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Anticipazioni per “Madama Butterfly” di Puccini del 23 ottobre alle 18.15 su Rai 5: dalla Scala di Milano

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Anticipazioni per “Madama Butterfly” di Puccini del 23 ottobre alle 18.15 su Rai 5: diretto da  Riccardo Chailly per la regia di Alvis Hermanis dalla Scala di Milano – E’ l’opera che ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala di Milano il 7 dicembre 2016, la “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini, che Rai Cultura ripropone giovedì 20 ottobre alle 21.15 su Rai 5.

Diretto da Riccardo Chailly, con la regia di Alvis Hermanis, il capolavoro è proposto nella prima versione che Puccini scrisse nel 1904 proprio per la Scala, grazie al lavoro che il Direttore Musicale del teatro ha compiuto con Gabriele Dotto e i musicologi di Ricordi, impegnati in un’attenta ricostruzione che tiene conto di diversi fattori storici e ambientali.

Protagonisti Maria Josè Siri nel ruolo del titolo, Bryan Hymel in quello di Pinkerton, Carlos Alvarez come Sharpless e Annalisa Stroppa nei panni di Suzuki. 

“Ora mi sono convinto che l’opera deve essere in due atti. Il dramma deve correre alla fine senza interruzioni, serrato, efficace, terribile. Sono certo di inchiodare il mio pubblico e di mandarlo via non scontento. E avremo allo stesso tempo un taglio nuovo di opera, bastante per tenere una serata”.

Con queste parole Giacomo Puccini perorava di fronte a un recalcitrante Giulio Ricordi il taglio innovatore della nascente Madama Butterfly, la “tragedia giapponese” che stava componendo a partire dall’omonima pièce di David Belasco che aveva visto a Londra nel 1900 e che era a sua volta tratta da un racconto dell’americano John Luther Long.

La divisione in soli due atti rispondeva a un’esigenza di concentrazione drammatica che era evidentemente nello spirito del tempo del teatro musicale europeo: basti pensare agli atti unici di Strauss (Salome è del 1906, Elektra del 1909) che condividono con Butterfly la scabrosità dell’argomento e la drammatica morte in scena della protagonista.

Puccini l’ebbe vinta e l’opera andò in scena in due atti al Teatro alla Scala il 17 febbraio 1904 con la direzione di Cleofonte Campanini e Rosina Storchio come Cio-Cio San. 

Madama Butterfly è un’opera in tre atti (in origine due) di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, definita nello spartito e nel libretto “tragedia giapponese” e dedicata alla regina d’Italia Elena di Montenegro.

La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano, il 17 febbraio 1904, della stagione di Carnevale e Quaresima.

Puccini scelse il soggetto della sua sesta opera dopo aver assistito al Duke of York’s Theatre di Londra, nel giugno 1900, alla tragedia in un atto Madame Butterfly di David Belasco, a sua volta tratta da un racconto dell’americano John Luther Long dal titolo Madame Butterfly, apparso nel 1898.[1]

Iniziata nel 1901, la composizione procedette con numerose interruzioni: l’orchestrazione venne avviata nel novembre del 1902 e portata a termine nel settembre dell’anno seguente e soltanto nel dicembre 1903 l’opera poté dirsi completa in ogni sua parte.[2]

Per la realizzazione del dramma, Puccini si documentò senza sosta e minuziosamente sui vari elementi orientali che aveva ritenuto necessario inserirvi. Lo aiutarono particolarmente una nota attrice giapponese, Sada Yacco, e la moglie dell’ambasciatore nipponico con la quale parlò in Italia facendosi descrivere usi e costumi del popolo orientale. I costumi al debutto alla Scala di Milano furono disegnati da Giuseppe Palanti[3].

La sera del 17 febbraio 1904, nonostante l’attesa e la grande fiducia dei suoi artefici in Rosina Storchio, all’apice della sua carriera[4]Giovanni Zenatello e Giuseppe De Luca oltre che nella direzione di Cleofonte Campanini, grande talento che aveva preparato l’opera con molta cura[5], la Madama Butterfly cadde clamorosamente al Teatro alla Scala di Milano.

Il tragico clima di questo storico fiasco è efficacemente descritto da una delle sorelle di Puccini, Ramelde, in una lettera al marito:

«Alle due siamo andati a letto e non posso chiudere occhio; e dire che tutti eravamo tanto sicuri! Giacomo, poverino, non l’abbiamo mai veduto perché non si poteva andare sul palcoscenico. Siamo arrivati in fondo non so come. Il secondo atto non l’ho sentito affatto e, prima che l’opera finisse, siamo scappati dal teatro.»

Considerato che la versione di Milano era poco differente rispetto a quella che sarebbe stata presentata poco dopo a Brescia[6], accolta trionfalmente e poi passata in repertorio, è difficile dar ragione del fiasco milanese. Molti studiosi, tra cui il direttore d’orchestra Pinchas Steinberg, oltre che Giulio Ricordi e Puccini stesso, ritengono che attorno all’autore e all’opera fosse stato costruito ad arte un clima d’ostilità[7][8][9][10], poi sconfitto dal palese valore dell’opera. L’ipotesi del complotto è confermata anche dalle sensazioni di Puccini, che scrivendo all’amico Camillo Bondi riferì d’una ubriacatura d’odio nell’ambito della quale si dovette tenere la prima scaligera:

«con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio. Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio. Ma la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e suggestiva ch’io abbia mai concepito. E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni»

così come dalla cronaca di Giulio Ricordi, stilata poche settimane dopo:

«Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate, i soliti gridi solitari di bis fatti apposta per eccitare ancor di più gli spettatori, ecco, sinteticamente, qual è l’accoglienza che il pubblico della Scala fa al nuovo lavoro del maestro Giacomo Puccini. Dopo questo pandemonio, durante il quale pressoché nulla fu potuto udire, il pubblico lascia il teatro contento come una pasqua![11]»

Il fiasco spinse autore e editore a ritirare immediatamente lo spartito, per sottoporre l’opera ad un’accurata revisione che, attraverso l’eliminazione di alcuni dettagli e la modifica di alcune scene e situazioni, la rese più agile e proporzionata. Puccini inserì anche una nuova aria per Pinkerton, «Addio, fiorito asil». Una delle più importanti modifiche è tuttavia puramente musicale e riguarda la linea vocale dell’aria del suicidio di Butterfly.[12]

Nella nuova veste, Madama Butterfly, interpretata da Solomiya Krushelnytska e Zenatello diretta da Campanini, venne accolta entusiasticamente al Teatro Grande di Brescia appena tre mesi dopo, il 28 maggio, e da quel giorno iniziò la sua seconda, fortunata esistenza.

Al Teatro Regio di Torino, avviene la prima rappresentazione nella terza versione, il 2 gennaio 1906 con la Krushelnytska diretta da Arturo Toscanini. Nello stesso mese, per il San Carlo di Napoli, Puccini volle invece Maria Farneti, che chiamò anche nel 1908 al teatro Costanzi di Roma.

La partitura e gli effetti scenici vengono ulteriormente ritoccati da Puccini fino al 1907, prima per la rappresentazione dell’opera al Royal Opera HouseCovent Garden di Londra il 10 luglio 1905, poi per quella del 1906 al Théâtre National de l’Opéra-Comique di Parigi.

Al Metropolitan Opera House di New York la première è stata l’11 febbraio 1907 con Geraldine FarrarEnrico CarusoLouise Homer ed Antonio Scotti con la supervisione del compositore. Al Metropolitan fino al 2016 ha avuto 868 recite risultando la settima opera maggiormente eseguita.

Nel 1920 Puccini tornò nuovamente sulla partitura, ripristinando nel primo atto un assolo di Yakusidé, lo zio ubriacone della protagonista. È possibile che il cambiamento fosse anche mirato a combattere la prassi di tagliare un breve episodio in concertato, che nella versione del 1907 era rimasto l’unico brano a cui prendeva parte lo zio Yakusidé. Tagliandolo, i teatri evitavano di scritturare un cantante.

L’editore Ricordi non pubblicò mai la nuova versione, col risultato che oggi l’arietta non viene eseguita e, soprattutto, il concertato continua ad essere quasi sempre tagliato.

Trama

Atto I

Siamo all’inizio del XX secolo. Pinkerton (tenore), ufficiale della marina degli Stati Uniti, sbarcato a Nagasaki si unisce in matrimonio con una ragazza quindicenne di nome Cho Cho-san, (giapponeseChōchō-san), termine giapponese che significa Madama (San) Farfalla (蝶 Chō?), in inglese Butterfly (soprano), nome col quale viene chiamata dopo le nozze per sancire la fedeltà al marito. Le nozze sono fortemente volute da entrambi gli sposi: Cho Cho-san, caduta in disgrazia dopo la morte del padre, è stata infatti costretta a diventare una geisha e spera di riabilitarsi mediante il matrimonio; Pinkerton, dal canto suo, la sposa per puro spirito di avventura, consapevole di avere secondo le usanze locali il diritto di abbandonare la moglie anche dopo un solo mese. Durante la cerimonia irrompe uno zio bonzo di Cho Cho-san, che disereda la ragazza poiché, per sposare Pinkerton, ella ha rinunciato al suo legittimo nome e alla sua religione per abbracciare il cristianesimo. Abbandonata per sempre la sua famiglia, Cho Cho-san si lega ardentemente al marito appena sposato.

Atto II

Sono passati tre anni da quando Pinkerton è ritornato in patria abbandonando la giovanissima sposa, che vive nella casa lasciatale dal marito assieme alla fedele serva Suzuki. La dimora sta andando in malora e la somma di denaro lasciata da Pinkerton sta per esaurirsi; Suzuki ha ormai realizzato che l’uomo non tornerà, ma Cho Cho-san, forte di un amore ardente e tenace, pur struggendosi nella lunga attesa continua a ripetere a tutti la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell’amato. Un giorno riceve la visita del console Sharpless (baritono), venuto a sincerarsi delle condizioni della donna; vedendo quanto lei si illuda, le suggerisce di accettare la corte del principe Yamadori, che vorrebbe sposarla ma che lei rifiuta ostinatamente poiché si considera ancora legata a Pinkerton. Cho Cho-san reagisce mostrandogli il figlio che lei ha avuto da Pinkerton prima che partisse, e che ha nascosto a tutti, compreso il marito: se questi non tornerà, poiché è stata allontanata dalla famiglia di provenienza, a lei non resterà che ridiventare geisha per mantenere il figlio, sorte a cui ella preferisce la morte. Successivamente Cho Cho-san scruta l’orizzonte e vede apparire la nave su cui era imbarcato il suo amato: convinta che sia tornato per lei, la donna esulta e insieme a Suzuki addobba la casa per accoglierlo degnamente; le due donne e il bambino restano in attesa per tutta la notte, ma nessuno si presenta.

Atto III

Cho Cho-san, dopo la notte insonne passata ad aspettare Pinkerton, è ormai disillusa e si rassegna al suo fato. Mentre riposa, il suo amato si presenta presso la loro casa, accompagnato da Sharpless e dalla giovane Kate, da lui sposata regolarmente negli Stati Uniti. L’uomo rivela a Suzuki che è venuto a prendersi il bambino per portarlo con sé in patria ed educarlo secondo gli usi occidentali. Soltanto di fronte all’evidenza dei fatti Butterfly comprende: la sua grande illusione, la felicità sognata accanto all’uomo amato, è svanita del tutto. Decide quindi di scomparire dalla scena del mondo, in silenzio, senza clamore; dopo aver affidato il figlio alle cure di Pinkerton e Kate, lo benda e sistema dietro un paravento; nella struggente e drammatica scena finale, Cho Cho-san si colpisce al collo (secondo l’usanza giapponese denominata jigai) con un coltello tantō pervenutole in eredità dal padre e con il quale lo stesso aveva commesso seppuku. Pinkerton si reca nella stanza di Butterfly per chiederle scusa, ma è troppo tardi e la trova ormai morta, mentre il bambino, bendato, gioca con una bambola e una bandierina americana, ignaro di tutto.

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