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Patrick Zaki è libero: scarcerato, ma non assolto

Patrick Zaki

Patrick Zaki è libero: scarcerato, ma non assolto

Urla di gioia fuori dal Tribunale di Mansura all’annuncio della scarcerazione di Patrick Zaki. C’erano i genitori, la sorella e la fidanzata, attivisti. “Un enorme sospiro di sollievo, finisce un tunnel di 22 mesi di carcere. Speriamo sia il primo passo per arrivare poi a un’assoluzione”, dice il portavoce di Amnesty Italia Noury. “L’idea che Patrick possa trascorrere una notte in un luogo diverso dalla prigione ci emoziona e riempie di gioia. In oltre 10 piazze italiane stasera scenderemo con uno stato d’animo diverso e più ottimista”.

Zaki è stato scarcerato ma non assolto. Oggi era la terza udienza, sospesa dopo che i legali dello studente dell’ateneo di Bologna avevano chiesto di acquisire registrazioni video, verbali di polizia e dei servizi egiziani e altri atti.

La vicenda ha inizio il 7 febbraio 2020. Nell’intento di tornare in Egitto per fare visita alla propria famiglia, dopo l’atterraggio all’aeroporto del Cairo alle 4:00 (ora locale; UTC+2), Zaki viene catturato dagli agenti dei servizi segreti. Per circa 24 ore non trapelano sue notizie né ai familiari né ai media. La notizia del suo arresto viene divulgata successivamente dall’Egyptian Initiative for Personal Rights (associazione umanitaria dove lavorava in qualità di ricercatore), il 9 febbraio.

I capi d’accusa formulati nel mandato d’arresto sono: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo. Nello specifico gli vengono contestati alcuni post su Facebook. Secondo i mezzi d’informazione governativi egiziani, Zaki sarebbe attivo all’estero per fare una tesi sull’omosessualità e per incitare contro lo stato egiziano.

Secondo il suo avvocato è stato bendato e torturato per 17 ore consecutive con colpi allo stomaco, alla schiena e con scariche elettriche inflitte dalle forze di sicurezza egiziane, oltre a essere stato interrogato a riguardo della sua permanenza in Italia, del suo presunto legame con la famiglia di Giulio Regeni, e del suo impegno politico, venendo inoltre minacciato di stupro.

La Procura Generale di Mansura, al contrario, ha dichiarato di avere constatato lo stato di salute del fermato, affermando che non palesava ferite sul corpo. Il Procuratore Generale dell’Egitto, Hamada el-Sawy, ha negato che il fermato sia stato torturato dalla polizia.

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