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Anticipazioni per “Il Tabarro” e “Il Castello del Principe Barbablù” del 9 febbraio alle 21.15 su Rai 5: dal Teatro dell’Opera di Roma

tabarro

Anticipazioni per “Il Tabarro” e “Il Castello del Principe Barbablù” del 9 febbraio alle 21.15 su Rai 5: dal Teatro dell’Opera di Roma – Nel centesimo anniversario della scomparsa di Giacomo Puccini, Rai Cultura propone in prima serata, venerdì 9 febbraio alle 21.15 su Rai 5, “Il tabarro”, accostato a un altro capolavoro coevo come “Il castello del Principe Barbablù” di Béla Bartók. “Sono due storie di violenza di genere. Due vicende che ci ricordano i troppi casi della cronaca odierna, in cui la donna è schiacciata dall’uomo e da una brutalità oggi più che mai inaccettabile”.

Così il direttore d’orchestra Michele Mariotti descrive il dittico forma dai due atti unici di Puccini e Bartók andati in scena lo scorso anno all’Opera di Roma. La nuova produzione dello spettacolo è firmata dal regista tedesco Johannes Erath, al suo primo impegno operistico in Italia oltre che al suo debutto al Teatro Costanzi. 

Lo spettacolo fa parte di un progetto triennalerealizzato in collaborazione con il Festival Puccini di Torre del Lago in occasione del centenario della morte di Puccini. Il suo Trittico verrà scomposto e ricomposto in tre dittici, proposti uno all’anno per tre stagioni consecutive, grazie all’accostamento di ogni titolo a un altro capolavoro del Novecento. “Solo dopo aver composto ‘Il tabarro’ – prosegue il Direttore musicale dell’Opera di Roma Mariotti – Puccini decise di accompagnare il dramma in un atto con Suor Angelica e Gianni Schicchi. L’idea del Trittico, quindi, è nata strada facendo. La nostra idea è stata invece quella di scomporlo, accostando ciascun titolo a un altro atto unico novecentesco, che ne esalti le caratteristiche musicali e drammaturgiche più salienti. Un modo quindi per guardare il capolavoro tripartito di Puccini da un’angolazione diversa. In questa stagione cominciamo con ‘Il tabarro’ e ‘Il castello del Duca Barbablù’: due opere perfettamente coeve, entrambe andate in scena per la prima volta nel 1918, ed entrambe storie di incomunicabilità all’interno della coppia, che sfociano nella violenza”.

Grandi artisti di caratura internazionale in entrambi i cast dei due atti unici. Per “Il tabarro” tornano all’Opera di Roma il baritono Luca Salsi (Michele), protagonista di innumerevoli produzioni capitoline con il Maestro Muti e più recentemente sui palcoscenici internazionali più prestigiosi; il soprano Maria Agresta (Giorgetta), che al Costanzi è stata un’indimenticabile Anna Bolena; e il tenore Gregory Kunde (Luigi), reduce dal successo nell’Aida diretta a gennaio da Mariotti. Accanto a loro Didier Pieri come Tinca, Roberto Lorenzi come Talpa ed Enkelejda Shkoza nella parte di Frugola. 

Per il capolavoro di Bartók invece salgono sul palcoscenico il mezzosoprano Szilvia Voros e il basso Mikhail Petrenko, entrambi al loro debutto al Costanzi. Il coro della fondazione capitolina è istruito da Ciro Visco. 

“Il tabarro incomincia con un tramonto – dice il regista Johannes Erath – ma termina in una notte cupa, dove la luce di un fiammifero diventa fatale per una coppia che ha perso la capacità di esprimersi e di comunicare. Anche ‘Il castello di Barbablù’ inizia con una coppia nella notte: anche in questo caso il loro sforzo di esprimersi e comunicare non porterà alla luce. Affiancare questi due capolavori ci offre l’occasione rara di osservarli con uno sguardo nuovo: l’atto unico di Puccini appare molto più simbolista e impressionista di quello che si immagini, mentre quello di Bartók è più realista di quanto si immagini”.

Accanto a Erath – che ha già collaborato con Mariotti per una produzione dei Masnadieri di Verdi alla Bayerische Staatsoper di Monaco – sono impegnati Katrin Connan, che firma le scene, Noëlle Blancpain, che cura i costumi, Alessandro Carletti per il light design e Bibi Abel per i video. Regia tv Barbara Napolitano.

Il tabarro è un’opera in un atto di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Adami tratto da La houppelande di Didier Gold. Fa parte del Trittico. La prima assoluta ebbe luogo il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York,[1] dove fino al 2009 ha avuto 80 rappresentazioni. Tra gli interpreti della prima, il tenore Giulio Crimi nel ruolo di Luigi, Claudia Muzio come Giorgetta, Luigi Montesanto come Michele ed Angelo Badà come Tinca.

La composizione del pannello tragico del Trittico pucciniano avvenne in due fasi: fra l’estate e l’autunno del 1913 e fra l’ottobre 1915 e il novembre 1916. L’interruzione fu dovuta alla necessità di lavorare alla Rondine, opera per la quale Puccini aveva sottoscritto un contratto.

Al contrario, Il tabarro fu composto senza conoscerne la destinazione. Inoltre, come opera in un atto, non sarebbe bastato a coprire la durata di uno spettacolo teatrale, tanto che Puccini pensò inizialmente di abbinarlo ad una ripresa della sua prima opera, Le Villi, all’epoca quasi dimenticata.
Solo in seguito all’incontro col librettista Giovacchino Forzano Puccini decise di farne il primo pannello di un trittico di opere in un atto, da eseguirsi in un’unica sera.

«Tutto è conteso, tutto ci è rapito.
La giornata è già buia alla mattina!
Hai ben ragione: Meglio non pensare,
piegare il capo ed incurvar la schiena»
(Luigi)

Nei decenni, pur senza mai diventare un’opera popolare, Il tabarro si è guadagnato un posto di tutto rispetto tra le opere di Puccini. L’intenzionale assenza di melodie facili, di quelle che colpiscono immediatamente l’orecchio, è compensata da un’estrema densità drammatica e compositiva. Puccini lavora per lo più su leitmotiv di poche note, elaborandoli sul piano delle sonorità più che su quello armonico. Al contrario, è a partire da quest’opera che Puccini inizia a costruire le sue partiture per grandi blocchi tonali, di monumentale staticità.

Sul piano drammaturgico, Il tabarro sembrerebbe segnare un inatteso e tardivo omaggio all’opera verista. L’azione si svolge infatti nei bassifondi di Parigi, in riva alla Senna, tra scaricatori e donne del popolo. Due decenni prima, nel momento di massima fortuna del melodramma verista, Puccini aveva evitato di pagare tributo a questa moda, rinunciando a mettere in musica La lupa di Verga.

Nel farlo ora, fuori tempo massimo, ne rovescia di segno i principi estetici. Nessuno dei suoi lavori è infatti così lontano dal tono nazional-popolare di Cavalleria rusticana, di Pagliacci e delle altre celebri opere della stagione verista. La severità con cui la musica si concentra sul dramma può semmai richiamare alla lontana l’idea verdiana di un teatro musicale in cui tutto dev’essere al servizio del dramma.

La più cupa tra le opere di Puccini è imperniata sull’idea del tempo che passa, incarnata metaforicamente dall’ora del tramonto, dalla stagione autunnale e soprattutto dal lento, inesorabile scorrere del fiume, intorno al quale l’intera vicenda si sviluppa. Un’idea alla quale rinvia anche l’uso massiccio di tempi a struttura ternaria, il cui moto circolare guida i protagonisti verso la tragedia avvolti in un clima di danzante erotismo. Dice la protagonista: «Io capisco una musica sola: quella che fa danzare», ma la musica che accompagna le sue parole è la stessa che aprirà il suo appassionato duetto d’amore con Luigi.

Trama

1910: è il tramonto. Sulla Senna è ancorato un vecchio barcone da carico, di cui è padrone il maturo Michele; questi, che ha sposato Giorgetta, una parigina molto più giovane di lui, avverte che l’unione sta vacillando e sospetta che la moglie, sempre più insofferente e scontrosa, lo tradisca con un altro uomo. Il sospetto è fondato: Giorgetta è innamorata di Luigi, un giovane scaricatore che ogni sera, richiamato dal tenue chiarore di un fiammifero acceso, la raggiunge protetto dall’oscurità.

Michele, che vede crollare a poco a poco le proprie illusioni, tenta di risvegliare nell’animo della moglie la passione di un tempo ricordandole quel bimbo la cui breve esistenza aveva accompagnato il loro amore: erano i giorni felici in cui Giorgetta e il figlio cercavano rifugio nel suo tabarro. Ma quando egli tenta di stringerla fra le braccia, la moglie si ritrae adducendo un pretesto. Quindi si ritira nella sua stanza in attesa che il marito la segua e si assopisca, per poi incontrarsi con Luigi.

Michele indugia, riflettendo su chi possa essere l’amante della moglie e meditando vendetta, quindi accende la pipa. Attirato dal segnale luminoso, Luigi balza sul barcone credendo di trovarci l’amante; ma Michele gli è sopra, l’immobilizza e con un urlo lo riconosce; poi lo afferra per la gola, lo costringe a confessare il suo amore e lo strangola. Quindi ne avvolge il corpo esanime dentro al suo tabarro. Giorgetta torna in coperta, come colta da uno strano presentimento, ma quando si avvicina a Michele, questi apre il tabarro lasciando cadere a terra il cadavere di Luigi.

Il castello di Barbablù (in ungherese A kékszakállú herceg vára, letteralmente “Il castello del duca Barbablù”) è un’opera in un atto del compositore ungherese Béla Bartók. Il libretto, in lingua ungherese, è stato scritto da Béla Balázs – poeta, regista e sceneggiatore – amico del musicista, rifacendosi molto liberamente sia alla celebre fiaba La Barbe Bleue (1697) di Charles Perrault sia al dramma Ariane et Barbe Bleue (1901) di Maurice Maeterlinck, grande drammaturgo belga autore, fra le altre opere, del dramma Pélleas et Mélisande musicato da Claude Debussy su libretto dello stesso Maeterlinck.

L’opera di Bartók dura poco meno di un’ora e ci sono soltanto due personaggi che cantano sul palco: Barbablù, baritono (in ungherese Kékszakállú), e la sua ultima moglie Judit (Judit), soprano/mezzosoprano. I due sono appena arrivati, e Judit è venuta nel castello di Barbablù per la prima volta, fuggendo dalla casa paterna, dove tutti sono stati contrari al suo matrimonio con questo gentiluomo dall’oscuro passato.

Il castello di Barbablù fu composto nel 1911 (con alcune modifiche apportate nel 1912 ed un nuovo finale aggiunto nel 1917) ma la prima rappresentazione ebbe luogo soltanto sette anni dopo, il 24 maggio 1918 al Teatro dell’Opera di Budapest. La Universal Edition pubblicò lo spartito per canto e pianoforte (1921) e la partitura completa (1925). La partitura completa di Boosey & Hawkes comprende solo le traduzioni tedesca e inglese della parte cantata, mentre l’edizione di Dover riproduce l’Edizione Universale ungherese/tedesca dello spartito per canto e pianoforte (con i numeri di pagina a partire da 1 invece che da 5). Una revisione dello spartito UE nel 1963 ha aggiunto una nuova traduzione tedesca di Wilhelm Ziegler, ma sembra non aver corretto tutti gli errori. La Universal Edition e la Bartók Records hanno pubblicato una nuova edizione dell’opera nel 2005 con nuova traduzione Inglese di Peter Bartók, accompagnata da un’ampia lista di errata-corrige.[1]

Foto interna ed esterna: https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2024/02/Il-tabarro-diretto-da-Mariotti-per-il-centenario-pucciniano-2dcc6a41-9892-405a-abdc-05deccefd40c-ssi.html