sabato, Giugno 8, 2024
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Sara Pedri, le dimissioni dall’ospedale e la scomparsa: proseguono le ricerche

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Sara Pedri, le dimissioni dall’ospedale e la scomparsa: proseguono le ricerche

Bella, giovane, solare. Innamorata del proprio lavoro. Si trasferisce a Trento per dare corso al suo sogno, che era quello di aiutare a generare la vita, ma poi qualcosa cambia. Diventa cupa, triste, segno del fatto che sta attraversando un periodo difficile. Si dimette dal posto di lavoro e da quel momento di lei non si sa più niente. La sua auto, con il cellulare all’interno, viene rinvenuta in prossimità di un ponte.

E’ giallo sulla scomparsa di Sara Pedri, ginecologa 31enne di Forlì improvvisamente sparita nel nulla senza una parola. L’ipotesi è che fosse molto provata dalle condizioni in cui si trovava a lavorare: turni massacranti, ma non solo.

La famiglia vuole fare chiarezza: “Perchè il caso di Sara serva ad evitare altre tragedie”.

Il direttore generale dell’ospedale Santa Chiara di Trento, Pier Paolo Benetollo, ha disposto l’istituzione di una commissione di indagine interna per fare luce sull’accaduto.

La commissione effettuerà, entro le prossime due settimane, un’audizione di tutto il personale dell’Unità operativa. Nel frattempo il direttore dell’Unità operativa di ginecologia ha concordato di utilizzare un periodo di ferie arretrate e non godute, per agevolare il lavoro della commissione che, si assicura, “procederà con speditezza e massima trasparenza”. Secondo parenti e colleghi di lavoro le umiliazioni subite nel reparto avrebbero spinto Sara Pedri prima a presentare le dimissioni e poi – forse – a sparire.

“Scomparsa di Sara Pedri: una vicenda ancora da chiarire. La giovane ginecologa amava il suo lavoro, non era depressa, non era in difficoltà emotiva, voleva solo lavorare e crescere in armonia”. Così Nicodemo Gentile, presidente dell’associazione Penelope, in una nota divulgata attraverso i social. E aggiunge: “Purtroppo a Trento qualcosa é cambiato, anche dal punto di vista della salute e dal 4 Marzo, la bella Sara, dopo essersi dimessa dal posto di lavoro, ha fatto perdere le sue tracce.

La sua macchina è stata ritrovata vicino a un ponte. Da pochi giorni sono riprese le ricerche anche nel lago di Santa Giustina, ma ad oggi non vi sono novità di rilievo.

Mi dicono che il mobbing e il “burnout” sono una brutta bestia.

Sara aveva solo 31 anni, a Trento era cambiata molto e stava male, i suoi parenti, senza voler attaccare nessuno, vogliono solo capire perché tutto ciò è successo, soprattutto a seguito di una molteplicità di contatti ricevuti, con i quali venivano segnalate serie “difficoltà ambientali” nel luogo di lavoro, vissute anche da parte di altri operatori. Penelope accanto alla famiglia, Penelope a sostegno di chi ha bisogno”.

Di seguito la nota pubblicata invece da Primavera Studentesca UMG (Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro): “Ancora una volta ci troviamo a parlare di episodi di mobbing, minacce e umiliazione, ma in questa circostanza le vicende sono accadute all’interno di un’azienda sanitaria: il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Santa Chiara di Trento.

La vittima è Sara Pedri, specializzata a pieni voti in Ginecologia e Ostetricia nella nostra Università con la passione per la Procreazione Medicalmente Assistita. Vincitrice di concorso si trasferisce in Trentino ma in reparto le cose non vanno come sperava: le dicevano che era incapace, non poteva operare e quando era in sala operatoria le lanciavano i ferri addosso. Veniva derisa perché si era specializzata all’Università di Catanzaro.

La vicenda, purtroppo, non finisce qui perché dal 4 marzo scorso non si hanno più notizie di Sara e la famiglia pensa al peggio.

Adesso abbiamo raggiunto l’inverosimile: nel luogo dove la vita, la gioia e qualche pianto innocente sono il pane quotidiano, si realizzano le peggiori discriminazioni, non solo discriminazione di genere verso una donna, ma anche per la sua istruzione in una città del Sud, e peggio ancora in ambiente lavorativo sanitario!

Gli episodi di violenza di genere sono probabilmente la punta dell’iceberg che lasciano emergere tutto quel “substrato culturale” che purtroppo ancora oggi si muove all’interno di molti ambienti sociali e lavorativi: come sempre tocca a noi giovani invertire la direzione, per avere un domani libero da queste vicende.

Alla famiglia di Sara va il nostro abbraccio virtuale, con la speranza che sia da qualche parte a rimuovere dalla mente tutti gli abusi vissuti; alla nostra Università va il nostro applauso, perché da anni forma Professionisti della Salute (e non solo) in grado di competere a livello nazionale ed internazionale… e di questo dobbiamo e possiamo esserne solo orgogliosi.

A chi ha osato discriminare Sara anche per uno solo momento va la nostra compassione, perché possa comprendere la pochezza del suo animo e pagare i suoi errori davanti alla Legge”.

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