giovedì, Aprile 18, 2024
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Anticipazioni per il Grande Teatro di Eugene Jonesco in TV del 30 luglio alle 15.35 su RAI 5: “La cantatrice calva” con Franca Valeri

la cantatrice calva

Anticipazioni per il Grande Teatro di Eugene Jonesco in TV del 30 luglio alle 15.35 su RAI 5: “La cantatrice calva” con Franca Valeri

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Un’“anticommedia” in cui non succede niente o quasi, ma che è il capolavoro del teatro dell’assurdo di Eugène Jonesco: “La cantatrice calva”. E’ l’opera che – nell’ambito dell’omaggio ai 100 anni di Franca Valeri – Rai Cultura propone giovedì 30 luglio alle 15.55 su Rai5, nella versione del 1967 diretta da José Quaglio e interpretata dalla Valeri e Arnoldo Foà, Ferruccio De Ceresa, Renzo Montagnani, Carmen Scarpitta. 
L’opera non ha una vera e proprio trama: una coppia inglese, gli Smith, conversa con un’altra coppia inglese quando arriva un capitano dei pompieri pur non essendovi nessun incendio, una cameriera appare e basta. lonesco deforma il linguaggio con spregiudicatezza, lo mutila e concerta nei più bizzarri e gratuiti giuochi di rime e di assonanze, giungendo spesso a farne strumento per effetti esclusivamente sonori come, ad esempio, nel finale. 

La cantatrice calva (in francese La cantatrice chauve) è la prima opera teatrale di Eugène Ionesco.

L’autore francorumeno decise di imparare l’inglese comprandosi un manuale di conversazione. Per esercitarsi ricopiava le frasi del manuale e, facendo ciò, si accorse della banalità delle frasi in esso contenute: “il soffitto è in alto, il pavimento in basso”, “i giorni della settimana sono sette”, ecc… Da qui egli trasse ispirazione per la commedia, datata 1950.

La pièce – definita dall’autore anticommedia – è il primo esempio di un genere teatrale allora ai suoi albori, il teatro dell’assurdo, in cui la vicenda subisce uno straniamento tramite l’utilizzo esasperato di frasi fatte, dialoghi contrastanti, luoghi comuni.

Ecco cosa lo stesso Ionesco dichiarò a questo proposito:

«Scrivendo questa commedia (poiché tutto ciò si era trasformato in una specie di commedia o anticommedia, cioè veramente la parodia di una commedia, una commedia nella commedia) ero sopraffatto da un vero malessere, da un senso di vertigine, di nausea. Ogni tanto ero costretto ad interrompermi e a domandarmi con insistenza quale spirito maligno mi costringesse a continuare a scrivere, andavo a distendermi sul canapé con il terrore di vederlo sprofondare nel nulla; ed io con lui.»

La prima messinscena di Parigi del 1950 fu tutt’altro che un successo; il genere, del tutto particolare ed innovativo, lasciò infatti perplessi gli spettatori. Nuovamente inscenata nel 1955, la pièce riscosse un enorme successo, tant’è che La cantatrice chauve è rappresentata ininterrottamente dal 1957 al teatro de la Huchette a Parigi.

I personaggi

Nella Cantatrice calva, l’azione teatrale è ridotta alla sua più semplice espressione, togliendo ai personaggi ogni funzionamento dinamico: sono sfumati, talvolta anche interscambiabili. È infatti, essenzialmente, la dimensione metafisica che ha guidato l’autore nella loro elaborazione.

I personaggi sono sei: i coniugi Smith, i coniugi Martin, la cameriera Mary ed il pompiere.

Gli Smith

Ionesco fornisce dettagli relativamente numerosi su questi personaggi, ma servono meno a caratterizzarli che a trasformarli in simboli metafisici. Essi sono l’immagine dell’insignificanza degli esseri: intrappolati nelle loro abitudini, incapaci di comunicare, non riescono a dare un senso alla loro esistenza.

Riguardo alla loro età, Ionesco mette solo indicazioni indirette. Il colore grigio dei baffetti del signor Smith fa pensare che non è più molto giovane. Alla fine della prima scena l’osservazione che fa sua moglie che sono una “coppia di vecchi innamorati” rivela che sono sposati da tempo. Hanno una bambina di due anni, quindi ciò lascia supporre che non siano molto vecchi. Sono, piuttosto, una coppia fra due età, un’età tanto incerta quanto può esserlo la loro personalità.

Sempre nell’intenzione di fare degli Smith i rappresentanti della condizione umana, Ionesco gli attribuisce una normale situazione familiare. Sono sposati, hanno tre figli: un maschio e due femmine. Costituiscono una famiglia che corrisponde alle norme dell’epoca, essendo in Francia, mediamente, il numero di bambini per coppia di 2,5.

Sempre per le stesse ragioni, vivono in un’abitazione normale. Abitano “nei dintorni di Londra”. La casa, che è quella di un inglese o di un francese medio, riflette una situazione di calma e di confort. Riguardo al loro ambiente, evocato in particolare nella prima scena, fa pensare alla vita pacifica e monotona delle periferie delle grandi metropoli europee.

I vestiti degli Smith non brillano neppure per la loro originalità. Il signor Smith è vestito di casa, immaginabile a partire dal solo dettaglio che è fornito, le pantofole. La signora Smith deve essere vestita similmente. Non ce lo segnala nessuna annotazione diretta, ma lei e suo marito si ritirano per andarsi a vestire, quando viene annunciato l’arrivo dei Martin. Tuttavia il fatto che gli Smith, nella scena settima, entrano senz’alcun cambiamento nel loro vestiario, ci mostra il carattere convenzionale della distinzione vestiti di casa e vestiti di cerimonia.

Il modo di vivere degli Smith appare anch’esso stereotipato. Per non togliere ai personaggi il loro significato simbolico, Ionesco si è ben guardato dal caratterizzarli. La signora Smith deve essere una casalinga, ma s’ignora il mestiere del marito. Vengono, di contro, ricordate le loro occupazioni. Il cibo occupa, nella loro esistenza un’importanza considerevole: la signora Smith dedica gran parte della prima scena a parlare di cibo. D’altronde, essi ricevono volentieri le loro conoscenze e s’immergono in conversazione insipide che rispecchiano l’essenzialità dell’opera. Quando non mangiano né ricevono, passano il tempo in occupazioni banali. Mentre il signor Smith legge il giornale, sua moglie rammenda le calze.

In contrasto con la loro vita stereotipata e monotona, i sentimenti che animano gli Smith sono caratterizzati dal cambiamento e dalla contraddizione. Ionesco fa così il contrario del teatro tradizionale, sottolineando anche l’aspetto convenzionale delle relazioni fra gli esseri che corrispondono solamente ad apparenze e rivelano la difficoltà di stabilire una comunicazione vera e sincera. Queste contraddizioni si manifestano anzitutto all’interno della coppia, poiché gli Smith non riescono a capirsi. Ciascuno è chiuso nelle sue preoccupazioni. Questa incomunicabilità si evince palesemente a due riprese. Nella prima scena, mentre la signora Smith si lancia in lunghe considerazioni sul cibo, il marito non l’ascolta. Nelle scene 7 e 8 viene fuori un disaccordo riguardo al fatto se ci sia qualcuno o meno quando suona il campanello. Malgrado l’apparente complicità, le opposizione fra gli Smith sono evidenti: non a caso, mentre la signora Smith è offesa, il signor Smith è sorridente; o, ancora, quando la signora Martin racconta il suo aneddoto insipido, i due sposi si rimproverano a vicenda. Le opposizioni fra i termini ingiuriosi e le parole affettuose sottolineano le contraddizioni tra la realtà dei sentimenti e le ipocrisie sociali: le convenienze non smettono di frenare la voglia di esprimere i loro profondi risentimenti. È spesso all’interno di uno stesso personaggio che si producono bruschi cambiamenti di sentimenti. Ionesco ha introdotto tali modificazioni per sottolineare la relatività dell’essere umano. Questo aspetto appare chiaramente alla fine della prima scena: alcuni momenti dopo il loro alterco, gli Smith fanno pace, la collera fa continuamente posto alla pacificazione. Ma non è il solo esempio: nell’ottava scena, la signora Smith, all’arrivo del pompiere, irritata, non risponde al suo saluto, poi lo abbraccia.

Quindi tutto, i sentimenti come pure i comportamenti degli Smith, dipende dalle convenzioni sociali. Le situazioni nelle quali si trovano provocano reazioni che dipendono dall’automatismo. Questo carattere stereotipato prende talvolta la forma del tic. Questo tipo d’atteggiamento ripetitivo caratterizza, in particolare, il signor Smith che, nella prima scena, non smette di far schioccare la lingua, mentre sua moglie parla di cibo. La gentilezza e la cortesia che caratterizzano i loro rapporti con i visitatori, sono particolarmente significativi di questi automatismi sociali. Ma, sotto questa scorza, viene spesso fuori il vero volto delle persone, la profonda natura umana screpola quella facciata liscia e rassicurante. Nonostante loro, gli Smith sono portati a manifestare la noia che li rode. Il signor Smith fa finta d’interessarsi alla conversazione, ma non può far a meno di sospirare, provocando così il commento della signora Smith: “si scoccia”. È, però, l’aggressività, quasi animalesca, che viene fuori. La signora Smith, quando riceve i Martin è furiosa per il loro ritardo. E la tensione arriva al suo culmine nell’undicesima scena quando “alla fine della scena, i quattro personaggi debbono trovarsi in piedi, vicinissimi gli uni agli altri, gridare le loro battute, pugni alzati, pronti a gettarsi gli uni sugli altri”. L’automatismo delle convenzioni lascia così il posto all’istinto animale.

I Martin

Ionesco ha fatto dei Martin l’immagine di una varietà umana incoerente che sfugge ad ogni regolarità e ad ogni logica. I Martin sono privi di’individualità, invischiati nelle convenzioni sociali; i loro comportamenti si rivelano simili a quelli degli Smith, con i quali si confondono; sono esseri alla ricerca di una felicità stereotipata; e rivelano, infine, il ruolo del caso nell’esistenza umana.

Nelle scene dedicate alle conversazioni convenzionali, i Martin, simili agli Smith, sono rinchiusi nei loro obbligati atteggiamenti della gentilezza e della cortesia, provando a dissimulare la noia che essi provano e prorompendo in discorsi incoerenti e privi d’interesse. E non possono far a meno di scatenare la loro aggressività alla fine dell’opera. Questo carattere interscambiabile delle due coppie è sottolineato dalle comuni reazioni che li animano, per esempio, quando, alla scena 11, “tutti insieme… urlano gli uni alle orecchie degli altri” e in coro ripetono “Non è di qua, ma è di là…”. L’indicazione scenica finale conferma questa similitudine tra gli Smith e i Martin, i quali, in un nuovo ricominciamento, ripetono esattamente le battute degli Smith nella prima scena. Questa confusione che esiste tra esseri privi d’individualità, fusi tutti in un insieme evanescente e condannati alla stessa esistenza noiosa e assurda, è messa in evidenza, in altro modo, nella scena prima. Parlando di una famiglia di sua conoscenza, i Watson, la signora Smith afferma che ogni membro di quella famiglia porta indistintamente lo stesso nome, Bobby Watson. Il signor Smith rafforza ancora questa indeterminatezza degli esseri che rivelano queste considerazioni genealogiche, offuscate dalla somiglianza dei nomi, rincarando la dose: “tutti i Bobby Watson sono commessi-viaggiatori”. Ionesco crea così un effetto parodico, facendosi beffa di quelle interminabili conversazioni che vertono sui rapporti familiari.

I Martin, tuttavia, offrono anche l’immagine della felicità convenzionale. Nel corso della conversazione, il signor Martin è premuroso nei confronti della moglie, sforzandosi d’interessarsi in quel che fa. Nel corso della quarta scena, numerosi dettagli ci permettono di abbozzare un ritratto toccante di questa coppia unita. Originari di Manchester, sono venuti a far un soggiorno a Londra e ne approfittano per far visita ai loro amici, gli Smith. Chiamati Donald ed Elizabeth, hanno una figlioletta di due anni, Alice. Sembra che abbiano una vita normale, rassicurati in ciò da un amore sereno, ma trattasi di una felicità minata dall’interno. Sono spesso aggressivi l’uno verso l’altra e quando si abbracciano, è priva di espressione.

Infine, questa coppia è vittima degli infiniti capricci del caso. Nel corso della quarta scena, procedono ad una lunga enumerazione di bizzarre coincidenze e ne concludono che si conoscono e sono sposati. Queste coincidenze hanno molteplici significati. Anzitutto costituiscono una parodia degl’incontri romanzeschi. Traducono l’incoerenza del mondo e la subordinazione dell’uomo al caso: il ruolo della fortuna permette gli incontri e la nascita dell’amore. È senza limiti quando determina la presa di coscienza di relazioni già esistenti. Infine, questo evento sorprendente mostra indirettamente che, se i Martin hanno bisogno di ritrovarsi, è perché si sono perduti e non riescono più a capirsi realmente. Alla quinta scena, le fantasie del caso raggiungono il loro culmine. In ogni momento, tutto può invertirsi. E le coincidenze sono relative: se viene a mancare una sola, crolla l’intero edificio, com’è il caso della figlia: mentre la figlia di Donald ha l’occhio destro bianco e il sinistro rosso, nella figlia di Elizabeth il colore degli occhi si inverte. Si ritorna, quindi, al punto di partenza: I Martin perdono inizialmente coscienza della loro coppia, la ritrovano in seguito ma a torto, poiché in definitiva non sono chi credono di essere.

Mary, la domestica

Mary, la domestica, ha nell’opera una duplice funzione. È anzitutto una figura prosaica, divisa tra il suo lavoro di domestica e il desiderio di affermare la propria personalità, ma svolge anche il ruolo di testimone di ciò che accade intorno a lei, incaricata di trascrivere le manifestazioni del destino.

Anzitutto riempie scrupolosamente le sue funzioni di domestica, riceve le istruzioni degli Smith, fa entrare i Martin, l’invita a sedersi: si mostra, secondo la tradizione, rispettosa. Tuttavia lei mostra una franchezza che provoca un effetto di rottura. Quando la signora Smith la rimprovera per essersi assentata, Mary le risponde seccamente: “è lei che mi ha dato il permesso” (scena 1) e, soprattutto, quando arrivano i Martin, lei li ammonisce in questi termini: “perché siete venuti così tardi? Non è educazione”. Cercando di esprimere le proprie idee e di affermare la propria personalità, Mary rompe con l’immagine della domestica remissiva e zelante, mostrandosi così contraddittoria quanto i suoi padroni. Dopo essere scoppiata a ridere, piange, poi sorride. Racconta i banali fatti che le sono accaduti durante il pomeriggio, poi prova il bisogno di annunciare: “mi sono comprata un vaso da notte” (scena 1). Nella nona scena, malgrado i rimproveri, intende partecipare alla conversazione e finisce col recitare la poesia “Il Fuoco”, che rivaleggia per incoerenza con gli aneddoti raccontati dagli altri personaggi. Lei partecipa, quindi, a tutto questo gioco d’incomprensioni e incoerenze che reggono i rapporti dell’insieme dei personaggi dell’opera.

Mary svolge anche un altro ruolo: rivela gli equivoci di cui sono vittime i Martin quando pensano di scoprire di essere sposati, mostrano come la sorte si faccia beffa degli esseri umani. Diventa così la portavoce inquisitrice del destino; è incaricata di svelare una verità, portatrice di sofferenza e di morte. Mary svolge al tempo stesso il ruolo del coro della tragedia antica e quello del detective, Sherlock Holmes. Ma prima aveva mostrato tutta l’ambiguità del suo ruolo, decidendo “lasciamo le cose come stanno”, rendendosi conto che non è sempre bene dire la verità, che è meglio non conoscere i decreti del destino.

Il capitano dei pompieri

Pur contribuendo a mostrare la difficoltà della comunicazione, il pompiere sottolinea l’assurdità delle funzioni sociali e rivela la complessità di un mondo reso incomprensibile dalla sua infinita relatività.

Ciò che caratterizza questo personaggio, vestito con un “enorme casco luccicante e un’uniforme”, è anzitutto il suo mestiere, ragione della sua vita. Senza di esso non è più niente; è ossessionato dal fuoco che ritma la sua esistenza. Fa ricorso, come gli altri personaggi di cui influenza il vocabolario, giochi di parole, comparazioni e metafore che rinviano al fuoco. Il pompiere mostra anche che l’essere umano, per tentare di dimenticare l’assurdità e l’inutilità della vita, ha la necessità d’investirsi in un’intensa attività professionale. Ma, in questo caso, quest’attività professionale diventa una vera e propria ossessione e si rinchiude nel rispetto di regole incoerenti, ciò che la rende, per l’appunto assurda.

Il pompiere è anche là per testimoniare la complessità delle cose. Tanto le genealogie dei Watson, abbozzate dagli Smith nella prima scena, rivelava l’uniformità del mondo, quanto quella che sviluppa il pompiere nella nona scena ne mostra la varietà. I personaggi evocati esercitano i mestieri più disparati: dal farmacista al sottocapo, passando per ingegnere o sottoufficiale; sono di diversa nazionalità: francese, britannica, portoghese; hanno una vita agitata, come quel “medico di campagna, sposatosi tre volte di seguito”. Tuttavia questa diversità si rivela eteroclita e incoerente. Questa complessità del mondo è portatrice di una relatività che rende le cose incomprensibili, inesplicabili. È il pompiere che è al centro dell’episodio del campanello; è lui che placa il disaccordo tra gli Smith, mostrando che non esiste verità assoluta e che ciascuno possiede la sua. Nessuno, dunque, ha mai totalmente torto e tutti hanno più o meno ragione.

La cantatrice calva

L’enigmatica cantatrice calva che ha dato il titolo all’opera, disperatamente assente, costituisce una manifestazione supplementare dell’incoerenza.

Non facendo mai apparire la cantatrice calva, Ionesco parodia una tecnica destinata a creare il mistero attorno ad un personaggio che svolge tuttavia un ruolo importante nell’azione, anche se non svolge alcun ruolo. E il silenzio generale, l’imbarazzo che seguono alla sola allusione al personaggio mostrano ironicamente il disagio di un drammaturgo incapace di giustificare la ragione d’essere del suo personaggio.

La cantatrice calva ha anche la funzione di contribuire all’incoerenza ambientale. L’aggettivo “calva” appare anzitutto incompatibile con l’immagine che si ha di una cantante, creando, in tal modo, un’impressione di estraneità. La risposta che la signora Smith dà alla domanda del pompiere, che “si pettina sempre allo stesso modo”, accentua ancora il carattere assurdo del personaggio, mentre la sua inutilità va assolutamente nel senso di vuoto e dell’insensatezza delle conversazioni.

Trama

L’opera è scritta in un atto unico inscenato nel salotto dei signori Smith. Sia gli Smith che i Martin incarnano, secondo i canoni del teatro dell’assurdo, la tipica famiglia borghese: gli Smith ad esempio, abitano in una villetta a più piani, sono abbigliati in modo impeccabile ed all’antica, trascorrono il tempo spettegolando su amici e vicini; la signora trova diletto nel pensare a come preparare lo stesso yogurt della vicina, il marito legge il giornale e fa commenti conservatori sui medici, sullo stato britannico, sull’esercito.

Una grande importanza hanno gli orologi della stanza, che scandiscono il tempo: la pendola suona a caso rintocchi il cui numero cambia ogni volta.

Nella prima scena i coniugi Smith siedono in salotto arredato di mobili inglesi: il signor Smith legge un quotidiano fumando una pipa inglese, mentre la signora fila, ripetendo più volte il menu della loro cena, perfettamente all’inglese.

La cameriera Mary compare, annunciando i coniugi Martin, venuti per la cena già consumata. Gli Smith si dirigono a cambiarsi.

I Martin si accomodano e si comportano come perfetti sconosciuti rievocando ricordi di luoghi che hanno incontrato unitamente, senza però incontrarsi.

Le coppie si ricongiungono, e cominciano a parlare quando il campanello suona più volte, senza che però nessuno sia alla porta; la signora Smith elabora così la teoria che il suono del campanello corrisponde all’assenza di qualcuno, anziché alla sua presenza. Infine alla porta compare un pompiere alla disperata ricerca di un fuoco da estinguere. I personaggi cominciano a parlare, a raccontare barzellette, poi a sbraitare ed infine, con la comparsa anche della cameriera, ad emettere suoni senza senso. Poi calano le luci.

Il dramma ricomincia daccapo coi Martin al posto degli Smith: la signora Martin discute della favolosa cena inglese, mentre il signor Martin legge il giornale fumando la pipa, comodamente seduto in pantofole; infine cala il sipario.

Scena 1′: Nel corso della prima scena il signore e la signora Smith, una banale coppia inglese, prorompono in luoghi comuni, esprimono opinioni incoerenti, sono impegnati in ragionamenti bizzarri, passano continuamente da un argomento all’altro. La signora Smith inizia a parlare del suo ultimo pranzo. Il signor Smith “continuando a leggere, fa schioccare la lingua”: non ascolta quasi mai sua moglie. Sin dall’inizio, Ionesco afferma la difficoltà ad esprimersi e l’impossibilità a comunicare, che reggono i rapporti fra gli esseri. La signora Smith, proseguendo il suo discorso culinario, ha appena evocato il famoso yogurt di un droghiere rumeno, Popesco Rosenfeld, diplomato alla scuola dei fabbricanti di yogurt di Adrianopoli. Le considerazioni sullo yogurt incitano la signora Smith a parlare dei dottori. Interviene allora il signor Smith per fare un inatteso confronto tra il medico e il comandante di una nave: “un medico coscienzioso dovrebbe morire insieme con il malato, se non possono guarire assieme”. Il signor Smith si meraviglia del fatto che “… nella rubrica dello stato civile è sempre indicata l’età dei morti e mai quella dei neonati”, poi avviene un’ingarbugliata discussione circa i legami di parentela tra i membri di una famiglia, i quali si chiamano tutti, indistintamente, Bobby Watson. Viene così fuori un disaccordo, ritmato dalla pendola che suona sette volte, tre volte, nessuna volta, ecc., ma essi si riconciliano subito.

Scena 2’: Mary, la domestica, entra e racconta il pomeriggio trascorso con un uomo, al cinema, dove ha visto un film “con delle donne”. La domestica annuncia l’arrivo dei Martin. Gli Smith disapprovano il ritardo dei loro invitati. Essi contraddicono quanto hanno precedentemente detto, lamentandosi di non aver mangiato, per tutta la giornata, niente e si ritirano per andarsi a vestire.

Scena 3′: In una scena molto breve, Mary fa entrare i Martin e li rimprovera per il loro ritardo.

Scena 4′: Avviene una strana conversazione tra i Martin. Mentre sono sposati, apparentemente non si conoscono, pur avendo l’impressione di essersi incontrati da qualche parte. E in una lunga conversazione, inframmezzata dal ritornello “Veramente curioso, veramente bizzarro!”, constatano sorprendenti coincidenze: entrambi sono di Manchester, hanno lasciato questa città da circa cinque settimane, hanno preso lo stesso treno, erano nella stessa carrozza e nel medesimo compartimento; ora si trovano a Londra; abitano nella stessa strada, nel medesimo numero civico, lo stesso appartamento, dormono nella stessa camera e nello stesso letto, hanno la stessa figlia. Arriva la straordinaria rivelazione: il signore e la signora Martin s’abbracciano, scoprendo di essere marito e moglie.

Scena 5′: Di ritorno sulla scena, Mary rimette in discussione quegli incontri. Poiché la figlia della signora Martin ha l’occhio diritto rosso e il sinistro bianco e quella del signor Smith l’occhio dritto bianco e il sinistro rosso, non sono quelli che credono di essere. Infine, prima di lasciare la scena, Mary rivela di essere Sherlock Holmes.

Scena 6′: In una brevissima scena, i Martin, ignorando la crudele verità, sono felici di essersi ritrovati e s’impegnano a non perdersi più.

Scena 7′: Inframmezzati dai colpi incoerenti della pendola, si avvia difficilmente la conversazione fra le due coppie. Si avvicendano, inizialmente, delle banalità, senz’alcun legame apparente: le battute brevi, separate da lunghi silenzi, sottolineano la difficoltà della comunicazione. La signora Martin prova a ravvivare l’interesse della conversazione raccontando un aneddoto insignificante, ma che presenta come straordinario: ha visto un uomo allacciarsi le scarpe. Nel frattempo suona qualcuno alla porta. La signora Smith va ad aprire ma non c’è nessuno. Ciò avviene per tre volte, cosicché la signora ne deduce che “l’esperienza insegna che quando si sente suonare alla porta è segno che non c’è mai nessuno”. Il campanello suona nuovamente, stavolta va ad aprire il signor Smith, il quale annuncia trionfalmente: “è il capitano dei pompieri!”.

Scena 8′: Le due coppie interrogano il capitano dei pompieri per risolvere l’enigma delle scampanellate. Il mistero non fa che infittirsi: non è il pompiere ad aver suonato le due prime volte e, d’altra parte, era là e non ha visto nessuno. Ha suonato la terza volta, ma si era nascosto. E al quarto colpo gli si è aperto. Quindi, il pompiere offre i suoi servizi per spegnere eventuali incendi, poi racconta molti aneddoti incoerenti, alcuni molto brevi, altri molto lunghi e ingarbugliati.

Scena 9′: Mary, allora, pure lei, vuole raccontare un aneddoto, con grande indignazione degli Smith, i quali trovano il suo intervento fuori luogo. Ma sembra che lei sia amica del pompiere. E su insistenza dei Martin, le viene lasciata la parola e, in onore del capitano, racconta un poesia intitolata “Il Fuoco”.

Scena 10′: Il pompiere si congeda dagli Smith e i Martin, invocando un incendio che dovrà spegnere “esattamente fra tre quarti d’ora e sedici minuti […] all’altro capo della città”. Prima di andarsene, però, chiede: “A proposito, e la cantatrice calva?”. Questa sola breve allusione al personaggio, che dà il titolo all’opera, genera prima un silenzio imbarazzato, poi una risposta altrettanto enigmatica della signora Smith: “Si pettina sempre allo stesso modo!”.

Scena 11′: Una volta che gli Smith e i Martin sono rimasti soli, avviene un’accelerazione nel deterioramento del linguaggio. Le due coppie si scambiano luoghi comuni, sotto forme di proverbi o affermazioni incoerenti. Le loro battute si fanno sempre più brevi. Le loro parole tendono a diventare sempre più suoni onomatopeici. Finiscono col ripetere tutti insieme freneticamente: “C’est pas par là, c’est par ici…”, ovvero: “Non è di qua, ma è di là…”. Tutto s’interrompe bruscamente e “la commedia ricomincia con i Martin, che dicono esattamente le battute degli Smith nella prima scena”, mostrando così il carattere interscambiabile dei personaggi e, più in generale, degli esseri umani.