martedì, Aprile 23, 2024
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Quando lo scrittore russo Gogol’ descrisse i selfie del suo tempo

Gogol

Quando lo scrittore russo Gogol’ descrisse i selfie del suo tempo

Narcisismo, protagonismo, culto della propria personalità, ricerca di popolarità. Probabilmente sono concetti che al giorno d’oggi, di primo acchito, accostiamo ai social con le sue variabili riconducibili quasi tutte ormai all’usatissimo verbo condividere. Milioni di scatti fotografici di se stessi o relativi la sfera personale -spesso inutili e insignificanti nella vita reale- vengono riversati sul Web nelle sue diramazioni come facebook, instagram e via dicendo.

Il tutto perche dall’altra parte si è consapevoli che esiste un pubblico pronto a reagire (forse) al nostro messaggio video o scritto.

Eppure si può tranquillamente affermare che quei comportamenti, oggi amplificati a dismisura da Internet, non sono nuovi nella storia dell’umanità.

Nel racconto Il ritratto del 1834, lo scrittore russo Nikolaj Gogol’ descrisse splendidamente l’uomo e il suo ego. Di fronte alla possibilità di essere immortalati in un ritratto per poi essere ammirati da altri, il narratore descrive i desideri e le richieste grottesche dei committenti degli autoritratti che il giovane pittore Cartkov doveva soddisfare. Il brano che segue è indicativo:

“Bisogna aggiungere, inoltre, che quelli che posavano avevano grandi pretesi di trasformazione. Le dame pretendevano che nel ritratto fosse messa in evidenza soprattutto l’anima e il carattere, che il resto non fosse tenuto in considerazione, che gli angoli fossero arrotondati, i difetti sminuiti o, se possibile, ovviati del tutto- che, in una parola, si potesse ammirare il loro viso, se non proprio innamorarsene.

Di conseguenza mettendosi in posa, assumevano a momenti espressioni tali che facevano trasecolare il pittore: una si sforzava di esprimere nel volto la propria malinconia, un’altra la sognatività, una terza voleva a ogni costi rimpicciolirsi la bocca e la stringeva tanto da ridurla alla fine, a un punto, non più grosso di una capocchia di spillo. Tuttavia, pretendevano da lui la somiglianza, e una disinvolta naturalezza. Gli uomini non erano per nulla migliori delle donne: uno voleva essere ritratto in un atteggiamento energico della testa; un altro con gli occhi rivolti al cielo; un tenente della guardia pretendeva assolutamente che nei suoi occhi si vedesse Marte; un funzionario di stato raccomandava che nel suo viso ci fosse quanto più possibile di dirittura e nobiltà, e che la sua mano poggiasse su di un libro, sul quale, a grandi lettere fosse scritto: “Sempre fui la giustizia”. In principio queste pretese fecero disperare il pittore: bisognava considerare, riflettere, inventare, e per la consegna gli era dato poco tempo. Ma infine capì di chi si trattava, e non si affannò per nulla. In due tre parole capiva come volevano essere ritratti. Uno voleva Marte, e lui ci ficcava Marte nel viso; un altro mirava a Byron, e lui gli dava una posa e un atteggiamento byroniani. Che le dame desiderassero Corinne, Ondine, Aspasie; con grande compiacenza gli accordava tutto, e di suo aggiungeva ad ognuno quel tanto che basta di avvenenza, la quale, com’è noto, non guasta mai, e fa perdonare al pittore la poca somiglianza”

Se invece di ritratto sostituiamo selfie o foto ritoccata l’essenza non cambia.

Da sempre, egocentrismo, vanità, ostentazione di se stessi, accompagnano uomini e donne. Una tendenza atavica che ha attraversato i secoli. Secondo alcuni i primi a peccare di egolatria furono Adamo ed Eva che cercarono di raggiungere posizioni superiori a quelle assegnate loro divinamente. Poi una fiera della vanità riscontrabile in tutte le ere della storia e in diversi strati sociali. Oggi questa tendenza sembra aver raggiunto il picco grazie anche ai mezzi tecnologici e digitali. Non mancano le preoccupazioni per questo modus operandi. Condividere ininterrottamente i propri autoscatti sui social network sarebbe per alcuni sintomo di una forte tendenza narcisistica tanto da essere stata coniata la definizione di “The selfie syndrome”.

I risultati provocati dalle piattaforme più famose ed utilizzate si dividono infatti tra chi mostra di avere una personalità spiccatamente narcisistica e chi al contrario tende ad essere insicuro e fragile. Secondo una ricerca condotta dalla California State University un uso eccessivo dei social può provocare problemi di tipo ossessivo – compulsivo o disturbi narcisistici della propria personalità, depressione, iperattività, ipocondria ma soprattutto dipendenza.

Inoltre, va rammentato un altro fattore per niente secondario. In un mondo in continuo movimento in quanto a tendenze, mode, invenzioni, usi, manie, aspirazioni e valori, tutto tende a passare rapidamente e a finire nell’oblio. Secondo un sondaggio fatto qualche anno fa, nove italiani su dieci dimenticano subito i nomi del vincitore del Giro d’Italia, del Festival di Sanremo, del Premio Strega e simili. Figuriamoci una foto di un comune mortale. “Tutto è vanità” si legge nell’Ecclesiaste. E se per qualche momento si brilla o si raggiunge l’agognato quarto d’ora di popolarità, va realisticamente ricordato che si torna molto facilmente nell’anonimato. In fondo come veniva ricordato ai papi neoeletti … sic transit gloria mundi

Roberto Guidotti

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Foto tratta da Wikipedia

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