martedì, Maggio 14, 2024
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Roger Waters e la sfida con The dark side of moon

Roger Waters e la sfida con The dark side of moon – Roger Waters avrebbe detto qualche tempo fa: “Sono solo in competizione con me stesso”. L’ego di Waters è smisurato tanto da affermare diverse volte che vent’anni nei Pink Floyd sono pochi rispetto a una vita di 70/80 anni. Alla fine Waters ha sfidato se stesso con il redux di The dark side of the moon a cinquant’anni dalla pubblicazione dell’originale, che da qualche tempo fa discutere animatamente i fan della band con le contrapposizioni oramai stucchevoli tra wateriani e gilmouriani. In generale il giudizio non è molto favorevole. Probabilmente lo stesso Waters immaginava una reazione scettica e negativa al suo lavoro, cosa che non lo preoccupava e che non gli fornirà nessuna remora, pentimento e nemmeno dubbi sull’idea e il lavoro svolto. Conoscendo la personalità del bassista si può a ragione supporre qualcosa del genere.

Ma tralasciando il giudizio artistico e musicale, va considerato che sebbene Waters fosse l’ideatore di TDSM, confermato dalla stesura di tutti i testi, il disco è il risultato di una specie di alchimia tra i quattro membri della band. La chitarra e gli assoli di David Gilmour – eliminati da Waters  nel suo disco – le tastiere di Richard Wright e i suoni e i rumori architettati da Nick Mason formano un mosaico al quale non possono essere sottratti pezzi, perché poi non formerebbero il capolavoro che è TDSM. L’insieme e il risultato sono superiori alle capacità dei singoli, parafrasando la nota teoria psicologica. Inoltre Waters, per fare un esempio, non sta ai Pink Floyd come un Mark Knopfler ai Dire Straits che impersona quasi totalmente l’anima del gruppo. Gli altri membri hanno una loro personalità e un loro valore musicale evidente e presente nel disco. Poi in seguito le diatribe e i litigi sfoceranno nella separazione costellata da cause legali e altre situazioni non proprio edificanti e onorevoli per Waters, Gilmour e Mason.

The dark side of the moon in un certo senso vive di luce propria a prescindere dagli autori, creatori ed esecutori. Un disco con una genesi articolata e con episodi legati alla sua composizione tutti molto particolari. Basti pensare all’urlo della sconosciuta Clary Torry in The great gig in the sky pagata per pochi dollari che canta senza sapere esattamente cosa volessero i Pink Floyd. Oppure lo stesso titolo che un altro gruppo – i Medicine Heat-  dà al proprio disco ma che si rivela presto un flop, lasciando via libera alla pubblicazione del disco con il titolo che tutti conosciamo. Per non parlare della riuscitissima e iconica copertina dell’album che non sottintendeva nessun mistero occulto come fu ventilato da qualcuno, ma che ben rappresenta il messaggio del disco.

Album provato spesso live prima di essere pubblicato ma che si eccettua Money non contiene le canzoni più famose dei Pink Floyd che compaiono piuttosto in We wish we were here o in The Wall. Gli stessi Pink Floyd a conclusione del lavoro da dare alle stampe, credevano di aver fatto un buon lavoro simile al precedente album Meddle ma non immaginavano un successo planetario del disco e non sapranno dare mai una risposta sul perché della notevole popolarità così duratura.

Alcune caratteristiche dell’album sono comunque evidenti. Mentre i colleghi e i gruppi rock in quegli anni si dedicano a testi contenenti droga, sesso e trasgressioni varie, il disco si concentra sulla vita umana, iniziando dal battito del cuore di un neonato sino alla morte con l’ultimo sussulto in The great gig in the sky. E poi c’è la follia umana, osservata, vissuta in diretta da Waters e compagni alcuni anni prima tramite l’elemento fondante del gruppo, Syd Barret. Inoltre l’avidità umana e l’attaccamento al denaro che calpesta tutto e tutti, la stupidità della guerra e poi il tempo che passa e ti doppia e sei vecchio, senza che te ne sei accorto. Alla fine le voci di persone comuni interpellate sul significato della vita, introdotte in tutto il disco, si concludono con il significativo assioma: non solo una parte della luna è oscura ma tutta la luna è buia. Messaggio esplicito sul fatto che quel mondo che si doveva cambiare, come pensavano le generazioni precedenti alcuni anni prima è ancora così se non peggio. E questo nonostante il grande progresso con il suo paradigma realizzato quattro anni prima, quando l’uomo è arrivato nientemeno sulla luna. I problemi sulla Terra però sono gli stessi.

Tornando a Waters, per forza di cose la comparazione di TDSM con il suo lavoro è improponibile e non poteva che lasciare l’amaro in bocca a tanti. Waters ha sfidato se stesso o almeno ha creduto di farlo. Ma stavolta la partita- e forse Waters lo sapeva- era persa in partenza.

Roberto Guidotti

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