DA ERODOTO – LE STORIE, CONTINUA IL LIBRO I – Traduzione di Luigi Annibaletto, Mondadori 1956
36 Egli così passava la vita nella reggia di Creso ma in quello stesso tempo, sul monte Olimpo di Misia, comparve un grosso cinghiale. Il quale, scendendo dal monte, devastava spesso le coltivazioni dei Misi che, usciti più d’una volta a dargli la caccia, invece che fargli del male, piuttosto ne ricevevano.
Alla fine, recatisi da Creso, alcuni messi dei Misi gli parlarono così: <O Re, un cinghiale, un bestione enorme, è comparso nel nostro paese e ci distrugge le culture.
Noi, nonostante i nostri sforzi, non riusciamo a catturarlo.
Orbene ti preghiamo di inviare insieme con noi tuo figlio, accompagnato da giovani scelti e da cani, affinché lo scacciamo dal nostro territorio>.
Così essi pregavano: Ma Creso che non dimenticava l’avvenimento del sogno, rispose loro in questo modo: < Di mio figlio non fate più parola; che tanto non lo potrei mandare con voi; è appena sposato ed è questo che egli ha ora per la testa. Tuttavia manderò con voi un corpo scelto di Lidi e l’equipaggiamento di caccia al completo; e a quelli che partiranno darò ordine che con tutto l’ardore possibile via aiutino a scacciare dal paese quel bestione >.
37 Questa fu la sua risposta; ma mentre i Misi erano contenti di questa promessa, ecco entrare il figlio di Creso che aveva ascoltato la loro preghiera.
Ora, siccome Creso rifiutava di mandare il figlio con loro, il giovane gli si rivolse con queste parole: < o padre, un tempo, prima d’ora, la cosa più bella e più nobile per me era di poter godere buona fama, andando spesso alla guerra e alla caccia.
Ora invece dall’una occupazione e dall’altra tu mi tieni segregato, senza che tu abbia veduto in me tracce di viltà o di scarso coraggio. Con quale fronte posso io comparire in pubblico, quando vado in piazza e me ne ritorno? Che uomo mai sembrerò ai miei concittadini; quale uomo alla mia novella sposa? Con quale marito penserà essa di dover convivere? Suvvia, dunque, lasciami andare alla caccia; o convincimi, almeno, con la ragione, che per me è meglio che così non si faccia>.
38 Gli rispose Creso: <figlio mio, se io faccio così non è già perché abbia riscontrato in te viltà o qualche altro difetto; ma una visione, comparsami nel sonno, mi disse che avrai vita breve, perché da una punta di ferro avrai la morte.
In vista appunto di questo sogno io ho affrettatole tue nozze e non vorrei mandarti a questa impresa di caccia; sono precauzioni che prendo per vedere se mai io possa, finché duri la mia vita, sottrarti alla morte.
Tu infatti vieni ad essere l’unico figlio che io abbia; poiché l’altro, rovinato nell’udito, faccio conto che per me non esista.
NOTA: Per quanto riguarda i danni da cinghiale nulla è cambiato da allora (2.450 anni) con il trascorrere del tempo, ma almeno vivevano nelle foreste e nei campi, mentre oggi scorrazzano liberamente nelle città e rovistano nei rifiuti. La caccia al cinghiale nel mondo antico era considerata molto pericolosa, dal momento che le armi da usare erano principalmente lance e spiedi (schidioni) e si poteva creare anche un corpo a corpo con la bestia, nel corso del quale spesso il cacciatore veniva ferito e qualche volta ucciso. Così narra anche Senofonte sul suo Cinegetico. Il figlio di Creso insiste perché andare a caccia grossa creava prestigio, sia nei confronti degli uomini che delle donne.
Luciano Magnalbo’
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