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Giornata della Memoria: i Testimoni di Geova

Anche quest’anno nelle scuole italiane si ricorderà il Giorno della Memoria. La legge 211 del 20 luglio 2000 ha designato il 27 gennaio per ricordare le vittime dell’Olocausto. Si è scelto il giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz per commemorare, in primis, lo sterminio nazista del popolo ebraico, ma anche quello delle altre categorie di persone che furono perseguitate dal regime di Hitler. Inoltre, la normativa italiana prevede di ricordare coloro che a rischio della propria vita si opposero al progetto di distruzione di massa e cercarono di proteggere i perseguitati. Spesso gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado ricordano Anna Frank e altri giovani scolari ebrei loro coetanei che durante il nazismo sperimentarono la persecuzione razziale voluta dal Fuhrer. Pochi studenti però sanno che il regime nazista rivolse la sua attenzione, prima che sugli ebrei, su un gruppo di pacifiche persone e sui loro figli che frequentavano le scuole tedesche. Si tratta dei Testimoni di Geova.

Fin dal 1933, anno di ascesa al potere di Adolf Hitler, vennero emanate in Germania leggi specifiche per proscrivere le loro attività. Il regime non tollerava la stretta neutralità rispetto alle questioni politiche e alle guerre che da sempre caratterizza i Testimoni i quali, ispirandosi ai dettami evangelici, rifiutano di imbracciare le armi contro altri esseri umani. Per tale motivo essi furono fra i primi sperimentare la reclusione nei campi di concentramento. In quelli che in seguito divennero campi di sterminio, erano identificati da un apposito triangolo di stoffa color viola da portare cucito sulla divisa a righe.

La persecuzione riguardò anche i loro figli. Nei primi tempi gli alunni Testimoni furono relegati, insieme ai bambini ebrei, negli ultimi banchi delle aule scolastiche e dileggiati alla presenza dei loro compagni. Spesso, inoltre, come dimostrano le loro pagelle, venivano inesorabilmente bocciati in quanto, pur ricevendo ottimi voti in tutte le materie, non partecipavano alle attività paramilitari obbligatorie per tutti i ragazzi tedeschi, non salutavano dicendo ‘Heil Hitler’, né prendevano parte alla ‘preghiera per il Fuhrer’ che tutti gli alunni erano tenuti a recitare all’inizio delle lezioni scolastiche.

Rudolf Graichen

Descrivendo gli anni trascorsi a scuola Rudolf Graichen, figlio di Testimoni di Geova, narra cosa accadde un giorno di scuola quando l’insegnante annunciò alla classe che l’indomani sarebbero andati a fare una gita. “Poi (il maestro) aggiunse: “Dovete indossare tutti la divisa della Gioventù Hitleriana così quando marceremo per le strade tutti potranno vedere che siete bravi ragazzi di Hitler”. L’indomani mattina tutti i ragazzi si presentarono in divisa tranne me. L’insegnante mi chiamò davanti alla classe e mi disse: “Vòltati a guardare gli altri ragazzi e poi guarda te stesso”. E aggiunse: “Lo so che i tuoi genitori sono poveri e non possono permettersi di comprarti la divisa, ma lascia che ti mostri qualcosa”. Mi portò alla cattedra, aprì un cassetto e disse: “Voglio regalarti questa divisa nuova di zecca. Non è bella?” Avrei preferito morire piuttosto che indossare una divisa nazista. Quando l’insegnante vide che non avevo intenzione di indossarla, si arrabbiò e tutta la classe mi fischiò. Poi ci portò in gita, ma cercò di nascondermi facendomi camminare in mezzo a tutti gli altri ragazzi in divisa. Comunque molti in città mi videro perché spiccavo in mezzo ai miei compagni. Tutti sapevano che i miei genitori ed io eravamo testimoni di Geova.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e approfittando dell’isterismo bellico il regime nazista prese misure ancora più severe. Molti alunni vennero espulsi dalle scuole pubbliche. Senza alcun preavviso agenti della Gestapo piombarono nelle case dei Testimoni di Geova e portarono via i loro figli minorenni per affidarli a “case di rieducazione” onde fossero indottrinati nell’ideologia hitleriana. I casi documentati di questi disumani provvedimenti sono centinaia.

Simone Arnold

Emblematica è la storia di Simone Arnold, figlia undicenne di due Testimoni che vennero entrambi rinchiusi nei campi di concentramento. La fanciulla venne prelevata a forza da casa, subì diversi interrogatori, un processo farsa e venne rinchiusa sino alla fine del conflitto nel riformatorio di Costanza. Descrivendo le condizioni di vita in quell’ambiente ha scritto: “Ogni mattina dovevamo alzarci alle 5,30 per pulire la casa prima della colazione, che consisteva in una ciotola di brodo alle 8. Le lezioni scolastiche per i 37 bambini, che avevano dai 6 ai 14 anni, si tenevano nell’istituto. Nel pomeriggio facevamo lavori di lavanderia, cucito e giardinaggio, visto che non c’era nessun uomo per fare i lavori pesanti. Nell’inverno tra il 1944 e il 1945 io e un’altra ragazzina dovemmo segare, con una sega da taglialegna, alberi il cui diametro raggiungeva i 60 centimetri. Ai bambini non era permesso parlarsi né stare da soli, neanche per andare al gabinetto. Facevamo il bagno due volte l’anno, e ci lavavamo i capelli una volta l’anno. Le punizioni consistevano nel rimanere senza mangiare o nell’essere picchiati. La domenica le bambine protestanti andavano alla loro chiesa, e le tre bambine cattoliche alla loro, mentre io dovevo cucinare per tutti e 37 i bambini. Ero così piccola che per rimestare la minestra dovevo stare in piedi su una panca e tenere il mestolo con due mani. Per le quattro maestre dovevo cucinare la carne, preparare torte e pulire la verdura. La domenica pomeriggio dovevamo ricamare tovaglioli. Non c’era tempo per giocare”.

Con il crollo del nazismo molti giovani Testimoni fecero ritorno alle loro case solo per scoprire che uno o entrambi i genitori, così come eventuali loro fratelli e sorelle più grandi, erano morti di stenti nei lager o erano stati giustiziati a motivo della loro fede. Altri poterono riabbracciare i loro cari anche se dovettero portare con sé le pene e le sofferenze causate dalla traumatica separazione.

Oggi questi drammatici eventi ricordati dal Giorno della Memoria sembrano tanto lontani ma fino a qualche anno fa, come ha sperimentato chi scrive, era molto comune per gli alunni Testimoni di Geova italiani essere discriminati a causa della propria fede religiosa così come avveniva nel Terzo Reich. Nella scuola italiana degli anni 70 e 80 capitava che insegnanti poco sensibili cacciassero fuori dalle aule o spostassero in altre classi questi alunni quando c’era l’ora di religione. Oppure li prendevano in giro a motivo del proprio credo di fronte ai compagni di classe. Oggi per i nostri figli le cose sono cambiate. Per chi non si avvale dell’insegnamento della religione cattolica sono previste varie alternative. Inoltre, docenti sensibili e perspicaci fanno del loro meglio per non mettere a disagio questi alunni e rispettano le loro convinzioni religiose. Forse, la celebrazione del 27 gennaio ha contribuito a questo clima di tolleranza e di rispetto.

L’Autore dell’Articolo  è Matteo Pierro, ricercatore

 L’autore è impegnato da anni nella ricerca di informazioni e documenti sulla vicenda dei Testimoni di Geova durante il fascismo e il nazismo. Ha raccolto migliaia di pagine di documenti d’epoca oltre a numerose testimonianze di ex deportati nei lager. Collabora per alcune riviste storiche ed è stato il primo autore italiano a dedicare un libro alla vicenda della persecuzione nazifascista dei Testimoni.

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