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Anticipazioni per “I cinque sensi del Teatro” del Living Theatre del 2 febbraio alle 15.45 su Rai 5: la terza parte

Living Theatre

Anticipazioni per “I cinque sensi del Teatro” del Living Theatre del 2 febbraio alle 15.45 su Rai 5: la terza parte

Grande Teatro in TV di O'Neill del 14 gennaio Rai 5: “Blemie. Il testamento”

Per il Grande Teatro in TV, Rai Cultura propone la terza parte del documentario “I cinque sensi del Teatroi” del Living Theatre di New York, in onda mercoledì 2 febbraio alle 15.45 su Rai 5.

Il Living Theatre è una compagnia teatrale sperimentale contemporanea, fondata a New York nel 1947 dall’attrice statunitense Judith Malina, allieva di Erwin Piscator, e dal pittore e poeta Julian Beck, esponente dell’espressionismo astratto newyorkese.

Il Living Theatre si inserisce nel periodo delle seconde avanguardie artistiche, che fioriscono negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, sulla scia degli insegnamenti delle prime avanguardie europee. In particolare, il centro delle nuove avanguardie è al Black Mountain College, una scuola d’arte di New York diretta da John Cage. Qui si fa strada l’equazione Arte = Vita, cioè l’idea di cercare l’arte nella vita quotidiana delle persone comuni. Si tratta di un naturale proseguimento del ready made di Marcel Duchamp (che era amico di Cage), un’ideologia che caratterizzerà le avanguardie artistiche degli anni Cinquanta, tra cui il Living Theatre, che rappresenta questa tendenza anche col proprio nome[1].

Il teatro, in questo periodo, si concentra soprattutto sull’happening teorizzato da Allan Kaprow e portato avanti dal collettivo Fluxus.Julian BeckJudith Malina

Esordi

Nel 1947, in un giorno imprecisato, i coniugi Julian Beck e Judith Malina (lui 22 anni, lei 21) si recano allo studio newyorkese dell’artista Robert Edmond Jones per chiedergli aiuto a realizzare il loro desiderio di rappresentare uno spettacolo a teatro[2].

«Quando andammo da Robert Edmond Jones nel 1947 per parlargli del nostro teatro lui rimase molto entusiasta e ci chiese di tornare nuovamente. Lo facemmo, io gli porsi i miei progetti scenici e parlammo dei lavori che ci proponevamo di fare. Parlammo molto, ma ci sembrava molto triste e gli chiedemmo perché. All’inizio, disse, pensavo che aveste la risposta, che foste veramente sul punto di creare il nuovo teatro, ma vedo che state solo facendo domande. Quanti soldi avete? 6000 dollari, risposi. Peccato, disse, vorrei che non aveste proprio denaro, assolutamente niente, allora forse potreste creare il nuovo teatro, costruire il vostro teatro con spaghi e cuscini di poltrone, farlo in studi e soggiorni. Dimenticate i grandi teatri, disse, e l’ingresso a pagamento, là non succede niente, niente altro che istupidimento, non verrà mai fuori niente di lì. Se volete prendetevi questa stanza, disse, offrendoci il suo studio, se volete iniziare di qui potete averla.[3]»

Beck e Malina rimangono delusi dalla proposta e rifiutano: in testa non hanno la volontà di scardinare i canoni del teatro classico, bensì di avere un successo simile agli spettacoli che si tenevano a Broadway.

Il 26 aprile 1948, con atto notarile, ufficializzano la costituzione della loro compagnia[4], ma ancora non trovano una sede in cui rappresentare i loro spettacoli. Solo nel 1951, «finalmente convinti (o rassegnati?)»[5], capiscono che Jones aveva ragione e il 15 agosto rappresentano il loro primo spettacolo nel proprio domicilio, al 789 di West End Avenue[5]. Questa scelta è anche influenzata dalla chiusura di un piccolo teatro per abbonamenti che i Beck avevano aperto in Wooster Street, e che la polizia blocca ancora prima dell’inaugurazione, convinta che i due coniugi stessero mettendo in piedi un bordello clandestino[6].

I quattro anni di riflessione hanno significato molto per Beck e Malina: abbandonato il fascino per il teatro di Broadway, hanno abbracciato le tendenze dell’arte contemporanea newyorkese, che vede tra i maggiori esponenti il musicista John Cage e il suo Black Mountain College.

1951-1963: il teatro negli Stati Uniti

La prima parte della carriera del Living Theatre si svolge negli Stati Uniti dal 1951 al 1963, quando la compagnia rappresenta ventinove testi per ventidue spettacoli. Si tratta di un’iperproduttività tipica di tutte le avanguardie teatrali di questo periodo, che deriva dalla «necessità dell’apprendistato [e dal] bisogno di fare molte esperienze, attraversare molti linguaggi e molte tecniche teatrali per poter arrivare a conquistare una propria, personale cifra espressiva», dice De Marinis[7], che suddivide questo primo periodo americano in tre fasi:

Teatro di poesia (1951-1955)

I primi spettacoli del Living sono incentrati sulla parola poetica più che sul gesto, ma il pubblico è disinteressato e gli insuccessi numerosi[8]. Beck etichetterà in seguito questa prima fase come «attività preparatoria» e «tentativi […] del tutto inesistenti»[9].

L’attività di questo primo periodo del Living si tiene dapprima nel piccolo teatro Cherry Lane (al 38 di Commerce Street, New York), che Beck e Malina prendono in affitto a dicembre del 1951, ma che il servizio antincendi fa chiudere nell’agosto del 1952, dopo cinque spettacoli e un happening di John Cage; successivamente in un granaio nella Centounesima Strada soprannominato The Studio, in cui i Beck permangono dal marzo del 1954 al novembre del 1955, cioè quando l’ufficio agibilità chiederà di ridurre il numero di sedie e i Beck preferiranno andarsene piuttosto che acconsentire.

Teatro-nel-teatro (1955-1959) e The Connection

«Pur perdurando il loro interesse per il teatro di poesia, in questo periodo i Beck si mettono in cerca, più specificamente, di testi che fossero in grado di conferire maggiore immediatezza al loro modo di fare teatro, riuscendo ad accorciare il divario ancora vistoso tra scena e realtà e a favorire così l’avvento di un teatro “vivente” di fatto, oltre che di nome»[10]. Per fare questo il Living si concentra su Luigi Pirandello, le cui opere sono ancora sconosciute al pubblico statunitense: l’autore italiano è infatti l’unico ad avere giocato, fino a quel momento, sul rapporto controverso fra realtà e finzione. La messa in scena nel 1955 di Questa sera si recita a soggetto (Tonight We Improvise) è un successo per il Living, che lo ripete per quattro mesi senza interruzioni.

Nel 1959 i Beck ricevono per posta un manoscritto di Jack Gelber, la prima prova di uno scrittore allora ventiseienne: si tratta di The Connection, che sarà lo spettacolo più famoso del Living fino a The Brig. Si tratta della storia di un gruppo di drogati in un appartamento, che mentre attendono il loro spacciatore (in gergo connection, cioè intermediario) si comportano come tutti i drogati: si somministrano dosi. Tuttavia non si tratta di attori, ma di veri drogati che la compagnia assume per fare davanti a un pubblico ciò che fanno abitualmente, mescolando scene recitate ad altre improvvisate. Si crea così un forte intreccio fra realtà e finzione che sconvolge e disorienta il pubblico, confuso fra le improvvisazioni vere e quelle false e addirittura scioccato (nella scena dell’overdose avvengono alcuni svenimenti). La critica, invece, apprezza notevolmente questo spettacolo del Living, che viene riproposto per tre anni di seguito. Verrà successivamente riadattato nel 1962 in ambito cinematografico da Shirley Clarke, una regista appartenente al New American Cinema Group.

In questa seconda fase il Living non ha una sede fissa. I Beck trovano un magazzino fra la Quattordicesima Strada e la Sesta Avenue solo a giugno 1957, cioè due anni dopo l’abbandono dello Studio, ma passerà un altro anno e mezzo prima che i coniugi ottengano i permessi per ristrutturare il luogo (dietro a un progetto dell’architetto Paul R. Williams) e poi riescano ad allestirlo, tutto da soli. La sua inaugurazione avviene il 13 gennaio 1959 con la messa in scena di Many Loves di William Carlos Williams. Il nome del nuovo locale prende il nome della compagnia, Living Theatre: i Beck vi staranno fino al 1964, cioè fino al loro abbandono degli Stati Uniti.

Teatro della crudeltà (1959-1963) e The Brig

Tipico di Julian Beck e Judith Malina è rinnegare la propria attività precedente ogni volta che si intraprende una nuova fase. Così avviene anche quando il Living abbandona il metateatro: Beck scriverà che spettacoli come Tonight We Improvise e The Connection utilizzavano «un espediente […] fondamentalmente disonesto», «una frode». Se gli spettatori applaudivano «non era perché stavano al gioco, ma perché ci cascavano»[11]. Per i fondatori del Living, l’inganno non è più il mezzo con cui si vuole coinvolgere il pubblico[12].

Il problema centrale del Living è insomma il rapporto tra attore e spettatore[13], un rapporto che i Beck vogliono giocare senza più inganni. «Non si tratta più di fingere la vita ma di esserla, di viverla davvero»[5], e occorre trovare il modo per rispettare questo proposito. In questa ricerca un ruolo fondamentale sarà giocato dall’ideologia anarchica e pacifista di Julian Beck, che in questo periodo arriva al culmine e comincia a influenzare tutto il lavoro del Living.

La soluzione viene trovata dopo che Beck e Malina scoprono l’opera e il pensiero di Antonin Artaud, attore, scrittore e teorico del teatro, vissuto in Francia nel periodo surrealista, ma che i coniugi scoprono nel 1958 grazie alla traduttrice americana de Il teatro e il suo doppio, che dà loro una copia del testo prima della sua uscita ufficiale per i tipi della Grove PressIl teatro e il suo doppio è l’opera più acuta di Artaud, che qui teorizza il suo teatro della crudeltà: perché il teatro sia efficace, dice Artaud, occorre che aggredisca lo spettatore facendogli provare emozioni forti attraverso scene violente. Per i Beck è una rivelazione: «Lo spettro di Artaud divenne il nostro mentore»[14].

«Secondo i Beck, Artaud coglie qui la funzione fondamentale della scena (additando così, nello stesso tempo, la soluzione del problema spettatore): distruggere la violenza mediante la sua rappresentazione, ovvero, detto altrimenti, esorcizzare la violenza reale per mezzo della violenza teatrale[15]»

Il primo spettacolo in cui il Living mette pienamente in atto gli insegnamenti di Artaud è The Brig, del 1963. Quelli precedenti (tra cui predominano testi di Bertold Brecht, come In the Jungle of the Cities del 1960 e Man is Man del 1962) costituiscono una fase transitoria durante la quale Beck e Malina riflettono sulla nuova direzione della loro ricerca teatrale.

The Brig è un manoscritto di circa 40 pagine spedito per posta ai Beck da un giovane sconosciuto di nome Kenneth H. Brown. Nel 1957 Brown aveva vissuto come marine nella base navale giapponese di Okinawa, e aveva poi deciso di raccontare la giornata tipo di un prigioniero militare nella sua nave: «una realtà quotidiana fatta di violenze e vessazioni di ogni tipo, ma soprattutto di divieti assurdi e di assurde prescrizioni, miranti fondamentalmente alla totale spersonalizzazione dell’individuo»[16]. Ne deriva un racconto crudo, senza forzature da fiction, che prende il nome di The Brig (dall’espressione gergale usata per indicare il ponte, dove c’erano le prigioni nei vascelli inglesi).Il Living Theatre presenta The Brig al Myfest di Berlino, 1º maggio 2008

I leader del Living vedono in questo testo l’opera ideale per il teatro della crudeltà. Judith Malina capisce che non bisogna rappresentare The Brig, bensì viverlo in prima persona e senza finzioni. Per questo chiede ai membri della compagnia di sottoporsi a vere vessazioni. Gli attori accettano all’unanimità, e Malina diventa colei che maltratta i prigionieri frustandoli, opprimendoli e imponendo loro delle rigide regole e delle dure punizioni. Questo non solo durante lo spettacolo, bensì anche nelle prove. I membri della compagnia diventano così dei veri prigionieri, e il pubblico è empaticamente vicino alla loro sofferenza. L’effetto desiderato dal Living è pienamente raggiunto, tanto che Beck si chiede: «Com’è possibile assistere a The Brig e non voler abbattere le mura di tutte le prigioni?»[17].

Se il pubblico viene colpito nel segno da The Brig, il sistema di potere americano si rende conto della pericolosità del messaggio del Living, che sta assumendo sempre più consenso e popolarità. Per questo vengono messi in atto dei tentativi per sbarazzarsi dei Beck: ci si riesce nel 1963 con la complicità del fisco. A ottobre (quando The Brig è in cartellone da nove mesi) i coniugi Beck ricevono la richiesta di saldare un debito verso lo Stato di 28.435,10 dollari fra tasse, assicurazioni e ammende. La prima reazione è di protesta: i membri del Living mettono in atto dei sit-in con rappresentazioni non autorizzate di The Brig, ma il loro teatro viene circondato dalla polizia che arresta tutti i membri e li tiene in carcere per alcune settimane. Tale atto di opposizione porta all’elaborazione di undici capi di accusa, da cui i coniugi Beck non riescono a difendersi nonostante le numerose manifestazioni di solidarietà giunte da diversi intellettuali della controcultura americana. Tra questi c’è anche il poeta Allen Ginsberg, che il 30 gennaio 1964 scrive al procuratore distrettuale di New York Robert Morgenthau chiedendogli se avesse qualcosa da imputare legittimamente al Living Theatre o se invece non voleva solo mettere a tacere attività politiche radicali[18]. Tuttavia il processo inizia nel maggio dello stesso anno, e già a giugno Beck e Malina sono dichiarati colpevoli e condannati alla galera.

Una volta usciti, i Beck decidono di abbandonare gli Stati Uniti per intraprendere un lungo viaggio in Europa: è l’inizio della seconda fase del Living Theatre[19].

1964-1970: il nomadismo in Europa

Con il trasferimento in Europa, il Living Theatre si afferma come una delle rappresentazioni canoniche del Sessantotto[20]: l’ideologia anarcopacifista si fa più accentuata, così come il lavoro collettivo e senza gerarchie. La compagnia da stabile è diventata nomade: i suoi membri girano tutto il vecchio continente e costituiscono una «comunità di vita e di lavoro»[21]. Ma non mancano le contraddizioni: da una parte, il carisma di Julian Beck e Judith Malina rende i due coniugi le vere guide del Living, anche se gli stessi rifiutano qualsiasi forma di autorità[22]. Dall’altra, il movimento politico del Sessantotto chiede agli artisti di mettere da parte la loro attività per agire concretamente nella lotta politica. Sarà proprio questa necessità, sentita da alcuni membri e rifiutata da altri, che porterà allo scioglimento della compagnia nel 1970.

In Europa il Living Theatre rappresenta i suoi spettacoli più riusciti e acclamati, rompendo definitivamente i canoni classici del teatro e avviando un processo che De Marinis definisce di deteatralizzazione teatrale, il quale culminerà con l’uscita dal teatro stesso:

«Ritengo che […] il periodo europeo […] possa e debba essere letto non già, o non principalmente, come un periodo di arricchimenti e di (talvolta) rivoluzionarie innovazioni della forma-teatro (certo, fu anche questo, ma secondariamente, quasi contro le sue più riposte intenzioni), quanto piuttosto come un periodo in cui il Living […] avvia la sua fuoriuscita dall'”involucro teatrale”, cominciando a disfarsi del teatro e a smantellarne i capisaldi: la buona recitazione, la finzione ben costruita, la regia d’autore ecc. Si trattò, ovviamente, di un processo né facile né lineare, disseminato di ostacoli, di resistenze esterne […] e di contraddizioni interne[23]»

Tale processo è palese, se si analizzano i principali spettacoli messi in scena dal Living in Europa.

Mysteries and Smaller Pieces

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Mysteries and Smaller Pieces.

Per il Living si tratta del primo lavoro europeo, della prima creazione collettiva, del primo tentativo di coinvolgimento dello spettatore e del primo esempio di free theatre, nonché del suo spettacolo di maggior successo[24]. Nel corso della propria permanenza in Europa, la compagnia mette in atto tre versioni diverse di Mysteries, abbreviandolo sempre di più (dalle venti scene della prima versione si arriva alle nove scene della terza; ogni scena dura dai cinque ai quindici minuti eccetto l’ultima, molto più lunga) e dandogli un’impostazione via via più pessimista. La prima versione viene rappresentata il 26 ottobre 1964 a Parigi.

Il percorso di Mysteries è di ascesa dall’inferno al paradiso, dalla cupidigia all’armonia. Nell’ultima versione, le prime scene rappresentano in modo «violentemente grottesco e dolorosamente deformato il mondo “così com’è”, dominato dalla cupidigia del potere e del denaro»[25]. La prima scena richiama The Brig, denunciando la militarizzazione della società. La seconda scena consiste nella Poesia del Dollaro: tutti gli attori leggono, a turno, tutte le scritte stampate su una banconota da un dollaro, comprese le firme, allo scopo di denigrare il valore del denaro. Di seguito iniziano le scene purgatoriali, che costituiscono una sorta di iniziazione al paradiso: una donna al buio che canta un raga indiano, gli attori che accendono incensi vicino agli spettatori per «stabilire un rapporto amoroso con gli spettatori»[26], la pronuncia di alcuni slogan politici e l’invito al pubblico a rispondere. Si arriva così alla scena centrale detta Accordo o Coro: si tratta di una scena paradisiaca («una delle pochissime rinvenibili negli angosciosi spettacoli del Living prima di Paradise Now»[27]) che celebra l’armonia della comunità. Gli attori sono in piedi, si avvicinano tra loro e abbracciandosi formando uno stretto cerchio; dopo di che «ognuno del circolo ascolta il suono prodotto da ciascuna delle persone che ha accanto. Ognuno risponde a questi due suoni. Dal ronzio e dall’ascolto si produce un suono a piena gola. Cresce. S’innalza. Il suono sale e trasporta tutti con sé. Unione della comunità»[28]. Lo scopo è rappresentare «come dovrebbero essere le cose»[12], cioè come il mondo dovrebbe essere: armonioso e pacifico. Ma il finale, chiamato Peste, è pessimista: si ritorna all’inferno con i corpi degli stessi attori che diventano una montagna di cadaveri.

Frankenstein

Il 26 febbraio 1965 a Berlino il Living mette in scena Les bonnes di Jean Genet, ma non ottiene l’apprezzamento di critica e pubblico. Il 26 settembre dello stesso anno al Festival del Teatro di Venezia debutta invece Frankenstein, che «rappresenta forse lo spettacolo più compiuto e riuscito sul piano strettamente teatrale»[29]. Il messaggio politico dell’opera è ben preciso:

«Frankenstein dà voce all’anima reichianomarcusiana del Living, oltre che al suo pessimistico esoterismo d’estrazione ebraicocristiana, ricordandoci che “la malvagia follia” che tiene il mondo nelle insopportabili condizioni attuali non sta solo fuori di noi, nella “cattiveria” dei potenti e delle istituzioni, ma risiede, invece, anche e soprattutto dentro di noi, in ognuno di noi. E dunque, soltanto se riconosceremo questa verità, soltanto se ci sforzeremo di tirare fuori di noi il nostro mostro interiore e di sconfiggerlo, mediante un atto di rivoluzionamento individuale (sessuale, psicologico, spirituale), potremo sperare poi di abbattere il mostro che ci opprime all’esterno, sotto forma di potere statale, militare, economico, ecc.[30]»

Analogamente a Mysteries, anche Frankenstein conosce diverse versioni e tende ad abbreviarsi nella lunghezza e a diventare più pessimista nel finale. In questo caso, se la prima versione aveva un esito di speranza per la rivoluzionaria trasformazione dell’odio in amore, l’ultima (risalente all’ottobre del 1967) diventa violenta e cupa[5].

Nella trasposizione teatrale del Living, il personaggio del romanzo viene assunto come archetipo del cambiamento e della trasformazione. All’inizio dello spettacolo, la scena del volo che fallisce è simbolo della caduta dell’uomo nella sua ricerca dell’impossibile. Questa morte dell’uomo innesca una lunga catena di altre morti e di altre violenze, secondo un andamento circolare che richiama l’eterno ritorno. Tutto ciò ha un significato pessimista, poiché si indica «l’impossibilità, per il genere umano, di creare un Nuovo che non sia solamente la riproduzione del Vecchio»[31].

Lo spettacolo si distingue per un finale aperto che lascia spazio a diverse interpretazioni, nonché per un notevole utilizzo di simboli e citazioni da un vasto repertorio religioso (ebraismocristianesimobuddismo, mitologia classica) e cinematografico (horrorespressionismo tedesco). Di grande impatto è anche la scenografia, «dominata da un’alta impalcatura a tre piani fatta di tubi metallici e divisa in quindici sezioni. Un opportuno sistema di luci e di altoparlanti permette di illuminare, se necessario, ogni sezione e di far arrivare al pubblico qualunque suono emesso in qualsiasi zona della struttura»[32]. Beck e Malina danno all’impalcatura un significato ambivalente: da un lato rappresenta la «struttura sociale», dall’altro «il complesso dei mezzi che produciamo per combatterla»[33].