l’eredità di colui che segnò la via per combattere l’Anti-Stato.

La mafia si afferma così come “reggente” dello stato, essendo ben radicata nelle istituzioni e con sempre maggiore introduzione nell’occupare quei posti di potere strategici per gestire il Paese.


Il 1992 rappresenta quindi la vittoria della mafia, piaccia o no, che segna la sconfitta dello Stato, dopo le uccisioni di magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, politici impegnati a dare volto e nomi a chi fa parte dell’anti – Stato.

Reina, Brusca, Santapaola, Bagarella, Provenzano e tanti altri sono di certo nomi noti, ma certamente di manovalanza pur essendo di rilievo, poiché la “cupola”, di cui parlava un famoso pentito, non si riusciva a toccare.

Ma a quella miravano tutti quegli uomini che hanno pagato con l’estremo sacrificio la propria battaglia.
Il magistrato Giovanni Falcone asseriva: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di
potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi.”

Chissà quindi quanti colletti bianchi, uomini di potere, uomini dello Stato, facevano e fanno parte ancora oggi dell’Anti-Stato.
Chissà quanti di questi, fingendo un pianto, con lacrime di coccodrillo, hanno partecipato, impenitenti e vilmente alle estreme esequie di coloro che, servitori dello Stato, hanno onorato i valori per cui hanno giurato
fedeltà alla Nazione.

False commemorazioni, per tenere buoni i cittadini, prima palermitani, poi siciliani e via via sempre più italiani. La corruzione, in taluni casi, è divenuta via via normale modalità di amministrazione, come purtroppo si evince dalle numerose indagini, alcune perseguite, altre misteriosamente tralasciate.

È di questi periodo la notizia dell’improvvisa scarcerazione di quei personaggi ritenuti pericolosi tanto da essere inseriti a regime di carcere duro, noto come 41Bis.

Uno scandalo che in altri termini avrebbe dovuto stravolgere tutto l’assetto politico istituzionale, e che, invece, ha visto solo le dimissioni “spontanee” di diversi Magistrati e altissimi funzionari di uno dei ministeri
che dovrebbero garantire la Giustizia, collusa, purtroppo, in molti casi, con interessi politici e di altro tipo.

La mafia non è solo una organizzazione strutturata difficile da debellare, ma una mentalità.

Come disse Giovanni Falcone in una delle sue ultime interviste, se non l’ultima prima di essere ucciso:
“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Spero solo che la fine della mafia non coincida con la fine dell’uomo.”

E’ del 24 maggio 2020 la notizia di una serie di dimissioni avvenute nell’ambito dell’ Associazione Nazionale Magistrati a seguito
di intercettazioni che parlano di poltrone da “occupare” all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura. E sono numerosi i magistrati di rilievo che chiedono a gran voce una riforma che possa restituire credibilità verso la magistratura.

Il 24 maggio è per l’Italia in guerra il giorno della riscossa e della Vittoria dopo la disfatta di Caporetto, come ricorda il celebre brano del Piave.

Possa il 24 Maggio essere ancora una volta il giorno di inizio della riscossa affinché lo Stato si liberi dell’Anti-Stato ed il popolo Italiano possa
tornare a quella libertà e democrazia negata e che ha visto morire tanti dei suoi migliori figli.

Così che anche il termine “magistrato” possa ritrovare quella dignità che in alcuni casi viene purtroppo travolta da condotte non propriamente degne.


Ettore Lembo

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