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DA ERODOTO – LE STORIE, CONTINUA IL LIBRO I – Traduzione di Luigi Annibaletto, Mondadori 1956

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DA ERODOTO – LE STORIE, CONTINUA IL LIBRO I – Traduzione di Luigi Annibaletto, Mondadori 1956

31 Quando Solone , esaltandone a lungo la felicità, ebbe rivolto alle vicende di Tello l’animo di Creso, questi gli chiese quali degli uomini che avesse visto, poteva essere secondo dopo di quello, convinto che il secondo posto, almeno, sarebbe stato per lui. Ma Solone disse: < Cleobi e Bitone.

Erano infatti costoro di stirpe argiva e godevano di sufficienti mezzi di vivere e in più di una vigoria fisica a tutta prova; poiché ambedue allo stesso modo erano stati vincitori di pubbliche gare e si racconta di essi anche questo episodio: celebrando gli Argivi la festa di Era la loro madre doveva assolutamente farsi portare su un carro al tempio. Ma i buoi che erano con campagna non tornavano in tempo; allora i giovani, che non potevano più oltre attendere, si misero essi stessi sotto il giogo e tirarono il carro sul quale veniva trasportata la loro madre, e dopo averlo trainato per 45 stadi giunsero al santuario.

Compiuta che ebbero questa prodezza, ammirati da tutta la folla radunata, toccò ad essi la migliore fine della vita; e nel loro caso la divinità fece chiaramente comprendere che è meglio, per l’uomo, essere morto piuttosto che godere la vita.

Gli Argivi infatti, affollatisi intorno, complimentavano i due giovani, mentre le donne d’Argo si congratulavano con la loro madre perché aveva dei figli siffatti. Tanto che essa, piena di gioia per la loro impresa e per le lodi che sentiva intorno, stando dritta davanti alla statua divina, pregò la dea che ai suoi figli Cleobi e Bitone, che l’avevano grandemente onorata, concedesse ciò che un uomo può ottenere di meglio.

In seguito a questa preghiera, terminato il sacrifico e il sacro banchetto, i due giovani, che s’erano addormentati nel santuario stesso, non si rialzarono più, ma in questo modo morirono.

Gli Argivi, fatte fare due statue a loro immagine, le consacrarono nel tempio di Delfi , come quelle di uomini che s’erano mostrati eccellenti.>

32 Solone dunque a questi giovani assegnava il secondo premio della felicità; e Creso, un po’ stizzito, esclamò: <Ospite di Atene, la nostra felicità è da te così considerata un nulla, che non ci stimi degni di rivaleggiare con dei semplici cittadini privati?>

Solone gli rispose: < O Creso, proprio a me, che so come la divinità in tutto sia gelosa e facile a sconvolgere ogni cosa, tu poni domande sulle vicende umane?

Nel lungo fluire del tempo molte cose si possono vedere che pure uno non vorrebbe, e di molte anche soffrirne. >

NOTA: Da Plutarco – ci riferisce Annibaletto – sappiamo che la madre di Cleobi e Bitone era la sacerdotessa della dea, e per questo doveva recarsi in tempo, sul carro, al santuario. Esaltare ed acclamare in tali toni l’impresa dei due giovani ( 45 stadi sono pari a 8,5 chilometri) appartiene ad un mondo semplice, fondato sul predominio delle forze naturali dell’uomo su ogni altra cosa, e sulla convinzione che la morte serena sia un premio e una liberazione. Leggeremo nella prossima puntata la conclusione del discorso di Solone a Creso, un misto di retorica e di saggezza, che forse ci farà sorridere, ma non troppo.

Luciano Magnalbo’

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