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Anticipazioni per “L’Orchestra Rai alla Scala” del 16 marzo alle 18.30 su RAI 5: omaggio a György Kurtág

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Anticipazioni per “L’Orchestra Rai alla Scala” del 16 marzo alle 18.30 su RAI 5: omaggio a György Kurtág (none)
Il concerto dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai al Teatro alla Scala di Milano, per l’edizione 2018 del Festival “Milano Musica”: lo propone Rai Cultura lunedì 16 marzo alle 18.30 su Rai5.
Sul podio è protagonista Heinz Holliger, fra i più apprezzati oboisti del nostro tempo, ma anche direttore e compositore di fama internazionale, che propone Stele, prima composizione per grande or-chestra di György Kurtág. Commissionata e eseguita per la prima volta nel 1994 dai Berliner Philharmoniker diretti da Claudio Abbado, è una concisa sinfonia funebre che ricrea, secondo le parole dello stesso Abbado, «un contatto tra la vita e la morte, come avveniva nel mondo antico, quando queste due dimensioni erano molto più vicine, unite da una ritualità profonda». Segue il Concerto per pianoforte e orchestra di un altro esponente dell’avanguardia ungherese, György Ligeti, che indicò i presupposti estetici alla base della stesura del Concerto: «Prediligo forme musicali che non sono tanto frutto di un’azione processuale, quanto piuttosto oggettiva: musica come tempo ragge-lato, come oggetto nello spazio immaginario, evocato nella nostra immaginazione dalla musica, come una creazione che si sviluppa certo nella realtà del tempo che scorre, ma in modo immaginario nella contemporaneità». A interpretarlo è chiamato il grande pianista Pierre-Laurent Aimard, il cui nome è strettamente legato a quello di Ligeti, di cui è stato collaboratore fedele e del quale ha fatto conoscere al mondo l’opera completa per pianoforte. Chiude il programma il Concerto per orchestra di Béla Bartók, dedicato alla memoria di Natalia Kussevitzky ed eseguito per la prima volta dalla Boston Symphony Orchestra a New York nel 1944. Capolavoro della maturità scritto durante i difficili anni del suo esilio americano, il brano attenua gli aspetti più aggressivi e arditi tipici del linguaggio dell’artista ungherese in favore di una linearità espressiva e di una cantabilità immediata, che si richiama alle melodie della patria lontana.