martedì, Maggio 14, 2024
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Martiri Foibe, la memoria da preservare

Foibe, la memoria dei Martiri da preservare:

https://youtu.be/xTZlASBg9Xs?si=MUjhNKHy0qqhooM7

CHIETI – Ho trovato l’ispirazione per questo scritto nella mia città natale, Chieti, dove nella parte bassa della città, c’è Largo dei Martiri delle Foibe, una piazzetta annessa ad un’area verde, con una una targa dedicata alla martire Norma Cossetto e a tutti i martiri di questa immane tragedia tutta italiana che ha colpito i fratelli d’Italia delle terre dalmate, istriane e giuliane che sono stati uccisi e gettati nelle cavità carsiche dette Foibe, o costretti a lasciare la propria casa, la propria terra, i loro beni e i loro affetti con la sola colpa di voler continuare ad essere italiani, nonostante l’annessione, con Trattato di Parigi del 1947, di gran parte delle terre al confine orientale, alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, lo Stato comunista istituito dal Maresciallo Josip Broz, passato alla storia come “Tito”, di origini croato – slovene.

Ho voluto ricordare la ricorrenza del 10 febbraio dei Martiri delle Foibe, perché come questi uomini, donne e bambini hanno abbandonato la loro terra natia, portando sempre nel cuore la patria italiana, noi abbiamo il dovere di ricordarli e onorarli, nonostante le forze politiche e i movimenti di opinione anti italiani che vorrebbero cancellare la memoria storico – identitaria di questa immane tragedia italiana dei Martiri delle Foibe, la cui commemorazione va in controtendenza con le tendenze mondialiste della globalizzazione, perché rafforza il senso di appartenenza nazionale.

Prima di tutto, vorrei ricordare, come già fatto al convegno a Trieste sul Vate Gabriele d’Annunzio del 30 gennaio 2024 che le terre giuliane, istriane e dalmate sono storicamente italiane, già appartenenti alla divisione amministrativa della penisola italiana di Età Augustea, nel Medioevo la loro latinità prima e italianità dopo sia linguistica che culturale, é stata tutelata e promossa dalla Repubblica di Venezia; solo ad inizio Ottocento, a partire dell’annessione di questi territori alla corona asburgica d’Austria ( con la pace dopo la tempesta rivoluzionaria giacobina e napoleonica che ha scosso il Vecchio Continente, favorendo la nascita delle forze centrifughe nazionaliste sia slava, sia italiana che minavano l’unità dell’impero sovranazionale asburgico che affondava la sua identità nel Sacro Romano Impero, e in particolare dopo i moti rivoluzionari nazionalistici del 1848 che hanno toccato gli imperi tradizionali, e ancora di piu dopo l’unificazione dell’Italia e l’annessione nel 1866 della Venezia Eugubina all’Italia, cioè il Veneto) sono iniziati dei provvedimenti da parte delle autorità imperiali di Vienna tesi a sfavorire, e dove possibile rendere minoranza dove erano in maggioranza, la comunità italiana che viveva nelle terre della provincia adriatica (Venezia – Giulia, Istria e Dalmazia) e nella Venezia Tridentina (Trentino), favorendo sull’aria adriatico – balcanica l’elemento sloveno e croato che abitava dal IX – X secolo dell’era comune le aree più interne, all’epoca meno ricco, meno istruito, ritenuto più fedele rispetto a quello italiano, mettendo finanche come lingua ufficiale il Croato nell’area istriano – dalmata.

Da questo momento é iniziato quel processo che ha ridotto nel corso di circa un secolo (dalla metà dell’ Ottocento, fino alla metà del Novecento) la comunità italiana dall’essere maggioranza in gran parte dei centri della zona, a solo poco più del 5% della popolazione residente. Complici i provvedimenti anti italiani asburgici, la “Vittoria Mutilata” della Prima Guerra Mondiale che non permise a tutta la comunità italiana, soprattutto dalmata, di unirsi alla madrepatria, le pulizie etniche nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale e nel secondo dopoguerra, la rinuncia al Territorio B del Territorio Libero di Trieste.

Anche se con lo sfaldamento della Jugoslavia e l’entrata nell’UE della Slovenia e della Croazia, sono migliorate sensibilmente le tutele dei diritti della minoranza italiana che però ormai é ridotta ai minimi termini.

Ma, analizziamo in breve la situazione della comunità italiana nelle maggiori città giuliane, dalmate e istriane:

ARBE: La città di Arbe sull’omonima isola all’inizio Ottocento era esclusivamente di lingua italiana e rimase tale fino agli inizi del XX secolo. Nel 1921, le speranze di vedere l’isola ricongiunta con la madrepatria vennero disattese e la violenta campagna anti italiana costrinse gli Italiani ad abbandonare l’isola che nel 1927 contava ormai solo un centinaio di italiani. Tutto ciò nonostante che la popolazione locale votò all’unanimità per l’unione con l’Italia.

CATTARO: fu città prima di lingua latina e poi italiana per duemila anni, da quando fu fondata dai coloni romani come Acruvium nel II secolo a.C. Ma, nel XIX secolo, i provvedimenti asbrugici ridussero in minoranza la popolazione italiana.

CHERSO: Rispetto al 1940, la popolazione della città capoluogo dell’omonima isola del Quarnero, é oggi ridotta a solo 1/3, di cui solo il 6% é di origine italiana, benché fino alla Seconda Guerra Mondiale gli Italiani erano ancora in maggioranza.

LESINA: L’Isola di Lesina che ha dato i natali ad alcuni importanti intellettuali del Rinascimento italiano, non ha potuto mai vedere realizzato il sogno di unirsi alla madrepatria italiana e la comunità di origine italiana rimase maggioritaria solo fino alla fine del XIX secolo, colpita dalle purghe austroungariche.

RAGUSA: La Repubblica di Ragusa fu dal IX al XIX secolo una città – stato indipendente dei dalmati italiani, con, inizialmente, il latino come prima lingua e, successivamente, l’Italiano come lingua ufficiale o, comunque sia un dialetto di origine italiana; i nobili, i ricchi commercianti e i letterati di Ragusa, parlavano in Italiano.

SEBENICO: fu città italiana fino All’Ottocento, quando la comunità italiana, a seguito dei provvedimenti asbrugici anti italiani, si ridusse al 20%.

SPALATO: rimase città prevalentemente italiana fino alla metà del XIX secolo, quando fu favorita l’emigrazione slava dalle autorità asburgiche, tuttavia gli Italiani rimasero sempre la maggioranza in città fino alla Seconda Guerra Mondiale, in particolare nel centro storico.

VEGLIA: La città di Veglia e l’omonima isola fino alla Prima Guerra Mondiale erano popolate da una forte popolazione di lingua italiana e romanza. Qui si parlava, fino alla fine del XIX secolo, il “Vegliotto”, antica lingua dalmata settentrionale di origine latina e facente parte dei dialetti italici, il cui ultimo esponente fu Tuone Udaina. Benché il Patto di Londra attribuisse questa terra all’Italia in caso di vittoria, e la popolazione ha votato quasi all’unanimità per l’annessione alla madrepatria, la volontà dei Vegliotti fu disattesa.

ZARA: La “Perla dell’Adriatico”, in Dalmazia era, in epoca asburgica, una città italiana e rimase tale fino al XX, mantenendo una maggioranza italiana fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Come abbiamo visto, dunque, nel corso di cento anni si è visto un lento sbriciolarsi dell’ eredità culturale italiana nelle zone soprattutto istriane e dalmate a causa delle purghe dei governi austriaci prima e jugoslavi poi. In particolare, il governo asburgico preferiva gli Sloveni e i Croati agli Italiani e l’elemento sloveno e croato (comunista e filo nazista o monarchico), favorito sia dalla Germania nazista che voleva ricreare la provincia asburgica dell’Adriatic Kust Land nel Reich, sia dagli Alleati (soprattutto inglesi) che volevano punire l’Italia dopo la resa dell’8 Settembre 1943, hanno portato avanti nei territori occupati fino al Novembre 1954 (allorché Trieste e la Zona A del suo Territorio Libero tornarono all’Italia), una vera e propria pulizia etnica, di cui non si conoscono i numeri esatti delle vittime occultate nelle profondità carsiche delle Foibe, dove furono occultati (lanciati ancora vivi a gruppi nelle profondità carsiche o marine a Zara, appesi ad una pietra pesante) tutti coloro che per vari motivi potevano essere nemici del nuovo governo jugoslavo comunista titino, come ad esempio:imprenditori, commercianti, proprietari terrieri e di immobili, religiosi, soldati e carabinieri, funzionari comunali e delle prefetture italiane, o semplici cittadini di origini italiane o slave, ree di aver collaborato con le autorità italiane. Per chi si voleva salvare da questa carneficina, l’unica speranza era la fuga verso la madrepatria italiana, lasciando la propria casa, i propri beni e la propria terra natale, portando nel cuore il tricolore d’Italia (si calcola approssimativamente che tale sorte sia toccata a circa 350 mila persone).

Di seguito l’ elenco pressoché completo conosciuto attualmente delle Foibe dove riposano i martiri (fonte dei dati e sulle info):

Foiba di Basovizza e Monrupino (Trieste): con centinaia di infoibati, oggi monumenti nazionali ai martiri.
Foiba di Scadaicina sulla strada di Fiume.
Foiba di Podubbo: Non è stato possibile, per difficoltà materiale né il recupero dei corpi ritrovati, né la stima esatta dei cadaveri in essa contenuti.
Foiba di Drenchia : vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo.
Abisso di Semich: profondo circa 190 metri, dove sono stati infoibati ancora vivi, un numero incalcolabile di sventurati, tra i quali soldati italiani e civili, sia uomini che donne. Impossibile sapere il numero degli infoibati a guerra finita, soprattutto nei primi mesi successivi. Testimonianze parlano di urla strazianti udite disperate per vari giorni provenienti dalle cavità.
Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale: qui vennero infoibate circa duecento persone, tra cui martiri una donna con un bambino colpevoli di essere moglie e figlio di un carabiniere.
Foibe di Sesana e Orle: Nel 1946 sono stati recuperati alcuni corpi infoibati.
Foiba di Casserova sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo: l’imboccatura della Foiba é stata fatta saltare, ma, secondo le testimonianze raccolte, sarebbero stati sepolti soldati tedeschi, uomini e donne italiani e sloveni.
Abisso di Semez: Il 7 maggio 1944 individuati resti umani di un centinaio di persone. Ma i cadaveri sono di più, perché nel 1945 fu ancora usato.
Foiba nel bosco Gropada: Recuperate cinque salme. Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nella cavità carsica nel bosco di Gropada trentaquattro persone, svestite e uccise con un colpo di rivoltella alla nuca.
Foiba di Vifia Orizi: Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti della zona videro lunghe file di prigionieri (circa 200), condotte verso la voragine.
Foiba di Pisino a Cernivizza: L’entrata della Foiba, nell’autunno del 1945, è stata fatta franare. Un centinaio sarebbero i corpi delle vittime che riposano lì.
Foiba di Obrovo (Fiume).
Foiba di Raspo: Usata come strumento di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945.
Foiba di Brestovizza: A Ferragosto del 1947 si narra che una donna venne gettata via nella profonda grotta, dopo avergli spezzato gambe e braccia. L’agonia tremenda sarebbe durata alcuni giorni di sofferenza, strepiti, urla di dolore e richieste di aiuto.
Foiba nella Foresta di Tarnova (Zavni): il luogo della stoica resistenza dei marò della divisione Fulmine X Mas nel gennaio del 1945 che, anche contro le direttive germaniche cercarono di difendere l’Italianità della Venezia Giulia e in questo caso di Gorizia, fu luogo di martirio dei carabinieri del capoluogo goriziano e di altri centinaia fra Italiani e Sloveni, tutti oppositori del governo titino.
Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia): Vi furono gettate pressoché ottanta persone.
Le Foibe di Capodistria: Nel territorio di Capodistria vi sono centosedici cavità, ottantuno che si sviluppano in profondità, diciannove delle quali contenevano resti umani. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba centoventi persone sia italiane che slovene, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. Le Foibe della zona sono state usate nel dopoguerra come discariche, quindi è difficile una esplorazione per ritrovare ulteriori resti umani.
Foiba di Vines: Recuperate dal Maresciallo Harzarich nell’ottobre 1943 cinquantuno salme riconosciute. I giustiziati, dopo aver subito tortura, venivano gettati con una pietra legata col fil di ferro alle mani. I boia, per essere sicuri che il loro crimine restasse occulto, hanno gettato delle bombe a mano nella grotta per provocare dei crolli. I fatti soni stati raraccontati dall’unico superstite Giovanni Radeticchio e al suo racconti sono seguiti dei riscontri.
Cava di Bauxite di Gallignana: Recuperate ad inizio dicembre del 1943 ventitré salme di cui sei identificati, tra cui Don Angelo Tarticchio, il cui corpo quando fu riesumato venne trovato nudo, con una corona di spine in testa, e i genitali tagliati e messi in bocca.
Foiba di Terli: Ritrovati nel novembre del 1943 ventiquattro corpi identificati..
Foiba di Treghelizza: Recuperati nel novembre del 1943 due corpi identificati.
Foiba di Pucicchi: Riesumate nel novembre del 1943 undici salme, di cui quattro riconosciute.
Foiba di Surani: Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme, ventuno riconosciute.
Foiba di Cregli: Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, tutte riconosciute.
Foiba di Cernizza: Raccolte nel dicembre del 1943 due salme identificate.
Foiba di Vescovado: Ritrovati sei corpi ma solo uno dentifricio.

Altre foibe da cui non fu possibile eseguire nessun recupero di salme tra il 1943 e il 1945: Semi, Jurani, Gimino, Barbana, Abisso Bertarelli,Rozzo, Iadruichi.
Foiba di Cocevie a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana.

Foiba di San Salvaro.

Foiba Bertarelli (Pinguente): avvistate dai contadini del posto continue colonne di prigionieri di cui non si vedeva mai il ritorno.
Foiba di Gropada.
Foiba di San Lorenzo di Basovizza.
Foiba di Odolina, vicino Bacia, stilla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.
Foiba di Beca, nei pressi di Cosina.
Foibe di Castelnuovo d’Istria.
Cava di bauxite di Lindaro.
Foiba di Sepec (Rozzo).

MAPPA DELLE FOIBE, DOVE SONO STATI GETTATI I MARTIRI:

Le cause che hanno provocato la tragedia dei Martiri delle Foibe, non sono solo etniche e culturali per la supremazia della nazionalità slava su quella italiana, favorita dalle violenze delle forze italiane in Jugoslavia e dalla sconfitta italiana della Seconda Guerra Mondiale, ma anche socio – politiche, perché nelle Foibe sono finiti tutti i possibili oppositori del regime comunista che si stava instaurando in Jugoslavia, e socio- economiche, in quanto molti Italiani appartenevano al ceto commerciale, benestante, borghese e capitalista. Quindi, alla lotta fra le etnie e le nazioni, si inseriva lo scontro ideologico tra capitalisti e proletari e anche fra filo fascisti contro filo comunisti, o fra Comunisti e anti comunisti.

Quelle dei Martiri delle Foibe è una memoria che va preservata e sviluppata attraverso una attenta ricerca storica, soprattutto adesso che si stanno estinguendo gli ultimi testimoni diretti che portano non solo nella mente, ma soprattutto nel cuore i segni di quanto avvenuto in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia tra il 1943 e il 1954.

A tal proposito il Governo Meloni ha deciso di creare a Roma un museo della memoria dei martiri, stanziando 3 milioni per il 2024, altrettanti per il 2025 e 2 milioni per il 2026.

Cristiano Vignali