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La Giustizia tutela i minori? Il Ministro Bonafede risponde all’On.Veronica Giannone

giada

Certamente molti di voi ricorderanno il caso di Giada Giunti, che non vede il figlio da diversi mesi e, non sapendo più a chi rivolgersi, aveva deciso di incatenarsi davanti al Ministero di Giustizia affinché qualcuno potesse ascoltarla e farle rivedere il figlio che da sempre grida, inascoltato, di voler tornare a vivere con la mamma.

Per la cronaca informiamo che ancora, dal tribunale di riferimento a Roma, le è stato negato di vedere il figlio malgrado l’intervento diretto di un alto funzionario del Ministero, un magistrato che ascoltò la signora Giada Giunti per circa un’ora, facendola desistere di fatto dall’incatenarsi in quel luogo ritenuto obiettivo sensibile per cui è vietata ogni manifestazione.

Tuttavia il tribunale continua a non ascoltare il figlio della Giunti, tanto che l’On. Veronica Giannone, parlamentare iscritta al Gruppo Misto dopo essere fuoriuscita dal Movimento 5 Stelle, ha presentato una interrogazione parlamentare nel dicembre 2019 di cui a distanza di ben 5 mesi si
è avuta la pubblicazione della risposta.

“Interrogazione a risposta scritta 4-04379 Domenica 22 dicembre 2019, seduta n. 281
GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
la Convenzione di New York del 1999 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata nel ’91, stabilisce, all’articolo 3, che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, (…) l’interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente».

L’articolo 12 garantisce al minore «il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa», prevedendo «la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne»; la convenzione di Istanbul del 2011, all’articolo 5, obbliga gli Stati ad astenersi da qualsiasi atto di violenza verso le donne, prevedendo all’articolo 31 «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione»; la Convenzione di Strasburgo stabilisce, nel combinato disposto degli articoli 3 e 6, il diritto del minore ad essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, imponendo all’autorità giudiziaria di permettergli di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto; il codice civile, all’articolo 315-bis, riconosce il diritto del fanciullo – che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento – ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano; così come riportato da un recente articolo de «Il Giornale» – 15 dicembre 2019 – Alessio (nome di fantasia) è un bambino di 13 anni che chiede a gran voce di tornare a vivere con sua madre, dopo essere stato allontanato da casa dai servizi sociali; tutto ha inizio nel 2010 quando Giada, la madre, chiede la separazione dal padre del bambino, denunciando: «erano anni che subivo, non ho mai avuto il coraggio di denunciare, ma Alessio vedeva tutto e la situazione era diventata pesantissima»; durante la prima udienza, il padre chiederà senza successo, che Alessio gli venga affidato. In Corte d’appello, dopo aver denunciato la madre di non essere in grado di accudire il bimbo, chiede addirittura che venga messo in casa famiglia. La proposta viene accettata e i giudici dispongono una consulenza tecnica per valutare le capacità genitoriali della madre; la consulente nominata dal Tribunale fa valutare il profilo psicologico della mamma ad una associazione che ha un conflitto di interesse in quanto si tratta di «un’associazione in cui la responsabile figurava nella sua stessa persona e il consulente legale era l’avvocato al quale si era rivolto l’ex marito di Giada»: la madre
viene giudicata «simbiotica» addossandogli comportamenti del tutto inappropriati; Alessio viene, senza preavviso, forzatamente prelevato da scuola e accompagnato in casa famiglia, a portarlo via, sotto gli occhi di tutti, ben otto persone, tra operati e polizia; le prove che raccontano la realtà obbligata in cui era costretto a vivere Alessio non verranno mai prese in considerazione dal Tribunale: i verbali dell’educatore non contano, a dirlo sarà proprio il giudice che, dopo aver acquisito solo alcune delle prove documentali, dichiara in sentenza: «…rimane superfluo acquisire tutti
i verbali e le videoregistrazioni degli incontri avvenuti presso il servizio sociale tra madre e figlio».

A nulla servirà la scelta di Alessio che scrive una lettera al giudice chiedendogli di accogliere la richiesta di tornare a vivere con la madre;
nell’ultima udienza viene affidato di nuovo al padre; adesso vive con lui dal 31 luglio, ma Alessio non si rassegna a questa decisione, ogni volta che può ribadisce: «voglio tornare a vivere con la mamma, con lei
era tutto più bello» –: se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, anche sul piano normativo, affinché venga data effettiva applicazione alle convenzioni internazionali, garantendo il pieno diritto di ascolto del minore, così come peraltro previsto dal codice civile. (4-04379)”

Riportiamo la risposta scritta del Ministro Bonafede :
“Con l’interrogazione in esame si chiede al Ministro della giustizia se sia a conoscenza dei fatti esposti nel corpo dell’atto di sindacato ispettivo e se intenda adottare, anche sul piano normativo, iniziative affinché venga data effettiva applicazione alle convenzioni internazionali, garantendo il pieno diritto di ascolto del minore considerato che nel caso trattato sembrerebbe essere stata completamente trascurata la volontà di quest’ultimo.

Ciò premesso, preme in primo luogo osservare che, non essendo stato specificato presso quale ufficio giudiziario sarebbe stato adottato il provvedimento citato, non è stato possibile richiedere eventuali
informazioni al riguardo.

In linea generale va poi ricordato che la decisione di procedere all’ascolto del minore rientra tra leprerogative esclusive dell’autorità giudiziaria adita, che agisce, in tale ambito, in piena autonomia e indipendenza, senza alcuna possibilità di ingerenza da parte di questa direzione generale. Quanto alle invocate iniziative, anche di carattere normativo, volte a garantire «l’effettiva applicazione alle convenzioni internazionali, garantendo il pieno diritto di ascolto del minore», va evidenziato che i procedimenti concernenti i minori sono ormai, dopo le riforme operate con la legge 21 marzo 2001, n. 149 e con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, fortemente giurisdizionalizzati.

In esso sono infatti previsti sia l’assistenza legale dei genitori, che l’ascolto del minore (ormai generalizzato), oltre che la rappresentanza legale del minore nel processo (tramite le figure del curatore speciale). Non va
poi sottaciuto che l’articolo 336 ultimo comma codice civile già prevede l’assistenza legale del minore nei procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale. Ne deriva che il sistema, come delineato, è in grado di garantire che l’affido dei minori ad uno o all’altro genitore, così come la regolamentazione dei rapporti con il genitore non affidatario, siano normativamente controllati e monitorati.

Peraltro, si evidenzia che la normativa inerente alla tutela dei minori, nei procedimenti di separazione, divorzio, regolamentazione, limitazione e ablazione della responsabilità genitoriale è stata oggetto di recenti riforme (decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154).

La giurisdizionalizzazione dei procedimenti suddetti comporta che i diritti dei minori ad avere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori in caso di crisi familiare sono fortemente garantiti e non rimessi, unicamente, alle valutazioni di consulenze tecniche di ufficio, vieppiù alla luce del fatto che la consulenza tecnica rappresenta, nel nostro ordinamento, uno dei mezzi di prova che, in un processo, possono ben essere superati dalle altre risultanze probatorie emerse nel corso dell’istruttoria.

Tant’è che il giudice è peritus peritorum e può, dunque, anche superare i risultati delle conclusioni del perito o del consulente tecnico, qualora esse non siano convincenti.

Va poi detto, con riferimento a quanto riferito a proposito della qualità soggettiva del consulente tecnico incaricato, che il sistema delle ncompatibilità del consulente tecnico e del perito è stabilito rispettivamente
dal codice di procedura civile e dal codice di procedura penale ed è valevole per tutte le ipotesi di supporto tecnico, ivi comprese le perizie e consulenze tecniche psicologiche e psichiatriche. In questa sede può osservarsi che le convenzioni di New York del 1989 e di Strasburgo del 25 gennaio 1996
regolamentano a livello internazionale il diritto di ascolto dei minori nei giudizi ove vengono adottati provvedimenti che li riguardano (oggi regolato, nell’ordinamento civile italiano, dagli articoli 315-bis, 336-
bis e 337-octies del codice civile introdotti dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, e dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154).

In particolare l’articolo 12 della convenzione di New York richiede agli Stati di garantire al fanciullo – capace di discernimento – il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa, e che la sua opinione sia presa in seria considerazione, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità: a tal fine, viene riconosciuta al minore la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, conformemente alle regole di procedura delle legislazioni nazionali.

La Convenzione di Strasburgo (articolo 6) impone all’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione nei procedimenti relativi a minori, di valutare se dispone di informazioni sufficienti al fine di
prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali.

Deve, inoltre, consultare il minore personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli
interessi superiori del minore, nonché permettere al minore di esprimere la propria opinione, tenendo in debito conto l’opinione da lui espressa.

A ciò sia aggiunga che, assai di recente, è stata introdotta in ambito UE una norma in sede di revisione del regolamento cosiddetto Bruxelles II-bis. Il nuovo regolamento (UE) 2019/1111 del consiglio del 25 giugno 2019 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale e alla sottrazione internazionale di minori (rifusione), pubblicato nella GUUE L 178 del 2 luglio 2019 (che si applicherà dal 1° agosto 2022), ha introdotto una nuova norma che così prevede: «Articolo 21. Diritto del minore di esprimere la propria opinione – 1. Nell’esercitare la competenza ai sensi della sezione 2 del presente capo, le autorità giurisdizionali degli Stati membri danno al minore capace di discernimento, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, la possibilità concreta ed effettiva di esprimere la propria opinione, direttamente o tramite un rappresentante o un organismo appropriato.

2. Qualora decida, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, di dare al minore la possibilità di esprimere la propria opinione ai sensi del presente articolo, l’autorità giurisdizionale tiene debito conto dell’opinione del minore in funzione della sua età e del suo grado di maturità».
Tornando all’ambito nazionale, l’articolo 315-bis, comma 3, del codice civile riconosce espressamente il diritto del fanciullo – che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento –
ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. L’articolo 336-bis del codice civile dispone che il minore sia ascoltato dal giudice nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo interessano, salvo il caso in cui l’ascolto sia in contrasto con il suo interesse o manifestamente superfluo, e fermo restando l’obbligo di motivazione.

L’audizione prevista da tale norma è condotta dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari: il giudice può autorizzare ad assistere all’ascolto i genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se nominato, ed il pubblico ministero. Tutti questi soggetti possono proporre al giudice argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento. Preliminarmente all’ascolto, il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’audizione: dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale ne è descritto il contegno, ovvero è effettuata registrazione audio/video.


L’articolo 337-octies, del codice civile ribadisce che, prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti riguardo ai figli, il giudice ne dispone l’audizione. Qualora ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, il giudice può rinviare l’adozione dei provvedimenti per consentire che i genitori, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.

Quando il minore ha una capacità di discernimento sufficiente, il giudice deve assicurarsi che egli abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti e, se il caso lo richiede, consultarlo personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario ai suoi interessi superiori, per consentirgli di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto.

Infine, la citata convenzione di Istanbul (convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata dalla legge 27 giugno 2013 n. 77) prevede all’articolo 31 (rubricato: «Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza») che «Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non
comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini».
In tale contesto le misure che in qualche modo vedono coinvolti i figli minori sono quelle relative ai procedimenti di separazione e divorzio e ai procedimenti in genere aventi ad oggetto le convivenze di fatto, nell’ambito dei quali la persona vittima di violenza può appellarsi all’istituto dell’ordine di protezione, di cui agli articoli 342-bis del codice civile e 736-bis c.p.c. oppure agli strumenti rimediali di cui agli articoli 330 e 333 del codice civile (decadenza/limitazione della responsabilità genitoriale), laddove siano coinvolti, per l’appunto, i figli minori. Di conseguenza può rilevarsi che l’ordinamento italiano si è adeguato nella trasposizione dei principi internazionali richiamati provvedendo a creare un sistema di garanzie e tutele piene per il minore proprio con specifico riferimento al suo ascolto.

Infine, si fa presente che, proprio per scongiurare il corto circuito tra le esigenze prioritarie del minore e l’esito dei connessi procedimenti di affido eterofamiliare, con decreto del Ministro della giustizia 22 luglio 2019 è stata istituita, presso questo dicastero, la «squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori».

Essa è nata con lo specifico compito di: effettuare la ricognizione ed il monitoraggio dello stato di attuazione della legislazione vigente in materia di collocamento dei minori in istituti di ricovero e in affidamento eterofamiliare; rilevare profili di criticità della normativa ed esaminare eventuali proposte di modifica della stessa; promuovere la creazione di una banca dati nazionale integrata relativa agli affidi familiari; proporre l’adozione di circolari di armonizzazione e razionalizzazione integrata delle procedure nei diversi settori ordinamentali coinvolti. Tale organismo ha completato la prima fase di intervento con la raccolta dei dati e sta per attivare le successive fasi per verificare altresì l’esigenza di nuovi percorsi anche normativi ai quali il Ministero è assolutamente favorevole.


Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede”.


Una risposta che lascia molti dubbi e certamente non risolve il problema dal momento che il tribunale sembrerebbe abbia continuato a non ascoltare il bambino. Evidenziamo che l’On. Giannone, da noi interpellata non è nuova a queste interrogazioni, avendone posto diverse proprio sul sistema delle sottrazioni dei minori e dell’affidamento genitoriale. Nel caso specifico di Giada Giunti, fanno rumore le frasi che il bambino pronuncia, gridando e che si evincono in dei video regolarmente prodotti e depositati in tribunale che la stessa Onorevole ha voluto far ascoltare in Conferenza Stampa.

Intanto è dal 2016 che i bambino chiede inascoltato che vuol tornare a vivere con la madre, ma per i giudici è sufficiente ciò che dicono i periti e non come dovrebbe essere il volere del minore. Forse l’interrogazione parlamentare evidenzia una giustizia che dovrebbe rivedere l’intero sistema della tutela dei minori?


Ettore Lembo

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