venerdì, Marzo 29, 2024
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Rigettato dalla Cassazione il ricorso dei due poliziotti contro Maurizio Bargiacchi

ASCOLI PICENO – Sarebbe stato rigettato dalla Corte di Cassazione il ricorso presentato dal legale dei due poliziotti che accusavano di calunnia il regista Maurizio Bargiacchi, residente a Roccafluvione, difeso dall’avvocato Emidio Gasparini. Nel febbraio dello scorso anno Bargacchi era stato assolto in Appello per la vicenda risalente al 2012, perché il fatto non sussiste, dopo essere stato condannato in primo grado alla pena di due anni e sei mesi. A seguito della decisione d’Appello, la difesa dei due agenti ha presentato il ricorso che, secondo quanto comunicato alla nostra testata dallo stesso Bargiacchi, sarebbe stato infine rigettato.  “Dopo anni di tensione per questa grave pendenza giudiziaria, che ha compromesso totalmente la mia attività lavorativa e familiare, invece di chiedere scusa, i due agenti hanno deciso di procedere ancora per vie legali. La Corte di Cassazione ha respinto l’impugnazione attraverso la settima sezione. D’accordo con il mio avvocato, stiamo preparando una denuncia per calunnia, con richiesta di risarcimento per i danni subiti”.

L’APPELLO – La difesa aveva messo in evidenza come il giorno in cui sono avvenuti i fatti contestati, l’uomo si trovasse in uno stato di profonda prostrazione psichica causato da una notte insonne, nonché da un persistente dolore ai denti e da tachicardia. II malessere aveva avuto inizio aIle prime ore del giorno 16.10.2012, quando , durante la notte, Bargiacchi, temendo di avere una crisi cardiaca in atto, aveva richiesto un intervento di urgenza al proprio domicilio a Roccailuvione (AP).

I medici del 118, alle ore 00:54 del 16.10.2012, hanno accertato che Bargiacchi aveva dolore ai denti, tachicardia e una pressione arteriosa di 130/100 . La mattina del 16.10.2012 l’uomo è stato colto da un secondo attacco di dolore ai denti, da vomito e da tachicardia, il tutto mentre si trovava a bordo dell’auto da lui condotta, in compagnia della figlia minorenne. Da qui una manovra di sorpasso nel tentativo di recarsi in farmacia e l’intervento della polizia. L’ambulanza è stata chiamata dall’imputato ed i sanitari, nel corso dell’intervento svolto alla presenza degli agenti di Polizia, hanno potuto accertare che questi soffriva di dolore ai denti e di tachicardia e che, inoltre, aveva una pressione arteriosa con valori di 200 di massima e 100 di minima, valori che Bargiacchi aveva ritenuto sintomatici di una crisi cardiaca in atto. Sarebbe stato quindi per questo che l’uomo ha ravvisato nella richiesta degli agenti di esibire i documenti una mera formalità che, dal suo punto di vista, non solo poteva essere rinviata, ma, per di più, causava un ritardo “pericoloso” per la sua salute e avrebbe dovuto avere, anche per la Polizia, un’importanza secondaria.

La difesa ha quindi messo in rilievo come sia stata proprio la particolare situazione psicologica dell’imputato a non consentirgli di tollerare  l’adozione di atti che non collimavano con Ie sue aspettative, anche se erano solo un normale svolgimento della procedura.

Solo per questo motivo avrebbe quindi ritenuto di aver dovuto sopportare un colpevole ritardo pericoloso per la propria salute, e, di conseguenza, ha “ritenuto di avere subito un omissione di soccorso”, anche se poi gli agenti lo hanno scortato fino alla farmacia più vicina. Da considerare poi, che, tra il momento in cui gli agenti hanno fermato l’imputato e l’effettivo arrivo dell’ambulanza, è trascorso un notevole lasso di tempo che ha inevitabilmente aumentato la percezione del malessere.

L’intervento degli agenti si era verificato a causa di una manovra di sorpasso che comunque l’uomo
aveva segnalato azionando gli abbaglianti e suonando il clacson. Ne consegue così che quando Bargiacchi, alle 12.55 dello stesso giorno, si è recato presso il Commissariato in Via Francesco Crispi di San Benedetto del Tronto per esporre quanto accaduto e da lui sopportato, aveva una soggettiva convinzione della colpevolezza degli agenti, certamente conseguenza di un malessere che era stato accertato. Da qui la sentenza di assoluzione in appello.

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