lunedì, Maggio 13, 2024
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Roma, Stefano Mastropietro rompe il silenzio: “Basta, lasciate stare mia figlia Pamela!”

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ROMA – In seguito all’atto vandalico, avvenuto pochi giorni fa in piazza Re, dove è stata deturpata la scultura in legno, realizzata dallo scultore Andrea Gandini, in memoria di Pamela Mastropietro, la diciottenne romana barbaramente uccisa a Macerata, il 30 gennaio 2018, dal nigeriano Innocent Oseghale, condannato all’ergastolo, il padre della ragazza, Stefano Mastropietro, ha rotto il silenzio e sulla pagina Facebook “La voce di Pamela Mastropietro” ha scritto:

“Basta. Lasciate in pace mia figlia Pamela. Potete pensarla come volete sul perché e sul per come sia morta, potete offendere, infangare, colpevolizzare e giudicare noi genitori, ma lasciate stare lei.

Che fastidio vi da’, ormai? Avete, ancora una volta, profanato la sua memoria, danneggiando l’opera che, per lei, era stata apposta a piazza Re di Roma, nella sua città, lo scorso 30 Gennaio, terzo anniversario dai quei tragici e demoniaci fatti.

Non vi è bastato leggere (anche se non è detto che ne siate capaci) del suo corpo vilipeso, senza più una goccia di sangue, tagliato in più di venticinque pezzi, della nostra impossibilità di darle un ultimo saluto, il giorno in cui la vedemmo nella bara, per il pericolo che il suo corpo, faticosamente ricomposto, e neanche per intero, si sfaldasse sotto la pressione del nostro ultimo abbraccio terreno.

Non vi è bastato darle della tossica e della “poco di buono”, sui social, o su qualche scritta sui muri, non conoscendo nulla della sua storia e di chi fosse veramente.

Non vi è bastato rubare la sua fotografia o i suoi peluche. Non vi è bastato leggere (ma, come detto, dubito che ne siate capaci) di due sentenze che, comunque andrà, hanno accertato la ferocia di colui che si è accanito sul suo corpo.

No, non vi è bastato, figli dell’ignoranza. Dovevate, ancora una volta, offendere un simbolo a lei dedicato.

Che ne sapete voi della droga? Che ne sapete voi della sofferenza che si prova a cercare di strappare una figlia a quel mondo, a cui purtroppo è avvinghiata a causa di un maledetto male psichiatrico, di cui in molti si sono approfittato? Che ne sapete del dolore di un genitore, chiamato a rispondere delle proprie azioni (fatte anche di errori, per carità, ma commessi certamente in buona fede, in un mondo dove tutto corre e dove il compito di accudire la cosa più bella che hai è sempre più complesso e difficile) davanti ad un corpo martoriato, con il cuore di una figlia, che spesso ha battuto all’unisono con il tuo, strappato via dal suo petto, ritrovato a parte in un sacchetto?

Che ne sapete delle notti insonni trascorse ad immaginare i suoi ultimi momenti? Si sarà resa conto della fine che stava per fare? Quanto avrà sentito male? Quanto avrà sofferto? E perché diavolo è andata via da quella comunità dove, con tanta speranza, era stata ricoverata, per curare, innanzitutto, il male della sua anima? Come è possibile che, a rispondere di tutti quei tragici e sventurati accadimenti, sia stata chiamata a rispondere una sola persona, condannata sì all’ergastolo, ma mai quanto noi?Che ne sapete del valore di quella fotografia o di quei peluche?

O di quell’opera che, al di là se possa piacere o no, rappresenta un ricordo, da relegare non solo nell’intimo di una famiglia distrutta per sempre, ma nella coscienza della collettività, a presente e futuro monito di non abbassare o, meglio, di alzare, la guardia contro certi fenomeni, senza paura o ipocrisie? In gioco c’è la salute e la sicurezza di tutti, infatti, e, comunque la si pensi, certi fatti devono servire per riflettere e migliorare.

Perché non accada ancora, si potrebbe auspicare, se vivessimo in un mondo utopistico, o perché accada sempre meno, facendo i conti, invece, con quella che è la realtà.

Se così non fosse, si finirebbe con l’essere complici, sicuramente morali, di colui o coloro che compiono certi crimini, dallo spaccio alla violenza sessuale, all’omicidio, al resto.

Non sapete leggere, ho scritto prima. Forse è così. O forse no, pensandoci bene. Perché, in questa storia, abbiamo anche scoperto la grettitudine di chi magari dice di saper leggere, di essere un intellettuale (tra cui qualche giornalista o sedicente opinionista), di essere colui che difende i diritti all’autodeterminazione di tutti, salvo poi affermare, in maniera più o meno diretta, che Pamela, mia figlia, se la sia quasi andata a cercare e, quindi, a meritare, la fine che ha fatto. Innestando nelle menti, allora, il pericoloso modo di ragionare secondo cui, allora, pure il barbone che dorme alla stazione potrebbe andarsi a cercare, magari, di essere bruciato da qualche squilibrato, così come la prostituta di essere menata o abusata, così come una donna vestita con una bella gonna violentata, e via dicendo. Fate semplicemente schifo. Questa è la verità.

Sono stato in silenzio in molti frangenti, ma ora sono io a dire basta. Per tornare a quanto da ultimo accaduto, dunque, denuncerò il fatto, e non sia mai dovesse essere preso l’autore o gli autori di questo ultimo, indegno gesto, vorrò incrociarne lo sguardo.

Per guardare dal vivo l’ignoranza che, quando offende la memoria di un morto, rende colui che ne viene guidato, il più meschino tra gli uomini. Stefano Mastropietro, papà di Pamela”.

Elisa Cinquepalmi

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