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Roma, Giornata Europea della Cultura Ebraica 2018

Domenica 14 ottobre, alle ore 15.30, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, verrà mostrata una
delle sei vetrate che Eva Fischer realizzò nel 1981 su consiglio di Marc Chagall.
La “Benedizione” è stata appena collocata nella nuova sede museale e negli ultimi tredici anni non era mai stata
mostrata al pubblico. Rimarrà visibile solo per questa presentazione poi nuovamente coperta, come lo sono le altre
vetrate – Gerusalemme, Hebron, Safed, Tiberiade e Roma (www.evafischer.com/altro_vetrate.html) -, dai pannelli di una
mostra in corso che durerà sino al 3 febbraio 2019. Le vetrate sono state create nel 1981, su richiesta del fondatore
del Museo, Salvatore Fornari e dell’eterno amico Elio Toaff.
Eva Fischer (1920-2015) è stata l’ultima testimone della Scuola Romana del dopoguerra. Amica di Picasso, Chagall,
De Chirico, Dalì, Miriam Novitch e di altre personalità culturali del XX e del XXI secolo, ha esposto in oltre 130
personali e le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Le immagini raccolte e depositate nei suoi
“momenti pittorici” possono però passare dal fantasioso al fantastico, dal “nudo e crudo” a quell’impercettibilità che
solo la sensibilità di un’artista riesce a personalizzare.
Celebri fra le sue tematiche, i mercati di Roma, le Biciclette, le Architetture Mediterranee. Il “diario segreto” legato
alla Shoah che le strappò il padre ed altri 32 familiari, è stato esposto con successo allo Yad Vashem, dove sono
rimaste tre opere nella collezione permanente. Un’altra trentina di quei quadri hanno creato lo “Eva Fischer Fund”
presso il Municipal Center di Kfar-Saba (Israele).
“Artista Europeo” dai primi anni ’80, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti ed il Presidente della Repubblica
Napolitano l’ha insignita per decreto, dell’Onorificenza di Cavaliere del lavoro ai meriti della Repubblica Italiana.
Nelle sue opere è costante il gioco delle trasparenze frutto del suo stile personalissimo. Il lungo percorso pittorico è
ricco di melodie dai romanticismi melanconici, dai racconti di vita vissuta o di vita calpestata.
Riferendosi alla dimensione artistica del ventunesimo secolo, Eva ha sottolineato che “è arte solo quel che provoca
emozioni”.
Eva Fischer è nata a Daruvar (Ex Jugoslavia), nel 1920.
Il padre Leopoldo, Rabbino Capo ed eccellente talmudista venne deportato dai nazisti. Sono più di trenta i familiari
di Eva scomparsi nei lager.
Negli anni precedenti la guerra, Eva Fischer si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Lione e fece ritorno a Belgrado
in tempo per subire i vandalici bombardamenti nazisti sulla città (1941) senza dichiarazione di guerra. Ebbe così
inizio un periodo travagliato fatto di fughe e costellato da privazioni e duri sacrifici.
Insieme alla madre e al fratello minore, Eva venne internata nel campo di Vallegrande (Isola di Curzola) sotto
amministrazione italiana che non conobbe (Eva è lieta di dirlo) ferocia alla pari di quella nazista. Per una malattia
materna ebbe un permesso d’assisterla insieme al fratello, nell’ospedale di Spalato dove ancora ottenne un
permesso di trasferirsi a Bologna. Eravamo nel 1943 ed Eva Fischer con i suoi si nascosero nella città sotto il falso
nome di Venturi. Ella ricorda spesso quel tempo infausto ove però la mano dei buoni non si sottraeva al pericolo di
dare aiuto e solidarietà ai perseguitati. Fu determinante allora l’aiuto di Wanda Varotti, Massimo Massei ed altri
ancora del Partito d’Azione.
A guerra finita Eva Fischer scelse Roma come sua città d’adozione: intenso è l’amore che ella porta a questa città.
Entrò immediatamente a far parte del gruppo di artisti di Via Margutta coi quali contrasse indelebili amicizie. Di
quel periodo è la sua amicizia e consuetudine con Mafai e Guttuso, Tot, Campigli, Fazzini, Carlo Levi, Caporossi,
Corrado Alvaro e tanti di quella generazione di artisti che avevano maturato idee luminose entro il buio della
dittatura.
Intensa fu l’amicizia con De Chirico, Mirko, Sandro Penna e Franco Ferrara allora già brillante direttore d’orchestra;
venne così il tempo di lunghe e notturne passeggiate romane anche con Jacopo Recupero, Cagli, Avenali, Giuseppe
Berto e Alfonso Gatto nonché Maurice Druon non ancora ministro della cultura francese che andava scrivendo le
pagine de “Le grandi famiglie”.
Fu in quel tempo che Dalì vide e s’innamorò dei mercati di Eva mentre lo stesso Ehrenburg scrisse sulle “umili e
orgogliose biciclette”.
Con Picasso s’incontrarono nella bella casa di Luchino Visconti parlando a lungo d’arte contemporanea e
del sussulto intimo che porta alla creatività. Picasso la esortò a progredire nella luce misteriosa delle barche e delle
architetture meridionali.
Venne così il tempo di Parigi dove Eva abitò a lungo a Saint Germain des Près e cercò di Marc Chagall divenendone
amica devota e profonda ammiratrice. Egli le raccontava di sogni colorati nonché del fascino dei racconti biblici.
Zadkine ospitò generosamente Eva ammirandone il coraggio d’una ricerca intensa e costruttiva e il fascino d’una
cultura mitteleuropea tutt’altro che trascurabile. In quell’epoca Eva Fischer realizzò “paesaggi romani” con le loro
trasparenze e lontananze come se il tempo si fosse in qualche modo fermato sulle rovine della Città Eterna.
Dunque venne la volta di Madrid. Qui la pittura di Eva Fischer – finalmente esposta nei musei – fu al centro di
dibattiti nell’Atelier di Juana Mordò fra l’artista marguttiana e i pittori spagnoli ancora in lotta contro il franchismo.
Eva portò loro la testimonianza di un’arte rinata in un mondo libero fatta di tentativi nuovi, magri discutibili ma al
cospetto di tutti gli sguardi e tutti i giudizi.
Negli anni sessanta Eva Fischer fu a Londra dove espose nella più esclusiva Galleria della City, quella Lefevre che
aveva concesso l’ultima “personale” al pittore italiano Modigliani. La Galleria Lefevre ospitò i quadri di Eva per i
“suoi colori mediterranei e l‘italianità” delle sue tele. Il mondo della Fischer è fatto di brevi migrazioni ovunque il
suo estro l’ha chiamata: da Israele ove dipinse mirabili tele di Gerusalemme e Hebron (molto note sono le vetrate
del Museo israelitico di Roma) fino agli U.S.A. dove conta numerosi collezionisti ed estimatori, fra i quali gli attori
Humphrey Bogart (fu la moglie Laureen Bacall a donargli la prima opera) e Henry Fonda.
Pur essendo la sua arte conosciuta nel mondo, parlava di sé con assoluta modestia tipica di questa donna
coraggiosa ed intelligente, dallo sguardo pulito e profondo nonostante gli affronti degli uomini in quei tempi
disumani. Ella non condannava costoro con rabbia e vendetta ma sì con questa mostra di quadri malinconici e
grigi, con sguardi di uomini stupiti prim’ancora che smarriti e di bambini immobili nel gelo dei vagoni appiccicati a
treni senza ritorno. Eva è morta a Roma nel luglio 2015.

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